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“Mancu lu cane de la Vora”, leggende di cani e vore

Il cane è il migliore amico dell’uomo, anche se non sempre si può affermare il contrario. Lo dimostra il profondo legame che lo lega all’essere umano fin da epoche antichissime. Nel sud-est dell’Algeria infatti, sulle rocce del massiccio del Tassili N’Ajjer, sono visibili delle incisioni che rappresentano dei cani con la coda arricciata accanto ai loro compagni umani, risalenti ad un periodo compreso tra 6000 e 1500 anni fa.

Il cane con il tempo ha assunto un ruolo sempre più importante nelle varie civiltà, come ad esempio per gli egiziani, che lo antropomorfizzarono nelle figure di Anubi e Upuaut e lo tratattarono alla stregua di uno psicopompo, ossia il custode degli inferi che sta a metà tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

La promettente “carriera” del quadrupede venne poi stroncata dal papato, in quanto riteneva che l’animale in genere rappresentasse l’impersonificazione dei comportamenti deprecabili dell’essere umano. Bisogna aspettare l’anno mille, quando dopo la scampata “fine del mondo”, si assiste ad un graduale risveglio dell’arte che riprende nella proprie composizioni la figura del cane, distaccandosi dai dettami della chiesa che con il tempo ritornerà sui suoi passi. L’animale viene così riscattato fino a raggiungere un ruolo di primo piano nella sfera Cristiana, come ad esempio quello di fedele compagno di San Rocco nei giorni in cui contrasse la peste.

Il cane entra a far parte anche degli ordini religiosi, come quello dei domenicani, “Domini canes” (mastini del signore) così come loro amavano definirsi, grazie ad un aneddoto che vede protagonista la madre di San Domenico di Guzman, fondatore dell’ordine: durante la gravidanza la donna sognò di portare in grembo un cane che al momento della nascita avrebbe infiammato tutta la terra con una torcia che portava in bocca; questa immagine divenne anche il tradizionale simbolo iconografico dell’ordine.

Non è quindi impensabile che intorno alla figura di questo animale siano sorte nel tempo molte leggende, come quelle che lo vedono protagonista ad Acquarica del Capo:

si racconta che un contadino pur versando in una situazione economica precaria, decise di prendere con sé un cane per far felici i suoi bambini. Lo condusse a casa propria e gli diede da magiare come se fosse un componente della famiglia. La necessità di sfamare una bocca in più indispose seriamente la moglie del contadino che, nonostante tutto, decise di tenerlo per non arrecare dispiacere ai suoi figlioli. Il cane era molto intelligente e cordiale e, non appena gliene fu data l’occasione, non perse tempo per rendersi utile tra i campi o aiutare il padrone a mettere in fuga dei ladri che stavano cercando di portar via un asinello. L’animale avvertito il pericolo abbaiò fino a svegliare il padrone il quale, una volta accese le luce per accertarsi di cosa stesse succedendo, notò dei loschi individui che cercavano di trascinar via l’animale da soma. Il contadino si fece coraggio e affrontò i delinquenti che fortunatamente decisero di darsela a gambe. La famiglia tutta manifestò una profonda riconoscenza per il proprio cane.

Una notte di Natale la povera bestiola venne ferita da un petardo esploso vicino il suo musetto, lanciato da ragazzini poco accorti o senza cuore. L’animale venne portato da un vicino di casa del contadino al veterinario più vicino, sito nel comune di Presicce. Il veterinario visitò il cane ma la diagnosi non fu confortante: la povera creatura perse la vista.

L’animale venne riportato in casa e sottoposto alle cure suggerite dal veterinario. Divenne molto aggressivo, ringhiava contro tutti e si rifiutava di fare qualsiasi cosa. Mosso a compassione e suo malgrado, il contadino non trovando il coraggio di uccidere l’animale con i mezzi tradizionali e porre fine alle sue sofferenze, si lasciò convincere  da un amico a lanciarlo nelle vore, delle profonde cavità nella roccia, così come lui aveva fatto per il suo cane.

Non passava giorno che il pover’uomo non si sentì dilaniare dai sensi di colpa, coltivati anche dalle incessanti lacrime dei suoi bambini. Un giorno però, ritornano a casa insieme a tutta la sua famiglia, vide il cane che li attendeva sull’uscio della porta di casa. Immensa fu la gioia di tutti che poterono riabbracciare quel compagno perso e  che nessuno credeva di rivedere mai più.

Come abbia fatto il cane a risalire dalla vora nessuno può dirlo, anche se sono in molti a credere nell’esistenza di cunicoli sotterranei che collegano le vore di Acquarica a quelle di Barbarano del Capo. Quello che è certo è che si verificarono altri fenomeni simili nei giorni che seguirono…

Da allora, dagli anziani del paese, ogni qual volta si vuole mettere in risalto la fedeltà di in individuo o di un animale, non è raro sentir dire “mancu lu cane de le vore!”.

Vora di Barbarano, interno (Fonte: www.nardoweb.it)

Marco Piccinni

Bibliografia:

-Salento da favola, storie dimenticate e luoghi ritrovati – Supplemento a QuiSalento n. 2/2010, Guitar Edizioni

-Un’amicizia vecchia come il mondo, Marco Iuffrida – BBC History Italia, Sprea Editori, Agosto 2011


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