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Morire aspettando un polmone…

Morire aspettando un polmone compatibile, dopo lunghi anni di attesa. In una giornata d’inverno crudele bagnata da una pioggia fredda, ispida, cattiva. Gli avevo scritto una mail pochi giorni fa: “Tutto bene, Ciccio?”. Lui mi aveva telefonato subito: “Sbrigati a venirmi a trovare, se vuoi vedermi ancora vivo…”. Quel che si dice avere un presentimento. Come i gatti che vanno a morire lontano dal padrone, anche noi annusiamo la morte quando sta per arrivare.

Se n’è andato Francesco Marzo: un grande artista, ma soprattutto un grande uomo. Lavoratore, fiero, orgoglioso, pulito: figlio di lavoratori. Lo conoscono in tanti, da qui alla Svizzera: anche perché fece il fotografo e per molti anni ebbe un’edicola a Morciano. Fece studi artistici a Lecce, poi emigrò: carmina non dant panem, oggi meno di ieri.

Ero stato a casa sua una calda mattina di ottobre: avevamo messo in cantiere un libro, la sua vita, l’arte, la lotta con al burocrazia per un trapianto di polmoni: i suoi ormai erano inservibili, atrofizzati come carta: viveva attaccato all’ossigeno. Era contento perché aveva recuperato dalla soffitta i primi due quadri: un’aia con bambini e animali (sin da piccolo Ciccio sognava di vivere in una masseria) e un altro in cui alcuni cacciatori avevano ucciso dei lupi. Tutti sappiamo chi sono i cacciatori, e chi i lupi…

Presi qualche appunto, voleva protestare (l’avevamo già fatto l’anno scorso) per l’assenza di una cultura della donazione e il modo di gestire gli elenchi di chi aspettava il trapianto (aveva fondato un’associazione a Salve per raccogliere fondi). Era documentatissimo. Lo avevano fatto scivolare, stranamente, nell’elenco di quelli che non sono urgenti: così aveva perduto la speranza. Ciccio era un uomo intelligente: aveva capito che lo avevano condannato a morte. Bevetti a piccoli sorsi il buon caffè di Patrizia, la moglie che lo accudiva con amore, mordicchiai i biscotti nel vassoio. Lui armeggiava col telecomando: seguiva un programma scientifico (parlava di cielo e di stelle) su una rete satellitare. Parlai a lungo con suo padre: di ulivi, pajare, pietre a secco: una vera enciclopedia. Lui ricordò, con un velo di nostalgia nello sguardo, di quante ulive, sino a qulache anno fa, buttava giù con la macchinetta attaccata alla batteria… Sua madre in un angolo era chiusa in un silenzio di gelo.

Opera di Francesco Marzo

Ad agosto ero andato a trovarlo con Tonino Pizzolante, un comune amico. Si abbracciarono piangendo. Si conoscevano da piccoli. Era contento come un bambino: stava per proporre le sue opere un po’ naif alla Sagra della Taranta, nel centro storico del paese. Mi mostrò le parole di Vito Russo, che lo apprezzava molto. Patrizia a Tonino quanto era grave. Scrissi un articolo, glielo segnalai: ne fu felice, lo mise su Facebook.

Frugo nei file delle sue opere qui sul mio pc: due mi colpiscono (non hanno titolo). In una c’è una candela che arde e un orologio da taschino, stranamente senza lancette… In un’altra, lui intento a dipingere e accanto arde una candela, che si sta consumando. Metafore ingenue, nude. Non ho potuto dargi l’ultimo abbraccio: l’ho saputo due giorni dopo che l’hanno sepolto.

Opera di Francesco Marzo

Frugo ancora nei file e trovo una sua mail: “Se una libera società non può aiutare i molti che sono poveri, non dovrebbe salvare i pochi che sono ricchi”. Invece è proprio così, caro amico mio: i molti che sono poveri sono condannati, i pochi che sono ricchi li salvano e si salvano con le carte di credito. Questa è la civiltà barbarica che abbiamo costruito, in cui purtroppo siamo immersi. Continueremo a batterci come hai fatto tu per tutta la vita per darci un orizzonte di civiltà. Te lo dobbiamo, almeno questo.

Ciao amico mio e non della ventura: grazie per la tua vera amicizia di tanti anni. Continua a dipingere al sole della tua masseria, fra gli ulivi e le pajare, i fichidindia e le site, e che la terra ti sia lieve…

 

Francesco Greco


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