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La cripta del Cirlicì, Parabita

Un tempo noto come Kuriakè, un canale che si snoda tra tajate e vecchie costruzioni in pietra, inserito nell’ampio contesto del parco archeologico in agro di Parabita, in zona tufare, che vanta, tra le altre attrazioni, ciò che resta di un villaggio dell’età del bronzo e la famosissima grotta delle Veneri.

L’ “evoluzione” della lingua ha trasformato il toponimo in Cirlicì, sostantivo che per estensione indica anche quello di un piccolo luogo di culto, una cripta su una rupe mimetizzata tra vegetazione, muretti a secco e residui di vecchie cave, su una parete che si getta con lo sguardo e la morfologia sul letto di quel fiumiciattolo che durante le intense piogge solcava, e solca ancora, le anse di pietra scavate nella roccia attraversando vecchi ponti, antichi ulivi e secoli di storia.

Sono molti i punti interrogativi che tormentano ancora la “biografia” di questa piccola caverna affrescata, che secondo il Fonseca rappresenterebbe uno dei pochi insediamenti monastici in rupe esistenti nel Basso Salento, ipotesi in parte smentita da Stefano Cortese, secondo il quale invece non esisterebbero indizi probanti circa la presenza di una comunità monastica in loco.

La grotta si compone di un piccolo vestibolo, un tempo affrescato, che immette in un sala più grande, ellittica, ampia circa 7 metri. La trasformazione subita da questi ambienti nel corso degli anni potrebbe aver cancellato molti dettagli sui quali hanno fatto affidamento studiosi di decadi precedenti rendendo di fatto difficile un’adeguata interpretazione.

Vestibolo di ingresso cripta del Cirlicì

Vestibolo di ingresso cripta del Cirlicì

Un crollo della volta centrale nella sala grande ha contribuito all’accumularsi di detriti, macerie, terra. Affreschi asportati dall’uomo negli anni, il cui ricordo di un San Basilio permane nei segni di violenza perpetrati sulla parete dell’antro di ingresso. Le uniche tracce di pitture superstiti si trovano sulla destra dell’ambiente grande, immediatamente dopo l’ingresso dal vestibolo. Un giovane santo imberbe che indossa un sticharion porpora ed un cappino, immortalato su quello che ha tutto l’aspetto di un pilastro, in prossimità di un rozzo abside, in sovrapposizione ad un affresco precedente. Opere realizzate in un periodo compreso tra il XI e il XIII secolo, alle quali oggi si può fare affidamento esclusivamente dai documenti di chi è stato più fortunato di noi, e che arricchisce il ciclo pittorico nelle fonti con una bellissima immagine di un Cristo Pantocratore e il viso tondeggiante della Vergine.

Sala grande e affresco nella cripta del Cirlicì

Sala grande e affresco nella cripta del Cirlicì

Immagini che possono essere riesumate dal passato ormai a fatica, quasi del tutto sbiadite dall’incuria dell’uomo e dall’inesorabile scorrere del tempo.

Marco Piccinni

Bibliografia

-Fonseca, Bruno, Ingrosso, Marotta – Gli insediamenti rupestri medioevali nel Basso Salento, Congedo Editore (1979)

-Stefano Cortese – Una storia che scompare. La cripta del Cirlicì, nuovAlba rivista di cultura e società a cura dell’associazione progetto Parabita (anno XIII-numero 3-Dicembre 2013), consultabile online a questo link.


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