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Il casale di Quattro Macine

Immersa negli uliveti e sepolta sotto la terra rossa, riposano i resti del villaggio Quattro Macine (dono nel 1219 da Federico II alla chiesa di Otranto), in agro di Giuggianello. A pochi passi dall’omonima masseria e a breve distanza dal dolmen stabile, sono stati rinvenuti durante una campagna di scavo condotta dal 1991 al 1996 dall’allora Università degli Studi di Lecce, i basamenti di due chiese con annessi cimiteri. La prima del periodo bizantino (X sec.), la seconda di epoca normanna (XII sec.).

La più recente, dedicata alla Vergine, è menzionata nel resoconto di una visita pastorale del 1538-1540, la cui distruzione viene attribuita a mano turca. In questo periodo il piccolo casale di Quattro Macine stava attraversando una lenta e definitiva fase di svuotamento che lo porterà a breve all’abbandono, un fenomeno avviatosi già nel primo decennio del XIII secolo.  Della chiesa più antica, invece, non si conosce l’intitolazione originaria. Composta da un’aula rettangolare (non più di 35 metri quadri), termina con un abside semicircolare, ai piedi del quale è stata rinvenuta una sepoltura di un individuo maschile, di età compresa tra i 30 ed i 35 anni. Probabilmente una persona molto importante per la comunità di Quattro Macine, che ha deciso di riservargli un posto d’onore nel piccolo edificio di culto, il cui perimetro (composto da un paio di filari di mattoni), è stato parzialmente distrutto da lavori agricoli. Venne soggetto ad un restauro/ricostruzione intorno al XIII secolo, che ne ha parzialmente alterato la struttura, aggiungendo un templon, di una decina di metri quadri, sulle cui pareti sono state rinvenute alcune tracce di affresco, tre nodi di salomone ed altre lettere e graffiti non identificati. Il ciclo pittorico che prevedeva una schiera di santi nimbati, e che ricopriva probabilmente tutte le pareti della chiesa, è stato rimosso e sostituito.

Quattro Macine – area degli scavi

La prothesis, un piccolo altarino,probabilmente in legno, dove erano custoditi gli strumenti liturgici, era ancora li, con alcuni degli strumenti ai suoi piedi. Una scoperta unica, consistente di un coltello in ferro a forma di lancia e due cucchiaini (uno in lega d’argento e l’altro in ferro), utilizzati nelle preparazione dei doni eucaristici posti sulla mensa delle offerte all’inizio della cerimonia di rito bizantino, rispettivamente per tagliare e distribuire il pane consacrato durante la comunione. Il cucchiaio in argento presenza delle decorazioni molto particolari: da un parte due pesci (antico simbolo del Cristianesimo) posti frontalmente e legati per la bocca da un filo di perle, e dall’altro un albero dalle foglie cuoriformi (simbolo della vita che  congiunge terra e cielo) che divide simmetricamente un leone ed un grifone (simboli della resurrezione o dell’ascensione) posti di profilo.

L’ampia area cimiteriale intorno ai resti dei templi religiosi ha messo in evidenza la pratica diffusa, durante il medioevo, delle sepolture multiple, la quale prevedeva la deposizione del corpo del defunto in spazi già precedentemente occupati e liberati dalla disarticolazione dello scheletro precedente, risposto ai margine della sepoltura o in un ossario adiacente. Alcuni studi hanno messo in luce due aspetti molto importanti: all’interno di una medesima sepoltura venivano risposti solitamente membri di una stessa famiglia e, per questo motivo, poteva essere utilizzata anche per lunghissimi periodi. Una necessità indotta dal bisogno di “guadagnare” spazio e di ridurre i costi di gestione e pulizie delle tombe (a carico delle famiglie dei defunti).

L’analisi dei corredi delle 71 sepolure, e degli 81 individui riconosciuti, ha stabilito che nessuna delle sepolture poteva essere datata prima del XIV-XV secolo, nonostante la fondazione del villaggio sia da far risalire intorno all’VIII secolo e la costruzione dei due edifici religiosi intorno al X e alla seconda metà del XII secolo, se non fosse per una lastra tombale che recherebbe una data: 31 Dicembre 1174/5

Il materiale lapideo utilizzato per la costruzione degli edifici è stato reimpiegato nei secoli per l’innalzamento dei muri a secco e, probabilmente, per la costruzione della vicina masseria. Un riciclo intriso di memoria e passato.

Marco PIccinni

BIBLIOGRAFIA:

-Puglia preromanica dal V secolo agli inizi dell’XI, a cura di Gioia Bertelli, EDIPUGLIA

-Archeologia medioevale, cultura materiale, insedimanti, territorio, XXXIV 2007 – Sepolture multiple e datazioni al radiocarbonio ad alta risoluzione di resti osteologici provenienti dal villaggio di Quattro Macine,  Giuggianello  (LE) – Paul Arthur\ Lucio Calcagnile, Trevor Anderson,Brunella Bruno, Gianluca Quarta,Marisa D’Elia


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