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Il museo dell’olio

Non esiste posto migliore nel Salento dove poter allestire un museo dell’olio di un frantoio ipogeo. Su tutto il territorio se ne contano a centinaia anche se sono pochi quelli ancora agibili o in una stato di conservazione tale da essere resi fruibili al pubblico. Il trappeto di Giuggianello è stato da poco recuperato dai volontari dell’associazione CCSR (Centro di Cultura Sociale e di Ricerche Archeologiche, Storiche e Ambientali di Giuggianello) che vi hanno allestito al suo interno un piccolo ma significativo museo dell’olio, salvandolo da una destinazione ben meno consona: un pub.

Il museo dell'olio nel frantoio ipogeo - Giuggianello

Non vedrete i soliti pannelli in cui si illustra l’iter della produzione olearea, ma estratti di vita di uomini costretti a vivere sotto terra per diversi mesi all’anno senza poter uscire se non per le feste religiose di precetto del mese di dicembre. La vita sotto terra non era semplice. Un clima decisamente umido ma con una temperatura ideale per la conservazione dell’olio. Un’imposizione dovuta a ragioni pratiche quindi ma anche economiche: scavare costava molto meno che costruire e l’attività dello “zuccature” era decisamente a buon mercato.

In un frantoio lavoravano in medie 4/5 persone per macina più il “nachiro”. Questi era il capo, colui che “non lavorava” come  si suol dire, ma che doveva regolamentare l’operato all’interno del frantoio nel periodo di attività (di solito da Novembre ad Aprile). Aveva il suo ufficio dove ritirarsi per un pò di intimità. Sulle pareti conteggiava le giornate di lavoro. Gli altri dipendenti invece, a turno, si dividevano un giaciglio per riposare alcune ore, proprio come gli animali per la macina che riposavano a turno in una stalla improvvisata.

L’attività in un frantoio non si interrompeva mai, né di giorno, né di notte. Il museo è stato quindi ri-arredato per rievocare l’ambiente originario: il pagliericcio ed una coperta sul giaciglio della “iurma” (i dipendenti del nachiro), l’angolo cucina, la mangiatoia per gli animali li dove c’è il cartonato di un mulo oltre che un torchio e tutti gli strumenti indispensabili per condurre al meglio l’attività.

Le olive venivano condotte dai contadini al frantoio, per poi riversarle al suo interno da una piccola apertura nella volta, indispensabile per il ricambio d’aria. Venivano poi riposte nelle sciave, delle stanzini-cavità per podere o contadino in attesa di essere sottoposte ad una prima lavorazione per mezzo di una macina. La pasta così ottenuta veniva disposta all’interno dei fisculi per poi essere pressata da una torchio. L’olio spremuto si riversava in una vasca connessa ad altre al fine di realizzare un sistema di vasi comunicanti dai quali si effettuava una prima divisione dell’olio dall’acqua vegetativa di scarto.

La maggior parte dell’olio prodotto in Puglia era lampante. Le olive rimanevano al suolo per troppo tempo prima di essere raccolte e portate a macinare. L’umidità assorbita rendeva il frutto estremamente acido, così come l’olio che se ne otteneva dopo la spremitura. L’olio così ottenuto giungeva in tutta Europa sfruttando le vie di comunicazione marittime. Decine di navi partivano ogni giorno dal porto di Gallipoli, sede della borsa dell’olio, dove vennero costituite le ambasciate dei principali paesi europei coinvolti nel commercio.

L’olio, l’autentico oro giallo, è stato uno dei capisaldi dell’economia del regno delle due Sicilie. Interminabili distese di ulivi, il dono di Atena all’uomo, per i quali sono stati scavati decine e decine di antri dove poter lavorarne i frutti. Delle città sotterranea spesso nascoste, quasi sconosciute, nelle quali si conduceva una vita parallela e ben diversa da quella in superficie. Non esisteva la concezione del tempo, delle stagioni.

Con il tempo il Salento ha conosciuto anche un diverso uso dell’olio, quello alimentare, e contemporaneamente l’attenzione del nascente stato italiano si spostava verso prodotti più redditizi, al nord, laddove le vie commerciali permettevano scambi più vantaggiosi e ad ampio raggio. L’imposizione di forti dazi doganali per i prodotti di importazione da parte di molti dei paesi Europei a cavallo tra il XIX e XX secolo decretò una forte crisi nelle esportazioni e il mercato salentino, già fortemente discriminato dall’unità, rimase totalmente isolato.

Nonostante la meccanizzazione di tutti i processi agricoli ci sono tuttavia posti, come il museo dell’olio di Giuggianello, dove la tradizione non ha incontrato compromessi e, anche se non più utilizzato, possiamo ancora godere a pieno della bellezza delle arti dei nostri avi. Per sapere chi siamo, da dove veniamo.

Marco Piccinni


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