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La ficandò

Ficandò. Un termine le cui origini non possono ancora vantare una carta di identità ben compilata in tutti i suoi campi e che affonderebbero, secondo alcuni,  oltre i confini del territorio italiano, tra i popoli delle decine di dominazioni che si sono succeduti nel corso dei secoli nel promontorio japigio.

Un vocabolo sconosciuto ai più, che trova ampio spazio solo in un comune del Capo di Leuca, Alessano, che della ficandò ne ha fatto quasi un marchio, una pagina inmancabile nel voluminoso libro delle sagre estive del tacco d’Italia.

Fonte: pugliaevents.it

Nella canicola dell’agosto salentino, piacevolmente sconvolto da un vasto campionario di suoni, luci e colori delle decine di feste patronali che accendono le notti dell’uno o del’altro borgo, le massaie si Alessano, quelle più esperte, reduci dai festeggiamenti per San Trifone, ognuna delle quali vanta la conoscenza  della vera ricetta della ficandò, si mettono a lavoro per regalare una serata indimenticabile a turisti e compaesani tra i vicoli del centro storico alessanese, una volta sede di diocesi, ma per l’occasione “tormentata” dai coinvolgenti e ritmici suoni della “pagana” taranta.

Grembiule in grembo, olio a portata di mano, e una maturata insensibilità all’azione lacrimogena della cipolla, le grandi chef che mantengono alto l’onore della cucina povera di un tempo, si apprestano a pulire e tagliare a listarelle una quantità abnorme di peperoni, ingrediente principe della ficandò, prima di gettarli in una pentola, dove l’olio extravergine d’oliva attende di cingere in un caldo abbraccio questo prelibato frutto della terra. A parte, si fa cuocere a fuoco lento una cipolla tagliata julienne con poco olio, i pomodori, senza semi, tagliati a tocchetti e la passata di pomodoro. Si porta tutto all’ebolizzione per poi aggiungere, a metà cottura, i peperoni precedentemente fritti, continuando a cuocere il tutto a fiamma moderata fino a quando la passata non si sarà quasi del tutto ristretta. Sale quanto basta e via, pronti per inpiattare.

Un piatto semplice e gradevole che mescola i sapori di una terra antica. L’olio proveniente dai vicini uliveti. I pomodori giunti d’oltreoceano più di cinque secoli fa, e bistrattati fino al XVII secolo in quanto ritenuti tossici o velenosi, ma che poi hanno saputo conquistare completamente la povera cucina salentina. La cipolla, la cui coltivazione sarebbe da attribuire agli egizi nel III millennio a.C. E i peperoni ,anch’essi conterranei dei pomodori, se piccanti ancora meglio. Perché rinunciare a quel tocco afrodisiaco, un accattivante afrodisiaco, servito su crostini di pane o sulle tradizioni frise. Una fusione di culture e popoli, anche nella cucina.


Marco Piccinni


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