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I Martiri di Otranto finalmente Santi: il lungo iter della loro canonizzazione

Nell’ormai famoso concistoro dell’11 febbraio 2013 durante il quale il papa Benedetto XVI ha stupito il mondo con la notizia della sua rinunzia al soglio pontificio, è stata comunicata la data della canonizzazione dei Martiri di Otranto. Essi saranno proclamati Santi dal nuovo papa  in piazza San Pietro il 12 maggio 2013 nel contesto dell’anno della fede indetto da Benedetto XVI nel 2012 e che si concluderà il 24 novembre prossimo nella solennità di Cristo Re.

Siamo quindi al felice epilogo di un iter lungo e travagliato, durato circa cinquecento anni. Ma perché un percorso così lungo? e cosa cambia nella venerazione dei Martiri Idruntini con la loro canonizzazione?

Innanzitutto bisogna rilevare che la storia dell’agiografia non è nuova a processi così lunghi, anzi ne enumera molti casi. Poi bisogna rimarcare che un tempo, nonostante ci fosse la proclamazione papale, bastava la proclamazione del popolo (santificazione per acclamazione ) per ritenere santi i campioni della fede, perché, come si diceva, Vox populi vox Dei, ma in questo caso il culto, in genere, rimaneva ristretto a livello locale (vedi il caso di Sant’Oronzo), a meno che la fama dei miracoli, o degli scritti o del ruolo nella storia della chiesa del candidato alla canonizzazione, non gli dava una risonanza più ampia o universale. Qualcosa di simile avvenne per i Martiri di Otranto, quando il popolo tutto, ivi compresi papi, vescovi, sovrani, chierici e laici, ritenne santi gli 800 eroi otrantini per lungo tempo di fatto,  nell’attesa  di una proclamazione ufficiale della loro santità. I Martiri del colle Minerva, i cui cadaveri rimasero insepolti, ma integri e profumati, per ben 13 mesi, furono da subito considerati santi dal popolo perché, inequivocabilmente, avevano dato la vita per Cristo e per non rinnegare la propria fede cristiana. Ne sono prova il culto prestato loro sin da subito e la proclamazione della loro santità in numerosi scritti dell’epoca. Già il fatto che quei resti fossero collocati nella cattedrale di Otranto, appena la città fu liberata nel 1481, la traslazione di una parte di quelle reliquie a Napoli, capitale del regno, dove furono collocate con grande venerazione nella chiesa di Santa Caterina a Formello, la nascita di alcune cappelle o chiese dedicate alla Regina dei Martiri con riferimento ai Martiri otrantini, sono segno eloquente del culto loro tributato spontaneamente dal popolo. Ma c’era bisogno di un riconoscimento formale del culto da un punto di vista giuridico.

Fino ad Alessandro VII (1599-1667) non c’era ancora distinzione tra santi e beati.  Ma poi le procedure canoniche cambiarono per ordine del papa Urbano VIII. Le norme da lui emanate  prevedevano due vie per la beatificazione: una ordinaria che contemplava la beatificazione formale a prescindere dal culto ed una straordinaria per i servi di Dio per i quali già da tempo immemorabile si tributava culto e venerazione. I martiri di Otranto ricadevano proprio in questo caso eccezionale ( casus excepto).

Il primo processo canonico informativo  si celebrò in Otranto nel 1539, dunque a quasi 60 anni dall’evento, ed in quel processo istruito alla presenza del vescovo di Scutari Antonio de Beccaris, vicario generale dell’arcivescovo di Otranto Pietro Antonio de Capua, impedito a governare la diocesi poiché, a causa della giovane età (23 anni), non era ancora insignito dell’ordine episcopale, intervennero diversi testimoni oculari o auricolari dell’eccidio e del martirio, tra cui il nipote dell’arcivescovo Stefano De Agricolis o Pendinelli ucciso dai Turchi in cattedrale, il canonico abate Angelo Pendinelli, che al tempo dei fatti era diacono. I testi furono persone anziane che al tempo dell’eccidio erano ragazzi o giovanissimi che, fatti schiavi dai turchi, in seguito riuscirono a liberarsi e tornare ad Otranto. Questo processo informativo fu richiesto dal sindaco della città di Otranto, Giovanni Francesco de Cesanis  in forma ufficiale allo scopo di ottenere una liturgia appropriata per i Martiri già venerati con culto non ufficiale.

Non mancano nella storia della canonizzazione dei Martiri i colpi di scena. Infatti, nel 1660-62, sotto il governo del vescovo Gabriele Adarzo de Santander e nel 1677, con Ambrogio Maria Piccolomini, furono redatti alcuni atti informativi, che furono poi inseriti, insieme con quelli del 1539, nel processo ordinario per il riconoscimento del culto (beatificazione equipollente)  che si celebrò dinanzi all’arcivescovo Nicolò Caracciolo dal 1755-56 . Ma gli atti del processo furono consegnati a Roma, alla Congregazione dei Riti, soltanto il 28 agosto 1758, ben due anni dopo! non solo, ma presentavano interpolazioni e anacronismi evidenti e, soprattutto, la copia del processo del 1539, ad un confronto con la copia trascritta e pubblicata nel 1670 da Francesco Antonio  Capano di Galatina nella sua opera, risultava falsa e rimaneggiata. Due periti calligrafici vaticani scoprirono che perfino la firma di autentica dell’arcivescovo Piccolomini era falsa ed il suo sigillo preso da altri documenti ed attaccato in modo posticcio agli atti! A quale scopo falsificare i documenti?  I curiali otrantini  speravano nel riconoscimento del culto ab immemorabili e senza interruzione (la via più breve per la beatificazione) e temevano che il culto non fosse riconosciuto come tale se avessero dichiarato che nel 1539 era stata richiesta la messa e l’ufficiatura per più martiri al posto di quella per i defunti, fino ad allora celebrata, e  perciò attestarono che il processo del 1539 era stato istruito  per ottenere da Roma, l’elevazione dei Martiri a  patroni principali della città e non al fine di poterli onorare con l’ufficiatura di più Martiri, falsificando i documenti! La Congregazione, scoperto l’inganno, dispose che gli atti di quel processo fossero accantonati e si celebrasse ex novo un secondo processo diocesano. Il nuovo vescovo di Otranto, mons. Giulio Pignatelli, non se la sentì di presiederlo  e chiese a Roma che,  per fugare ogni sospetto di parzialità, un altro vescovo  lo presiedesse. Fu incaricato il vescovo di Lecce mons. Alfonso Sozy- Carafa, suffraganeo di Otranto, ad istruire il processo. Il presule leccese, con lavoro intenso ed incalzante, imbastì il processo in breve tempo: dal 12 luglio  al 5 ottobre dello stesso anno 1751. Quando la causa passò a Roma, dopo alcune discussioni, si decise di eliminare dagli atti la copia otrantina apocrifa del processicolo del 1539 e sostituirla con quella del Capano. Tolto il grande ostacolo, la causa andò avanti speditamente: la Congregazione  si pronunciò favorevolmente sul culto riservato ai Martiri ab immemorabili il 7 dicembre 1771 ed il Papa Clemente XIV lo confermò il 14 seguente. Era il riconoscimento ufficiale di un culto già esistente e coincideva, di fatto, con la beatificazione per via straordinaria. Tanto che l’anno successivo fu concessa la messa propria dei Martiri alla diocesi e si estese nel 1773 a tutto il Regno delle due Sicilie.

Il riconoscimento del culto segnò una lunga fase di arresto nell’impegno per la canonizzazione, forse perché la chiesa di Otranto, ormai, si cullava sul fatto di possedere l’essenziale per venerare i suoi Santi.

D’altro canto la mole ingente delle opere storiche sui Martiri, che si moltiplicavano, insieme ad elementi spuri e leggendari inevitabili in simili casi, imponeva un lungo, competente e laborioso lavoro critico di equipe sulle fonti per accertare la verità del martirio e la continuità nel culto. Un lavoro, così diuturno ed oneroso, anche sul lato economico, da scoraggiare diversi arcivescovi che nell’assumere il governo della diocesi dei Martiri, si erano pubblicamente impegnati a far partire la causa di canonizzazione.

Nel secolo scorso  gli studi critici, soprattutto per impulso del vescovo mons. Nicola Riezzo, ora anche lui servo di Dio, fiorirono in seguito ai convegni organizzati per il secondo centenario della beatificazione  (1971) e per il quinto centenario del Martirio (1980). Gli atti di quei convegni pubblicati sono pietre miliari nella storiografia del martirologio idruntino. Canonisti e storici di grosso calibro, come R. Iurlaro, A. Antonaci, A. Laporta, D. Moro, G. Gianfreda, G..Vallone ed altri, hanno impresso un giro di boa allo studio delle fonti, con le loro pubblicazioni, permettendo nel 1988 all’arcivescovo Vincenzo Franco di poter costituire una Commissione Storica in vista  della raccolta sistematica della documentazione circa il fatto del martirio e aprire, finalmente, il processo diocesano di Canonizzazione il 16 febbraio 1991. Esso si concluse il 21 marzo 1993 e presentato alla Congregazione delle Cause dei Santi, fu riconosciuto valido il 27 maggio 1994.

Si apre così la fase romana del processo, essendo postulatore il padre Ambrogio Sanna, francescano conventuale. Il 17 ottobre 1995 il relatore storico P. Yvon Beaudoin presenta il poderoso volume a stampa della  Positio super martyrio.

Il 28 aprile 1998 si tiene il Congresso dei Consultori Storici, nominati dalla Congregazione delle Cause dei Santi, con parere ampiamente favorevole.  Frattanto viene nominato un nuovo postulatore nella persona della dott.ssa Silvia Monica Correale, di nazionalità argentina, che prende in mano la causa e la fa progredire alacremente. La dott.ssa  Correale è la prima donna in assoluto che nel 2007 è stata nominata direttamente dalla Congregazione postulatrice per le cause di Santi. Essa segue attualmente numerose cause. Tra l’altro, la causa di beatificazione di Antonio Gaudì, il famoso artista e architetto della Sagrada Familia di Barcellona, e, come vice postulatrice,  anche la causa di don Tonino Bello.

Il 17 aprile 2007  la Commissione dei Cardinali e Vescovi nella sessione ordinaria, sentita la relazione del ponente della causa,  mons. Salvatore Boccaccio, Vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, riconosce che i Beati Antonio Primaldo e soci laici furono uccisi per la loro fedeltà a Cristo. Il 6 luglio dello stesso anno il papa Benedetto XVI, ricevendo in udienza privata il cardinale José Saraiva Martins, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, autorizza la medesima Congregazione a promulgare il decreto riguardante il Martirio dei Beati Antonio Primaldo e Compagni Laici uccisi in odio alla fede.

Il fatto del martirio è riconosciuto, non solo dalla critica storica, ma anche ufficialmente dalla chiesa cattolica nella persona del sommo pontefice. Ormai non manca che il riconoscimento di un miracolo operato per intercessione degli 800 Beati. Tra i diversi che possono essere presentati, si sceglie la guarigione della suora clarissa di clausura, suor Francesca Levote, appartenente, all’epoca, alla comunità di Soleto. Suor  Francesca era affetta da cancro endometrioide dell’ovaio sinistro con progressione metastatica sistemica (IV stadio) e grave compromissione dello stato generale.  Durante la Peregrinatio dell’urna dei Martiri in tutte le parrocchie dell’arcidiocesi di Otranto, in occasione del quinto centenario del martirio, nel mese di maggio, l’urna sostò anche nel monastero di Soleto. Tutta la comunità delle monache, allora,  affidò all’intercessione dei Martiri il caso di suor  Francesca che, inaspettatamente, guarì completamente e definitivamente.

La guarigione di suor Levote viene riconosciuta come inspiegabile dalla scienza medica e poi come miracolo ottenuto per intercessione dei Martiri idruntini dalla Congregazione per le Cause dei Santi. Il Papa Benedetto XVI il 20 dicembre 2012 autorizza la Congregazione a promulgare il decreto super miro (sul miracolo). Il riconoscimento del miracolo è il sigillo divino a tutto l’iter della canonizzazione, per cui il Papa stabilisce di canonizzare solennemente i Martiri di Otranto, proponendoli, nell’anno della fede, alla venerazione del mondo intero.

Ma cosa cambia ora con la canonizzazione nella santità dei Martiri di Otranto?

Bisogna distinguere la santità personale da quella canonica. La santità è frutto del dono di Dio che chiama tutti alla santità e santifica grazie al sangue di Cristo e della collaborazione alla Grazia da parte dei credenti. Questa santità conosciuta sempre da Dio non viene sempre proclamata dalla Chiesa, cui può sfuggire e spesso sfugge e, dopo la morte, consiste nella gloria del paradiso. Essa appartiene ai salvati da sempre e non muta.

La santità canonica è invece il riconoscimento ufficiale di quella santità,  proposta  all’imitazione e alla venerazione del popolo di Dio. Questo riconoscimento passa per diverse fasi, fino alla proclamazione vera e propria che si attua in due tempi: a livello locale mediante la beatificazione e a livello universale nella canonizzazione. Il culto dei nostri Martiri con la canonizzazione uscirà dal ristretto ambito locale per assumere i connotati del culto universale. Ad esempio potranno essere dedicate a loro anche parrocchie in diverse parti d’Italia e del mondo, mentre attualmente nessuna parrocchia è loro dedicata, nemmeno nella diocesi di Otranto, se non altari, cappelle e chiesette in ambito ristretto.

Il papa si esprime, nella canonizzazione, in modo infallibile, (ex cathedra), secondo il parere della maggioranza dei teologi, mentre non è così nella beatificazione. Il magistero del papa, infatti, pur essendo sempre autorevole ed autentico, non sempre è infallibile. L’infallibilità pontificia è in realtà limitata a poche  ed espresse circostanze, come la canonizzazione, appunto.

Come già fece Paolo VI, che in un messaggio in occasione del primo anno della fede, salutò i martiri di Otranto come corifei della fede, così il nuovo papa li additerà come fulgido esempio di corale testimonianza di fede. Sarà notevole il fatto che un’intera cittadinanza, composta in massima parte di laici, superstiti alla guerra per la difesa della patria, scelse mille volte di morire per Cristo con qualsiasi genere di morte piuttosto che rinnegarlo. Un messaggio forte, soprattutto per noi Salentini, in questo tempo in cui la Christiana Civitas sembra ormai essere al tramonto, per cedere il passo alla società post-cristiana.

Donato Palma


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