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“Festa de Santu Pati”, 19 Gennaio, Capodanno contadino?

Tiggiano abbina il suo nome alla festa di Sant’Ippazio (Santu Pati) che ricorre il 19 gennaio di ogni anno. La festa comincia la mattina, con la fiera del bestiame e dei prodotti agricoli, e si conclude il pomeriggio con la processione del Santo per le strade del paese. La fiera si caratterizza per la vendita di due particolari prodotti e, cioè, le scìscele (giuggiole) e pestanache, un tipo di carota dolce, spesso di considerevoli dimensioni, adatta al consumo fresco. La processione, invece, si connota perché preceduta dall’innalzamento dello “stendardo”, un’asta lunga sette metri, avvolta da un pesante panneggio e sormontata da una pigna di ghisa del peso di cinque chili.  La festa è un evento molto sentito e partecipato dalla popolazione del Capo di Leuca, in quanto Sant’Ippazio è ritenuto protettore degli organi genitali maschili.

In realtà si tratta della festa del Capodanno contadino con la quale gli agricoltori della zona festeggiano l’inizio dell’anno individuato con il periodo a partire del quale cominciano le colture agricole più importanti. Proprio per questo, la fiera viene descritta come la prima dell’anno durante la quale vengono stabiliti i prezzi di compravendita del bestiame e dei prodotti. Inoltre, per citare alcuni esempi, a partire dal 19 gennaio vengono realizzati i semensai (e ruddhre) del tabacco e del pomodoro, prodotti la cui coltivazione e vendita incideva enormemente nell’economia delle famiglie contadine del Capo di Leuca. Anche per quanto riguarda le colture a lungo periodo (olivo e vite) le lavorazioni per il raccolto cominciano a partire dal 19 gennaio. Conseguenti a tali attività sono le stipule di contratti agrari (affitto, mezzadria, ecc.) che decorrono a partire dal 19 gennaio. Questa data, quindi, indicava l’inizio dell’attività più importante per il sostentamento della famiglia contadina del Capo di Leuca. Proprio per tale importanza l’inizio dell’anno delle lavorazioni è festeggiato con riti propiziatori ed augurali per raggiungere alla fine un buon risultato, cioè, un buon raccolto, una buona entrata economica. Per ottenere ciò bisogna sperare in una buona annata, nella fertilità della terra e nella clemenza del tempo. L’auspicio della fertilità è rappresentata con il simbolo per eccellenza e, cioè, quello fallico. Ecco perché durante la festa si fa ampio consumo di pestanache e scìscele (oppure datteri): le prime rappresentano il fallo in erezione mentre le seconde rammentano i testicoli (frutti con polpa ma dal consistente nocciolo). Si evoca, quindi, lo stato massimo dell’inseminazione. Nel passato, come riporta Alfredo Cattabiani in Florario (Mondadori, 1996), si attribuiva alla carota “la possanza a favorire Venere”. Tale fama era certamente ispirata dalla sua radice “virile” tanto da renderla protagonista nelle pratiche magiche per la cura dell’impotenza.

Santu Pati (San Ippazio)

Il rito trova il suo apice all’inizio della processione del pomeriggio con  la prova dell’erezione: l’innalzamento dello stendardo. L’uomo che deve innalzarlo è colui che vince l’asta, versando la maggiore somma di denaro in favore del Santo. Prima che la statua del Santo venga fatta uscire a spalle dalla chiesa, l’aggiudicatore dello stendardo deve partire in corsa dal sagrato della chiesa, scendere i tre scalini prospicienti e, sempre in corsa con lo stendardo piegato in parallelo alla strada, dopo aver percorso circa cento metri, all’altezza della chiesetta della Madonna Assunta, innalzarlo con strappo fulmineo. Lo sforzo è notevole, se si considera il fatto di dover correre e di portare in parallelo un’asta lunga sette metri, appesantita da un consistente panneggio e sbilanciata al vertice da una pigna di ghisa di cinque chili.  E’ una prova di virilità che rappresenta l’erezione del fallo. Colui che la realizza può andar fiero per aver dimostrato le sue doti e qualità virili e riproduttive. Ma è anche una prova rischiosa in quanto l’uomo che non riesce ad innalzare lo stendardo facilmente potrebbe essere schernito e tacciato di impotente per ciò subire un anno di umiliante vergogna fino alla successiva opportunità. Situazione resa ancora più bruciante se, dopo il limite della chiesetta, l’innalzamento è avvenuto solo per l’intervento di un altro uomo. Ecco perché alcuni, che durante la corsa hanno consapevolezza di non poter innalzare lo stendardo nelle condizioni convenzionali, rallentano la corsa e lo alzano prima del tempo. Non avranno dato grande dimostrazione di sé ma hanno evitato il peggio dell’umiliazione. L’uomo che ha alzato lo stendardo è colui che apre la processione, lo fa svettare e vibrare verso il cielo dal quale si chiede clemenza per l’anno a venire.

Alcuni maschi, per garantire le loro qualità, per la sola appartenenza ad una certa stirpe, scommettono che propri avi riuscivano ad innalzare lo stendardo con una mano, magari alla festa del paese vicino, ed a tenerlo dritto per tutta la processione stretto tra i denti.

Per tutto ciò, Sant’Ippazio, Santu Pati, è considerato protettore degli organi genitali maschili, quindi ritenuto capace di concedere la grazia e guarire i maschi che soffrono di problemi di fertilità o di impotenza. Date queste considerazioni che attengono ad un attributo essenziale quanto identificante del maschio stesso (l’handicap sessuale è il peggiore degli handicap per i maschi), Santu Pati continua ad essere venerato e rispettato ancora come una volta indipendentemente dalle perplessità di credo religioso.

Ancora oggi è ricorrente l’usanza di portare i nascituri maschi, a piedi, in visita del Santo da parte delle madri che chiedono protezione e sana crescita dei genitali dei loro figli, mentre le mogli gli chiedono l’intercessione strofinando un fazzoletto sulla statua lignea per poi la notte passarlo sulla “parte” non funzionante del marito.

Il capodanno contadino, la fera de Santu Pati, è un rito pagano come tanti, cristianizzato con la sovrapposizione di un santo protettore, in questo caso di un santo “greco”, cioè di rito ortodosso, di origine turca, non riconosciuto dal calendario cattolico, che nei primi decenni del XVII sec. è stato portato a Tiggiano dalla minuscola comunità di monaci orientali, c.d. basiliani, che si isolava nei dintorni del paese, vivendo disgregata all’interno di piccole grotte scavate nella terra e nella roccia, le laurie.

L’anno contadino termina alla fine del raccolto,  con il tralcio della vite e potatura degli alberi. Una parte del legnatico è destinato alla fòcara o focareddhra che viene fatta bruciare la sera del 17 gennaio, evento cristianizzato con la festa di Sant’Antonio Abbate, detto Sant’Antonio de lu focu. Il fuoco è usato in segno di purificazione, pulizia ed allontanamento delle influenze maligne. Il 17 gennaio, alla fine dell’anno, si purifica dalle scorie e dagli elementi negativi per essere pronti a cominciare la prossima annata, appunto, a partire dal 19 gennaio.

Scìscele e pestanache, specie e varietà minori ai margini della moderna agricoltura.

I moderni meccanismi di produzione agricola e di mercato hanno posto nella categoria di “minori” quelle specie e varietà di piante agrarie non rispondenti  alle caratteristiche richieste in termini di rese, dimensioni ed estetica del frutto, attitudine alla manipolazione, trasporto e stoccaggio ecc…

Fino ad oggi sono stati soprattutto anziani contadini ed appassionati coltivatori ad aver permesso la coltivazione ed il mantenimento delle piante madri; incoraggiare questi comportamenti e promuovere nuove iniziative agricole che possano dare impulso al risveglio dei “frutti minori”, propri della tradizione rurale della nostra regione, rappresenta una delle principali strategie di salvaguardia di cui si possa disporre. Recuperare e conservare le vecchie varietà significa molte cose; significa, tra le altre, valorizzare il patrimonio antropologico relativo a tutti gli aspetti della cultura materiale legati alle forme di coltivazione della terra, al paesaggio agrario, alla produzione ed al consumo del cibo. L’erosione genetica (diminuzione del numero di varietà coltivate) ha determinato una drammatica restrizione dietetica, gustativa e culturale di ciò che passa nell’alimentazione comune.

Da un punto di vista ecologico la perdita irreversibile di diversità biologica in ambito agrario porta alla scomparsa di organismi perfettamente adattati ai fattori ambientali del luogo e più resistenti ai parassiti, il cui contenuto genico, attraverso opportune selezioni, avrebbe potuto esprimere forme o  varietà sempre più interessanti ed utili per l’uomo.

Scìscele

Il giuggiolo (Zizyphus vulgaris Lam.) è una pianta legnosa di modeste dimensioni, arborea o arbustiva, originaria della Cina meridionale e dell’Asia centrale, da molto tempo naturalizzato nel bacino del Mediterraneo, la sua coltura è sempre più in abbandono. Ha un certo valore ornamentale e nelle regioni desertiche questa specie è utilizzata per fermare le dune e per i rimboschimenti.

I frutti, piccole drupe poco più grosse di un’oliva, imbruniscono a maturazione ed assumono una consistenza simile ai datteri. La polpa è biancastra, farinosa di sapore neutro o leggermente dolce acidulo.

In Italia non esistono varietà selezionate ma solo tipi indicati genericamente “a frutto tondo” (maliforme) e “a frutto oblungo” (piriforme). Gli usi sono diversi e strettamente legati alle diverse culture locali: consumo fresco, marmellate, sciroppi, dolci, bevande alcoliche e liquorose come il famoso “brodo di giuggiole”. Le proprietà medicinali sono legate alla preparazione di decotti espettoranti e tossifughi.

Suggestiva è la citazione contenuta nel Florario di A. Cattabiani: “Nei cibi son solamente dalli sfrenati fanciulli e dalle donne molto le giuggiole desiderate” ripresa da Herbario novo di Castore Durante. Caramelle economiche da succhiare.

Pestanache

La carota (Daucus carota L.) è una pianta biennale della famiglia delle Ombrellifere.

La subspecie coltivata (Daucus carota subsp. sativus) originatasi nel Medio Oriente deriva dalla forma selvatica (pestanaca resta, Daucus carota subsp. carota) molto diffusa lungo i bordi strada e nei campi incolti del nostro territorio.

Conosciuta da Greci e Romani per le sue proprietà medicinali, (anche se spesso confusa con la specie affine, Pastinaca sativa L., la cui coltura è quasi del tutto scomparsa) la carota ha avuto la sua diffusione, tra le piante agrarie dell’Europa occidentale, solo nel medioevo. Per ibridazione e selezione si sono poi ottenute le varietà attualmente coltivate. Queste posso essere distinte in tre grandi gruppi: a radice corta, mezzalunga e lunga; in ognuno dei tre gruppi sono ancora distinguibili varietà a radice cilindrica e varietà con radice conica. Le nostre “pestanache” fanno certamente parte del gruppo di vecchie varietà a fittone lungo e conico, sempre più relegate a coltivazioni minori, destinate a sparire se non saranno conservate e reintrodotte nel mercato delle sementi sempre più monopolizzato dalle multinazionali lontane anni luce dalle singole realtà locali.

Tiggiano, gennaio 2002.

A cura dell’Associazione “Salento, che fare?”

presso Centro Sociale di Tiggiano


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