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Castiglione d’Otranto, “Chi semina utopia raccoglie realtà”

Sento cantare l’America… Massimiliano Marzo spegne il trattore verso le 12, quando mangiano i contadini. Ha finito la “trajatura”, operazione che “seppellisce” il grano seminato a impedire il saccheggio di uccelli e formiche. Ha l’aria di un eroe omerico, occhi azzurri, sguardo sicuro di chi ha domato le zolle. Siede sotto l’ulivo, gli danno un piatto di “cicureddhe” (cicorie selvatiche) e “fave nette” (purè di fave) e un bicchiere di nero. Mangi il pane fatto col lievito-madre e con amore dalle abili donne del paese e pensi ai versi immortali di Withman e Neruda: “Ricordo in un campo di grano / un papavero bruno / più serico della seta / con aroma di serpente…”.

“Portatevi le stoviglie!” hanno detto le associazioni organizzatrici: Ulisse, Knidè, Auser, A. Benedetti Michelangeli, Unità Progressista, Cea Andrano, Salentotetti, Movimento Ritorno alla Terra. Intenso il pathos rivoluzionario: apre il solco fra un Medioevo infinito del Sud e un futuro da inventarsi e scaglia una sfida e un trend in un tempo ch’è già qui. “E’ la nostra Rivoluzione d’Ottobre – sorride Gigi Schiavano, agronomo autorevole come un guru – sapete che lo Zar fu un grande esportatore di grano in Europa ma i contadini morivano di fame?”. Ecco la spiga gentile del farro monococco: “Ripartiamo da qui: è la prima coltivata dall’uomo 5mila anni fa, poi é stata ibridata…”. Dice di agricolura biologica, politica alimentare della Fao anni ‘60, cita un saggio di Sergio Salvi su Nazareno Strampelli (genetista marchigiano che ibridò 800 specie di grano tenero), l’irlandese Erna Barnett che ha combattuto le multinazionali (morta il 6 gennaio), le varietà coltivate: “Gentilrosso” (Russia), detto “Capirussu” o “Russignu” (tenero), “Tignusu”, “Capeti”, “Capinera”, “Kamut”, “Saracolla”, ecc. Rompe i chicchi, spiega cos’è la farina, la semola, insiste sull’urgenza di riappropriarsi del germoplasma autoctono, ecc.

Castiglione d’Otranto (Lecce), contrada “Jannare”, 3 ettari di buona terra che Maria Addolorata Rizzo, 87 anni, 7 figli, ha coltivato una vita: “Facevo tabacco da sola: che emozione vedere tanta gente – si commuove – quanti lamponi e cozze con la panna ci ha dato!”. Aggiunge la figlia Giovanna Fersini: “Ultimamente l’abbiamo data a una cooperativa, poi un colono: e ora ai giovani”. Per un’ora la semina è in stand-bye. Nella notte è piovuto, la terra arata, sino a ieri screpolata dalla siccità, è sazia. L’operazione “Semina utopia raccogli realtà” forse salta: lo capisci dai silenzi, le rughe marcate dal dubbio dei vecchi. Schiavano ha portato germogli di rose e lupini: insegna ai piccoli a metterli a dimora. I saggi calzano gambali, noialtri scarpe della domenica. Qualcuno traffica col tablet: “Piove alle le 5!”, urla. Il sole si fa forza, scaccia le nuvole, s’impadronisce del cielo, beve la pioggia. Alle 10, come una liberazione, la voce corre tra “furesi” vecchi e nuovi: si semina! Le rughe s’addolciscono in sorrisi gioiosi, contagiosi. E’ festa! Aprono i sacchi di seme: un q. a ettaro. Sacchetta in grembo i grandi, secchio i bambini, tecnica “a ventaglio”, alla “stajata” (fronte di 10 m. limitato da canne conficcate in terra) avanzano fra gli altri Vito Rizzo, 97 anni e Antonio Botrugno, 11 (nella foto di Dalila Longo).

Si comincia col grano duro “Cappelli” (ibrido creato nel 1905 da Strampelli, nel 2006 lo ricorderà Sergio Salvi), qualità eccellente, spiga alta, resa poca (perciò abbandonato): 15-18 q. a ettaro (la qualità “Creso” arriva a 40-50). “Ma il glutine è basso, è digeribile: buono per pane e pasta”, dice Vito Moscatello, altra autorità. Adatto ai celiachi? “Pure a chi tiene alla linea: sazia e non gonfia, ma i medici consigliano quello delle farmacie, non il nostro a km. 0”. Analitico come un economista keynesiano. Guarda i vecchi eccitati al lavoro: “E’ un peccato non far nostri i loro saperi…”.

Ada “Lati” Addolorata Rizzello arriva alle 11 con una brocca. Vedova da giovane ha cresciuto e dato un futuro a 3 figli. Versa il caffè in bicchieri di carta, li butta in uno shopper come se la plastica fra le zolle fosse blasfema. L’usa-e-getta qui è peccato mortale, il rispetto per la terra sacro. I bambini giocano con le rane. “U ranu è porcu!”, sorride Ada, vuol dire che puoi buttarlo ovunque, cresce sempre. Brandelli di passato emergono dal lago dorato della memoria: si seminava ai Morti, qualche anno all’Immacolata per le piogge. Un’altra vecchia taglia corto: “Sìmmana quannu voi, sempre a messi ccoji!” (Semina quando vuoi, sempre a giugno mieterai). Dopo il “Cappelli” (diffuso in Capitanata), tocca al farro, poi l’orzo.

L’emozione dell’evento nello sguardo dei vecchi: Vito Rizzo (“nonno di tutti”), 2 anni in un campo di concentramento tedesco e Vittorio Pantaleo, 86, alto e dritto: pensavano di abbandonare la valle di lacrime senza vedere i giovani tornare alla terra, il fato gli ha dato questa gioia, il cuore ha un moto d’incontenibile euforia.

Non serve la zingara per dire che qui si rimodula il rapporto con la terra e in anticipo sui tempi hanno messo a dimora un seme che darà frutti a giugno e soprattutto nel tempo che verrà. C’è bisogno di una normativa: aiuti, sussidi, ma la casta autoreferenziata, che ruba, s’ingozza di ostriche, traffica lingotti, diamanti, case di lusso, non farà nulla. Ha ucciso la terra: l’ha asservita all’Europa continentale con incentivi per espiantare vigneti, e quando trova i soldi finiscono nelle tasche dei “don”: qui li chiamano così.

Semina a Castiglione (Foto di Dalila Longo)

Mangiamo squisiti fagioli cotti al fuoco. I vecchi non hanno mai il bicchiere vuoto: glielo riempie una vecchia che gira di continuo fra le tavolate sotto gli ulivi. Spunta una chitarra, un tamburello, un ragazzo con l’organetto. I vecchi cantano stornelli d’amore e di lavoro. Guardi la terra: è diversa, ora splende, è viva, bella: ha un futuro. “Abbiamo finito di seminare!”, gridano Emanuele, Andrea, Gianluca, Simone, Pierpaolo: bambini sui 10 anni. Anche Matteo, sulla sedia a rotelle, ha seminato fra gli applausi, e persino il cronista: che emozione!

Il sole è caldo. Qua e là frammenti illuminanti come saggi: “A mano aperta, si semina a mano aperta…”, insiste Vito. “E’ un esperimento: abbiamo seminato col primo quarto di luna decrescente, col primo freddo la radice sarà più resistente…”, spiega Donato Nuzzo, uno dei giovani che ha ideato l’evento. Odio per la chimica nei campi, i semi morti delle multinazionali, il costo: 109 € a q., la quotazione bassa del prodotto: “Non paghi manco la trebbia”. Ragazzi parlano di una coop. La buona riuscita emoziona Schiavano che pensa ad altre semine: 2 ettari un pò più a nord a incrociare la 275: provocazione con sms a caste politiche e lobby del catrame: “Che mangino merda!”. Cita terre cosparse di rovi da rubare al deserto che avanza sfidando quello più brutto in noi che però s’inizia a combattere.

Sento cantare l’America… Anzi, Terra d’Otranto. Domani le risate dei piccoli, il “rock” dei trattori, le voci dei vecchi modi gentili mani callose che stornellano (i nostri gospel), i ragazzi del tamburello attaccano “E lu sule calau”, il tintinnio dei brindisi salirà al cielo a ingraziarsi gli dèi. Il seme crescerà e darà frutti in tutte le terre scoperte e da scoprire e in altre ancora sparse fra meridiani e paralleli, ovunque i popoli han fame di pane e dignità. Buona fortuna, Castiglione! Solo le stelle sanno il domani. Intanto però voi, aprendo solchi e coltivando utopie, avete scritto una bella pagina, ridato fertilità e dignità alla terra ‘nicchiàraca (incolta) che, dice quel motto, “non l’hai mai a pagare”, i have a dream e… “Il resto era l’asprezza / del grano tagliato e dorato. / Io m’abbracciai più di una volta / a lato d’una trebbiatrice” (Neruda).

Francesco Greco


Un commento su “Castiglione d’Otranto, “Chi semina utopia raccoglie realtà”

  1. Sonia ha detto:

    Con queste righe di Francesco Greco ho vissuto per la seconda volta quella magica domenica di ottobre sulla terra rossa nella contrada “Jannare”.
    Grazie a tutti
    Sonia, figlia di contadini

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