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La festa di San Rocco e la danza delle spade di Torrepaduli

Torrepaduli è la frazione di Ruffano. Questo è un piccolo centro che ha rivestito ruoli importanti nell’antichità, soprattutto per quanto riguarda le operazioni di difesa dalle incursioni piratesche del tardo medioevo. Esistevano infatti tre torri in cui gli abitanti delle zone limitrofe solevano rifugiarsi per scappare da morte certa.

Uno degli eventi più attesi del borgo è la festa di San Rocco, di cui Torrepaduli ne ospita il santuario. La festa inizia la notte del 15 Agosto, subito dopo la conclusione delle processione rituale che trasporta la statua del Santo tra le vie del paese, per terminare all’alba del giorno dopo, quando le folle di giovani che fino a poche ore prima si sono scatenate a suon di tamburelli, lasciano spazio alla tipica fiera in onore del Santo. Credenza popolare vuole che questa festa rappresenti la notte bianca più antica d’Italia.

Contrariamente a quanto succede oggi in onore dei suoi festeggiamenti, San Rocco non era un uomo dedito a feste e baldoria, ma preferiva dedidarsi ad opere di carità e di soccorso del prossimo, così come la famiglia gli aveva insegnato. Aveva origini nobili e un bell’aspetto, tutti quanti invidiavano la sua bellezza e le sue ricchezze.

San Rocco in una miniatura medioevale (Fonte: wikipedia)

San Rocco in una miniatura medioevale (Fonte: wikipedia)

Alla morte dei genitori Rocco non sapeva cosa farsene degli immensi possedimenti della sua famiglia, ne tantomeno avrebbe saputo amministrarli a dovere. Decise così di regalare tutto ai poveri e ai bisognosi che lui aveva tanto a  cuore e all’alba del 1317, a 22 anni, decise di lasciare il suo paese di origine, Montpellier, per dirigersi verso l’Italia dove curò decine di persone ammalate di peste, senza preoccuparsi del pericolo in cui avrebbe potuto incorrere laddove si fosse avvicinato agli appestati. Ma Rocco era fatto così, il prossimo veniva sempre prima di tutto, anche di se stesso.

La sua gente però non gli manifestò la stessa cortesia, e dopo che Rocco contrasse la malattia fu emarginato e isolato da tutti quanti. Si rifugiò in un boschetto per attendere la morte, fino a quando un cane non gli si avvicinò con un tozzo di pane, li leccò le ferite provocate dalla peste e gli si mise accanto per fargli compagnia. Il Santo guarì di li a poco e il cane divenne il suo più fedele compagno.

Dopo numerose altre guasrigione Rocco decise di tornare al suo paese d’origine. Qui però nessuno lo riconobbe più, poco era rimasto della sua bellezza giovanile, e per beffa del destino venne arrestato, da un giudice suo zio, con l’accusa di essere una spia travestita da pellegrino. Rocco non cercò di difendersi e morì in solitudine dopo 5 anni, appena trentaduenne, nella sua fredda cella.

Nel giorno della sua morte le campane delle chiese di Montpellier cominciarono a suonare a festa per aprire le porte dei cancelli del paradiso a Rocco, e solo allora tutti lo riconobbero e si vergognarono per non averlo riconosciuto e di quanto male gli avevano procurato.

I toni della festa oggi a lui dedicata sono fortunamentente più allegri e spensierati. Quella attuale è una prosecuzione ed evoluzione degli antichi riti di pellegrinagggio che si susseguivano nel salento in onore del Santo: tutti i fedeli si accingevano nei pressi del santuario in attesa che ne venissero aperte le porte. I pellegrinaggi si concentravano negli stessi giorni in cui si svolgeva una tradizionale fiera contadina: elementi che sono rimasti anche oggi se pur con una diversa connotazione.

Attrazione chiave della celebreazione dei festeggiamenti è la famosa Danza delle spade. Questa, anche conosciuta come pizzica di scherma, rappresenta uno dei tre temi principali della tradizionale pizzica salentina, insiema alla pizzica de core e pizzica tarantata.


La pizzica de core indica un vero e proprio rituale di corteggiamento, con movenze e allusioni che la chiesa cattolica non concepirebbe. Questo genere di pizzica nacque come una sorta di valvola di sfogo di un popolo passionale che ha trovato nella danza la possibilità di esprimere tutto ciò che non era lecito con le parole.

La pizzica Tarantata invece rappresenta un fenomeno psico-sociale ben più esteso ,che comprende persino lo studio scientifico del comportamento di persone avvelenate dal morso della taranta e che trovavano nelle danze sfrenate l’unica via di guarigione. Si riteneva che la guarigione avvenisse per interecessione di San Paolo, e per questo motivo tutte le persone guarite si recavano a Galatina, presso la chiesa a lui dedicata, per ringraziarlo per la grazia ricevuta e offire in cambio le proprie preghiere. Ci sono molti casi accertati di donne “tarantate” nel basso salento, compreso un ampio volume dal titolo “De Tarantulae Anatome et Morsu” scritto nel XIX secolo, e ripubblicato in anastatica dalla Casa Editrice dell’Iride di Tricase, che raccoglie più di venti casi di persone realmente guarite dal morso del ragno tramite la pizzica.

La pizzica di scherma invece, simula un combattimento di spade, di solito eseguita da due uomini, con movimenti accurati e mirati, molto simili ad alcune arti marziali. Oggi le armi non si usano più, anche se in passato rappresentavano l’elemento chiave della danza. In sostituzione si mima la spada (o un pugnale) con l’indice e il medio di entrambe le mani. I duellanti devono seguire delle regole precise, come ad esempio non voltare mai le spalle all’avversario che cercherà di affondare il suo colpo nel corpo dell’antagonista (in realtà si tratta di colpi finti, tesi più che altro a sfiorare l’avversario). I duellanti veranno sostituiti uno per volta, con persone prese tra il pubblico, mentre la restante parte degli spettatori inciterà il duello a suon di tamburelli che accompagneranno tutta la fase del rituale.

Le origini di queste tre forme di pizzica si perdono nella notte dei tempi. Molto probabilmente si tratta di antichi riti pagani, ereditati dalle popolazioni greche che colonizzarono il salento e che ancora oggi sopravvivono nei comuni delle grecìa salentina. Si tratterebbe di antichi festeggiamenti dedicati al dio Dioniso, il quale incarna tutto ciò che vi è di istintivo, sensuale, caotico e irrazionale nella vita nonchè l’energia della natura. Dioniso era l’unico dio che concedeva alle donne e agli schiavi di partecipare ai suoi riti, i quali prevedevano, oltre alla danza sfrenata e liberatoria, la caccia a mani nude di un animale selvatico, sbranato e ingoiato a brandelli ancora caldo e sanguinante.

Alle donne, in realtà, Dionisio aveva riservato un posto d’eccezione nei rituali che si svolgevano in suo onore. Le Menadi, meglio conosciute come Baccanti, altro non erano che donne che si lasciavano andare alla frenesia più sfrenata, indotta dal dio, agitando un tamburello. La figura umana che balla e suona un tamburello è ormai il simbolo che contraddistingue e ha fatto conoscere la pizzica in Italia prima e nel resto del mondo poi, grazie anche all’operato di numerosi gruppi musicali locali che si sono recatioltre oceano per far conoscere, a chi ancora non avesse avuto il piacere di farlo, questa danza ricca di tradizioni, cultura e storia.

Il legame con il mondo greco si palesa ancora una volta con una forza spaventosa,  rivelandoci che in realtà, nonostante la lingua, la politica e la geografia ci separi dalla patria che un tempo avremmo chiamato casa, le tradizioni, gli usi e i costumi sono ancorati  a quel passato che, nonostante il tempo, faremo fatica a dimenticare.

Marco Piccinni

BIBLIOGRAFIA:
SALENTO meraviglioso mondo di storia, arte e tradizione popolare (1998) – Cultura &Turismo – a cura di Giuseppina Marzo e Antonio Vantaggio;
Viaggio nel cinema di Edoardo Winspeare (2003) – Edizioni dell’Iride – a cura di Francesco Accogli e Virginia Peluso;

SITOGRAFIA:
Forma Mentis.net;
Repubblica Salentina.


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