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I pirati nel mediterraneo

Chi segue le pubblicazioni su Salogentis avrà avuto modo di notar come spesso ricorrono, nella varie tematiche affrontate, il tema dei Pirati e delle incursioni di questi sulla terra ferma.
Per un maggiore comprensione di quanto vi abbiamo raccontato fino a questo momento vi consigliamo di leggere questo articolo di Pierpaolo PanicoUn tratto di mare assai pericoloso, pubblicato su “Terra di Leuca” – n. 35 – febbraio 2010, consultabile on line a questo link.

Nei secoli passati la circolazione delle merci tra paesi avveniva principalmente attraverso il commercio marittimo. Il Canale d’Otranto era un passaggio obbligato per tutte le navi dirette nei porti  dell’Adriatico ma in questo tratto di mare le probabilità di essere depredati da navi pirata erano molto alte. Il luogo più pericoloso era senza dubbio lo stretto passaggio tra Linguetta Cimara e l’isola di Saseno in Albania che permetteva a tutte le navi provenienti da sud l’accesso più breve al porto di Valona. Nel mese di maggio del 1775 la nave veneta denominata “Concordia” comandata dal capitano Antonio Pugnaletto fu assalita da diverse barche mentre cercava di avvicinarsi alla rada di Valona; ne nacque uno scontro a fuoco dominato egregiamente dalla nave veneta grazie alla superiorità dell’artiglieria ed alla validità del suo equipaggio nell’azione di contrasto contro l’attacco del nemico.
Scampato il pericolo, il capitano poté ormeggiare la sua nave nella rada. La mattina del 22 maggio, prima del sorgere del sole, si avvicinò alla nave un piccolo battello con tre persone a bordo: “padron” Mattia Libardo di Brindisi e i suoi marinai Tommaso Talento e Antonio Ustapane. Costoro furono immediatamente fatti salire sulla nave in quanto feriti e seminudi. Mattia Libardo aveva ferite al labbro superiore ed alla mano destra e presentava ematomi su tutto il corpo, in particolare in corrispondenza delle costole.
Antonio Ustapane aveva uno sfregio, provocato con un’arma fendente, che partendo dal petto si diramava sino alla parte inferiore del busto.
Mattia Libardo si accostò al Capitano dicendo: “Capitano Antonio mio, i ladri Cimarioti mi han dato l’assalto, rubato e portato via la mia barca ed campata la vita così ignudo per grazia di Dio; onde accoglietemi ed aiutatemi”. Ai tre uomini vennero consegnati dei vestiti, tra i quali dei calzoni, una “bavretta” ed un corpetto e furono subito medicati. Rimasero ospiti sulla nave del Capitano Antonio Pugnaletto per quindici giorni. Il 10 giugno furono trasferiti su un Trabaccolo diretto a Corfù. In quello stesso giorno, la nave “Concordia” dispiegò al vento le vele e riprese il viaggio “pe il suo destino”. Navigando nei pressi dell’isola di Saseno il
capitano vide una grossa barca incagliata ad uno scoglio; all’uomo parve essere quella di Padron Mattia Libardo, decise perciò di avvicinarsi. Durante la virata, un marinaio scorse in cima al monte dell’isola due uomini, i quali accortisi di essere stati scoperti fuggirono in tutta fretta.
Volto lo sguardo a sinistra l’equipaggio avvistò una barca carica di gente che si allontanava facendo rotta verso Linguetta Cimara. Poco dopo il capitano e i suoi marinai salirono sull’imbarcazione naufragata, constatando che si trattava effettivamente della nave di Mattia Libardo. Gli uomini compresero che la medesima era stata sottoposta a razzia da parte di diversi gruppi di malfattori: dai pirati, dai predoni dell’isola e dalla gente della città di Himare che essi avevano visto allontanarsi poco prima. Sulla nave non era rimasto quasi nulla: pochi attrezzi, qualche botte di vino ed un cappotto “alla Cimariota” che divenne proprietà di un marinaio maltese sposato con una donna di Ragusa. Nel mese di dicembre la nave “Concordia” attraccò al molo di Gallipoli per effettuare il carico di botti di olio.
Qui il capitano Antonio Pugnaletto raccontò quanto accaduto alle autorità giudiziarie competenti.

Pierpaolo Panico


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