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Turisti arabi e cinesi, “Kalle-polis” ha una maschera, lu Titoru, e anche il suo gelato

GALLIPOLI – In ogni angolo del Regno delle Due Sicilie, a Parigi, Londra, ovunque in Europa, la Puglia portò la luce. Non i Lumi: il sostrato culturale-filosofico-politico era cristallizzato dalle baronie, bensì quelli dell’olio lampante.

I geni europei, da Diderot a Cartesio, da Marx a Voltaire a Hume, potevano speculare in notti insonni grazie all’olio di Gallipoli e la sua infinita Provincia. Non ci fosse stato il dono di Athena, i britannici alticci di brandy non avrebbero trovato la via di casa e la belle-epòque di Toulouse-Lautrec sarebbe stata triste negli amati bordelli.

Prodotto in 35 frantoi ipogei nella Città Vecchia. Ogni giorno salpavano 30 vascelli (anche 60, fino a 70) verso Francia, Portogallo, Russia, Inghilterra, Austria, Germania, Paesi Bassi e Baltici (Svezia, Norvegia, Danimarca), perfino l’Impero Ottomano. Carico e scarico anche di notte. Fiorì l’industria delle botti (in castagno) e nel 1910 a Galatone quella meccanica delle presse (Officine Ricciardi). In cambio di olio (più costoso il gallipolino rispetto a barese e calabrese, si faceva anche il sapone di Marsiglia, preferito dalle dive del cinema muto), Venezia, Spagna, Francia, Inghilterra davano agli jonici legname e cuoio, spezie e zucchero, ferro e lino. Sino al 1923, nella città nata attorno a uno scoglio erano presenti i vice-consoli delle Nazioni straniere.

Fino al 5 dicembre il prezzo era libero. Il 6 (San Nicola) si decideva per l’intera stagione ed era battuto alla Borsa di Napoli e Londra. Gallipoli esportava quanto Taranto, Brindisi e Otranto messi insieme. Dopo i 200 kg. per la famiglia (onfacino, con ulive d’ottobre), il Signore cominciava la produzione. Vita dura quella dei frantoiani. Sepolti in ipogei scavati nella roccia umida. Età dai 12 ai 25 anni. Uscivano solo per la Processione dei Misteri (Venerdì Santo, oggi parte alle 3 di notte e torna il giorno dopo). Turni di 2 ore di lavoro e 2 di riposo. Non sapevano se fosse giorno o notte. Alla macina muli, asini e cavalli spremuti dai campi: bendati o accecati.

Spiaggia di Gallipoli

Il Sud che non conosci, senza visibilità mediatica, è nella passione con cui Francesca Fontò, nelle viscere del frantoio del palazzo D’Acugna, detto Granafei, nel cuore della Città Vecchia racconta ai turisti di salme e tomoli, sciaghe e nachiri, puzzu l’angiulu e pile regie in pietra leccese, salme, staia e rotoli, pasta-mamma e figlia e fiscoli in giunco o fibra di cocco. “Da quella buca i Signori calavano le vivande: legumi, verdure, pane duro e molto olio”. “Perché cola acqua dal soffitto?”, chiede una turista. “La nostra pietra, il carparo, è porosa – spiega – sopra di noi ci sono giardini che innaffiati causano il percolato”.

“Dove siamo adesso – aggiunge Francesco Fontò, presidente di Gallipoli Nostra – c’era un pozzo nero”. Il frantoio fu ripristinato nel 1985 (nel 1980 si restaurò quello di Palazzo Briganti) con fondi della Camera di Commercio leccese (direttore dei lavori Vincenzo Mariello, assistenza Antonio Marcello) e inaugurato nell’88. 25mila visitatori l’anno in media: lo testimonia il blocchetto dei biglietti.12mila solo ad agosto (in coda sin dalle 4 del mattino). Numeri importanti, sfide vinte, anche in tempi di crisi globale, autovalorizzazione inseguita con caparbietà. Coscienza che la bellezza può dare lavoro, dignità, pane.

“Negli ultimi anni abbiamo visto pure i Cinesi e persino gli Arabi: capiscono l’italiano ma non ne parlano una sola parola”. Fontò ricorda le 2 visite-blitz di Vittorio Sgarbi: “Girammo la città da cima a fondo. Con frasi colorite chiedeva: chi ha messo mano a quel dipinto? Chi ha toccato quel monumento?, stroncando il restauro…”. Al Museo Diocesano Danilo Spiri, di Taviano, mostra i paramenti dei Vescovi della Diocesi Gallipoli-Nardò, seminario, refettorio e alcuni presepi artigianali molto belli. Poi al Museo Civico (direttore Paola Renna), due ragazzi-ciceroni, Lucio Bentivoglio e Giacomo Spiri: anche loro parlano con fervore della bellezza intorno. Al centro del salone lo scheletro di una balena enorme e un balenottero finiti nelle tonnare. Al piano di sopra allineati gli incunaboli. Quindi alla Chiesa della Purità: “Un sistema meccanico – spiega Uccio il custode – fa vedere i 4 Evangelisti dietro le pitture murali”. La Madonna dell’altare maggiore è del napoletano Luca Giordano, 1664 circa. La potente Confraternita degli scaricatori di porto nacque nel ‘600. Aveva, e ha, un codice di solidarietà: lasciavano il 20, 44% della paga giornaliera (da lire 1.70 a 2.25), e in cambio la Confraternita assicurava un carlino al giorno se malati, assisteva quelli cronici pagando il Ricovero di Mendicità, mantenendo vedove, orfani, le spese dei funerali (e 40 messe annue), ecc. Tanto era il lavoro che i Papi (Gregorio XIII il 18/4/1581 e Sisto V il 28/2/1590) accordarono l’assoluzione collettiva ai “bastasi di oglio” che non santificavano la domenica.

E zigzagando fra i turisti, Fontò butta una battuta: “Sà che abbiamo un gelato unico al mondo, fatto con la crema blombièr?”. No, l’ignoravamo. Sediamo ai tavolini del Bar Roma (via De Pace), il ragazzo lo prepara: indoviniamo frammenti di cioccolato, “cupèta” (croccante di mandorle), ecc. E sull’eccetera le meningi vanno in fiamme. E’ la Gallipoli che aspetta di rilanciare il secolare Carnevale di “Titoru”, il pescatore che torna dalle Crociate, trova la moglie con l’altro, la ammazza e si ubriaca e s’ingozza di pezzetti di cavallo fino a crepare d’indigestione. Lo storico Elio Pindinelli afferma che “Kalle-polis” ebbe anche un giornale, “Lo Spartaco”: uscì dal 1887 al 1914, e perfino fonderie di campane. Diede i natali a Giovanni Presta (1720-1797), medico e agronomo che il 25/4/ 1786 inviò 11 campioni d’olio a Caterina II Imperatrice delle Russie e un trattato edito a Napoli. Altri 62 saggi d’olio al Re di Napoli. Frammenti di una grandezza che fu, e che dovrebbe tornare.

Francesco Greco


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