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Palazzo Vernazza, un tempio di Iside tra resti Romani e Messapici

Capita spesso, passeggiando nel centro storico di un paese, di guardare distrattamente i palazzi, le abitazione e le strade di cui è composto, presi dal costante pregiudizio anti-culturale che ci induce a non soffermarci a guardare i particolari, a non porci domande su quale possa essere la storia che nasconde ogni pietra, a ritenere che in fondo non ci sia nulla di interessante che valga la pena di analizzare.

Molti dei palazzi di una città sembrano semplicemente dei palazzi, niente di più e niente di meno che un nucleo abitativo realizzato con vari materiali al fine di rendere piacevole il soggiorno della famiglia che vi abita. Alcuni sono stati realizzati da architetti piuttosto costosi, altri decorati da artisti di medio o grande talento, niente che possa suscitare un impulso irrefrenabile a saperne di più su chi l’abbia fatto costruire e il perchè. Se ci ponessimo sempre e solo queste domande, probabilmente, passando nei pressi del palazzo Castromediano-Vernazza a Lecce, potremmo pentirci di non aver rivolto maggiore attenzione nei confronti di un luogo che abbraccia più di 2000 anni di storia.

Il Palazzo si affaccia sull’attuale piazza Pellegrino, un tempo piazza “della zecca“, dalla quale ha rubato un piccolo spazio per permettere la costruzione di un cortiletto al quale si accede con un ingresso ad arco. Sopra di questo, un piccolo terrazzino dal quale si affacciavano le nobildonne. Questo permetteva loro di assistere alle cerimonie, soprattutto di stampo religioso, che si svolgevano in piazza senza mescolarsi al ceto popolare.

Palazzo Vernazza: apertura in occasione della giornata FAI di primavera 2011

Un occhio attento può subito notare come alcuni elementi nell’architettura del palazzo siano tra loro discordanti, come ad esempio un nucleo centrale costruito alla fine del 1400 con uno stile spiccatamente medioevale, un vero e proprio torrione, dal quale si svolgevano probabilmente  funzioni di avvistamento: ipotesi suffragata anche dalla vicinanza con Porta San Biagio, una delle tre porte tra le mura dell’antica Lupiae. A questo si associano elementi residenziali e decorativi, aggiunti probabilmente intorno al ‘500, che hanno conferito al palazzo un aspetto più gentile rispetto a quello più rude di fortezza alla quale i cittadini leccesi erano ormai abituati.

I lavori di restauro condotti dal 2004 al 2008 hanno consentito di rimettere in sesto il palazzo dato lo stato di dissesto e di abbandono nel quale vigeva. Nel corso dei lavori sono state apportate anche alcune modifiche che ne hanno alterato leggermente la struttura, con l’apertura di nuove porte e finestre, la muratura di alcune pareti e il rifacimenti degli splendidi soffitti lignei a cassettoni che si ritrovano in alcuni degli ambienti disposti su tre livelli.

I lavori di restauro hanno permesso di portare alla luce anche due antiche cisterne olearee, che rafforzano la nostra convinzione sull’importanza che aveva questo prezioso liquido giallo per la cittadina. Ne sono state ritrovate alcune anche sotto la superficie di piazzetta Castromediano, insieme ai resti di un antico trappeto. Un piccolo pozzo con decorazioni floreali consentiva il costante approvigionamento idrico ed uno splendido caminetto riscaldava l’ambiente più ampio del pian terreno nelle fredde notti invernali. Non mancava davvero nulla!

Forte è il simbolismo presente nelle decorazioni del palazzo come nelle finestre che si affacciano sul cortile di ingresso che richiamano motivi a candelabra, ossia una pianta che cresce in verticale con foglie di alloro e che rappresenta il fiore dell’agave. Questi fiori si sviluppano una sola volta nella vita della pianta, e dopo averli fruttificati muore. Cresce quasi come una colonna, rappresenta nel simbolismo cristiano la passione di Cristo e la sua ascesa dal mondo terreno a quello celeste. Insieme a questi motivi ornamentali troviamo anche delle conchiglie, simbolo di rinascita. Quasi a guardia delle decorazioni abbiamo poi un cornicione di coronamento sorretto da mensoloni dalle fattezze zoomorfe, antropomorfe e vegetali.

L’aspetto più interessante di palazzo Castromediano-Vernazza non consiste in tutto quello che abbiamo citato fin’ora, bensi quello che per secoli ha nascosto agli occhi dei leccesi e che oggi si può ammirare tramite alcune grate ed una scalinata che conduce in un piano sottorraneo…si tratta di un tempio pagano dedicato ad una delle divinità più importanti di un’antica civiltà: la dea Iside. Anche se tipicamente associata alla cultura egizia il culto della dea Iside, moglie di Osiride e madre di Horus, fu importato anche in Italia dopo la conquista da parte di Roma della terra dei Faraoni. Il culto isiaco non era inizialmente ben visto dai romani ma si diffuse più celermente e in profondità rispetto ai culti legati ad altre divinità come, ad esempio, Bacco e Dioniso.

Fino a poco tempo fa la presenza di un tempio dedicato ad Iside nella cittadina leccese era solo ipotizzato, in quanto da diversi testi si è appreso che molti mercanti si recavano a Lupie per portare un tributo alla dea della fecondità e della maternità. Questi doni constistevano spesso in iscrizioni e monete. Una di queste iscrizioni, Tiberinius Isidi (Tiberio dedica ad Iside) è stata trovata durante gli scavi nel palazzo, insieme alla testa di una statua della dea che, come consuetudine, doveva essere conservata nella cella del tempio dedicata alla divinità.

Un’altro importante ritrovamento è quella del purgatorium, ossia un battistero pagano al quale si accedeva tramite una scaletta che scendeva in un piccola fossa, contenente una nicchia con dell’acqua da utilizzare per la purificazione del corpo prima di poter entrare nel tempio. Questo è un rituale che è pervenuto fino ai giorni nostri, debitamente depurato e modificato dalla chiesa cattolica: si tratta del segno della croce che accompagna ogni fedele, nel momento in cui entra in una chiesa, dopo aver imbevuto le dita in un’acquasantiera. Gli scavi sono ancora in corso, molto probabilmente potranno susseguirsi nuove e importanti scoperte.

Parte dei resti trovati nel tempio, come ad esempio delle colonnine, capitelli e cornici doriche, sono conservate in una stanza a pian terreno del palazzo insieme a tubature di origine romana e altre colonne, porte e parti di archi di probabile origine messapica. E’ molto difficile attribuire una datazione ad ognuno di questi reperti data l’assenza di iscrizioni o altri dati, ma una prima analisi li farebbe risalire tra il IV secolo a.C e il IV d.C. ossia in un intervallo di tempo che vede susseguirsi messapi e romani nel salento. La presenza messapica, già ampliamente certificata nella storia salentina, è resa ancora più insistente dalla presenza di un frammento di un asse stradale messapico, visibile dal pavimento del palazzo attraverso una lastra di vetro.

Oltre ai componenti architettonici gli scavi hanno portato alla luce anche un gran numero di ceramiche ben conservate provenienti dalla Libia e dalla Tunisia, una testimonianza molto importante degli scambi commerciali e artistici tra il salento e i paesi degli altri continenti.

Un piccolo universo tutto da scoprire e tutto all’interno di un solo edificio. Ma a questo ormai siamo abituati. Palazzo Vernazza non è infatti l’unico esempio di “edificio storico-archeologico”. Tempo fa abbiamo avuto modo di parlarvi anche del Museo Faggiano… ma questa, è tutta un’altra storia

Marco Piccinni


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