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La chiesa di Santa Croce di Lucugnano

Lucugnano vanta alcune dimore storiche, una Parrocchiale e diverse cappelle di notevole pregio storico e artistico.

Una di queste è la cappella di Santa Croce, adiacente al complesso scolastico e al monumento dei Caduti in Guerra del paese, che risale al XVI secolo, come si evince da un documento del 1558 in cui il sacerdote Pasquale Alfarano – Capece chiede l’autorizzazione al Vescovo di Ugento per la celebrazione di una novena[1].

Il prospetto presenta linee sobrie ed eleganti e termina con un cornicione leggermente aggettante, sovrastato da due mezzi timpani con al centro una colonnina di conci di tufo sormontata da una croce. Agli angoli due pinnacoli chiudono e danno armonia al frontone.

L’interno è ad unica navata con volta a botte lunettata, dove si aprono delle finestre che illuminano l’ambiente.

L’altare, in pietra leccese, impreziosisce il piccolo edificio di culto. Poggiato su tre semplici gradini, nella parte sottostante la mensa vi sono scolpiti degli angeli che la sorreggono e al centro un tondo con il rilievo della Vergine.

Il quadro dell’altare raffigura la Pietà, ossia il Cristo morto deposto dalla Croce e sorretto dalla Madre sofferente, che regge il braccio sinistro trafitto da una spada. In un secondo piano, alle spalle di Maria, si intravede la parte sommitale della croce, con un cartiglio che reca il titulus INRI.

Ai lati, in corrispondenza degli accessi alla sacrestia, sull’architrave decorato da fregi floreali, due statue di pietra leccese completano la scena. Rappresentano due figure femminili, una ha in mano un velo e l’altra un cofanetto di mirra. Dall’analisi iconografica le due sculture possono essere attribuite alle due donne pie, Veronica e Maria Maddalena.

La tela è inquadrata in una cornice lapidea di pregevole fattura, sopra la quale fanno bella mostra di sé due angeli scolpiti che sorreggono una corona sovrastata da un’aquila.

L’edificio è stato oggetto di restauri nel 1988, in occasione del Bicentenario del Miracolo dell’Apertura della cappella della Madonna Addolorata, e riaperto al culto il 23 ottobre dello stesso anno dopo un lunghissimo oblio[2].

All’esterno, a pochi metri dalla cappella, è stata eretta una osanna, composta da 8 rocchi di carparo esagonali su un basamento quadrangolare, sul cui capitello vi è una croce di metallo.

La presenza della croce, sulla strada che da essa prende il nome, non è casuale. Il paese, infatti, è stato interessato dal passaggio dei pellegrini diretti al Santuario di Santa Maria de Finibus Terrae. Secondo le ricostruzioni effettuate dagli storici, il percorso più battuto – nel territorio di Tricase – prevedeva l’attraversamento dell’antico borgo di Tutino; da qui ci si dirigeva verso Lucugnano dove, presso la Masseria Mustazza (“Bosco Martella”), si deviava a sud per collegarsi all’attuale strada provinciale n. 184, nelle vicinanze della cripta della Madonna del Gonfalone. Non si esclude, tuttavia, che ci fosse un’altra direttrice, proveniente da Specchia che passava per la chiesa medievale di Sant’Eufemia, per il centro storico di Lucugnano e per la cappella di Santa Croce, all’epoca sita fuori dall’abitato. Questa strada si congiunge ancora oggi al quadrivio di Masseria Mustazza, per proseguire poi verso Santa Maria di Leuca.

Ad avvalorare questa teoria, un’epigrafe posta sulla porta d’ingresso della cappella di Santa Croce, sulla quale vi è inciso:

Passaggier dove vai; deh ferma il passo

Forse tu sei di sasso

che non odi li pianti di Maria

mira, qual doglia ria

qual spietato dolore

gli crucia lalma e gli tormenta il core.

Sol per il tuo peccato

tiene in braccio svenato

il suo Figlio, il tuo sommo facitore.

Dunque fedel viatore

prostrati al suolo hor hora

e al pianto di Maria piangi tu ancora. 1710

 

 

Marco Cavalera

BIBLIOGRAFIA

 

Sanapo A., Lucugnano. Microstoria di una comunità del Salento, Galatina 1992, pp. 80-81.



[1] Sanapo 1992, p. 80.

[2] Come si può leggere da una lapide collocata alla sinistra dell’ingresso, il restauro è stato reso possibile grazie alla “devozione di De Bello Annunziata, con i sacrifici del suo lavoro”.


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