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Filosofia, l’Agenda della virtù contro l’infelicità

Bene e male, gioia e dolore, vita e morte, fortuna e fato avverso. Da quando è nata, da Aristotele e Plotino a Severino e Sgalambro, la filosofia specula su questi e altri temi forti che intrigano nel profondo l’uomo e la sua coscienza. E se è vero che le culture, da Oriente a Occidente, trasversalmente alle confessioni religiose, sono attraversate dallo stesso fiume carsico, che vivono e si alimentano di una forza oscura, in una osmosi strutturale, è anche vero che la riflessione si adegua al tempo che si attraversa e pur attingendo agli archetipi del passato non può, per sua natura ontologica e per la sua stessa sopravvivenza, che rinnovare, rimettere a nuovo le radici adeguandole agli input della modernità. In questo modo l’albero del pensiero si rinnova e fruttifica a ogni stagione donando all’umanità i suoi frutti.     

Lo conferma il giovane (è del 1976, è nato a Tricase, nel Leccese, ha studiato pianoforte, si è laureato in Lettere e Filosofia all’Università del Salento, segue assiduamente il Festival Filosofia di Modena)  Alessandro Del Genio, appena giunto in libreria con “Agenda della virtù contro l’infelicità”, Edizioni Miele, pp. 120, € 9.50 (collana “Ben-Essere”). Un libro che insegna, con un suo candore dialettico convincente, come ritrovare se stessi nella perversa babele semantica in cui siamo avvolti, attraverso il pensiero dei grandi del passato riletto in chiave moderna, la meditazione, il silenzio in noi, la solitudine del mondo.

E dunque, la forza delle idee di ieri per curare le ferite della modernità, consapevoli che “l’essenza della felicità consiste in un’imperturbabile serenità e nella fiducia incrollabile di conquistarla”. Ma anche l’inquietudine che allaga l’animo umano quando l’individuo si rende conto delle asprezze incontrate nella ricerca, e con Kant conviene che se “date a un uomo ciò che desidera egli sentirà che questo tutto non è tutto”. Quindi l’insoddisfazione come condanna quasi biblica, archetipo culturale che magari andrebbe relativizzato convenendo con Voltaire: “Tutti gli uomini sarebbero necessariamente uguali, se fossero senza bisogni…”.

Del Genio riflette alla grande collocandosi al crocevia delle culture d’ogni latitudine e longitudine, di ieri e oggi, sospeso fra le confessioni religiose, dal Cristianesimo al Buddismo, enucleandone i punti di contatto, rimodulandone l’etimologia. Specula sui loro topos attualizzati al terzo millennio. L’equanimità, per esempio. Una delle qualità di un sentire equanime? “L’estrema duttilità, elasticità che conferisce forza, di contro alla rigidità di un atteggiamento non equanime”, che converge verso la “liberazione”, ovvero “il totale e completo rilassamento di tutte le tensioni fisiche, emotive e mentali”, ma “senza attaccarsi al nulla, manco al non attaccamento” (Nagarjuna), che completa il pensiero: “Non dobbiamo andare da nessuno. Lascia stare il nulla”.

Altro pensiero degno di speculazione: la devotio, concetto con cui Crisostomo e Benedetto da Norcia contrastano gli avversari del monachesimo e che si regge sul silenzio, la riflessione appartata, mèmori del fatto che “è necessario controllare gli occhi e la lingua, che sono la sorgente del peccato. Il peccato non dovrà mai passare dal cuore alla bocca”. E infine l’imparzialità. Osserva Del Genio (riprendendo Umberto Galimberti): “Oggi che il sacro non c’è più, esso ci abita nell’inconscio; non avendo più riti collettivi siamo usciti dalla dimensione sacrale”. Non solo riti collettivi (quelli ci sono: la tv-spazzatura), ma non abbiamo più nemmeno”Weltanschauungen”, cioè visioni scagliate nel futuro: ci limitiamo alla miserabile gestione dell’esistente, una condizione umana frustrante e paranoica. Eppure Max Weber, nel secolo scorso, teorizzò l’uomo “donatore di senso”, perché siamo noi, la nostra scala di valori, a infonderglielo. L’angoscia e lo smarrimento nascono anche dal fatto che essi sono stati relativizzati. Questo libro aiuta a lenire i morsi della desolazione esistenziale, lo smarrimento cosmico, per rimodularsi: in cerca della bellezza possibile.

Francesco Greco


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