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ESCLUSIVO/Storia, 1936: Don Rocco da Gagliano al trono d’Albania

Apparvero all’improvviso come ombre unte di sale nella fresca mattinata di primavera. Era il 1936 e tre anni dopo l’Italia avrebbe occupato l’Albania prima e poi la Grecia. Re Zogu I sedeva sul trono e aveva buoni rapporti con l’Italia fascista. Qualcuno aveva indicato dove il Principe d’Albania soleva passare il tempo giocando a carte con gli amici: l’osteria della Chiara, all’inizio del corso che immette in piazza San Rocco (oggi c’è un negozio di telefonia), il protettore di Gagliano, sulle ultime serre della Puglia che si tuffano nell’Adriatico del mito.

E proprio quel mare ricco di storie, di leggende, di eroi gli emissari della monarchia di Tirana avevano attraversato per sbarcare a due passi dal Capo di Leuca. Si inginocchiarono ossequiosi e davanti agli avventori increduli chiesero: “Maestà, vuole essere il nostro Re?”. Non si sa che cosa rispose don Rocco Nesca, 39 anni, l’ultimo erede della dinastia dell’eroe nazionale Scanderbeg che nel XV secolo liberò il Paese dai Turchi. Né se ci furono altri incontri a Palazzo Nesca, nel centro storico, a due passi dalla Chiesa Madre dedicata al protettore e la casa di un grande del Novecento, il pittore (celebri i suoi “Plenilunio”) Vincenzo Ciardo. Eventualmente cosa si dissero nei saloni affrescati del signorile Palazzo a due piani dove a ogni angolo c’è un caminetto per scaldare gli ambienti.

Tutto è avvolto nel mistero. Il racconto viaggia da 80 anni sull’onda dolce dell’affabulazione popolare che lo tramanda di generazione in generazione, e lo stesso don Primaldo Rocco Maria Nesca (in foto; Gagliano del Capo 15 agosto 1897 – 27 giugno 1986) non ha mai alimentato, uomo schivo e riservato, il suo stesso mito. I biglietti da visita glieli aveva stampati don Pietro Lecci da Montesardo, imprenditore, filsosofo grande personaggio, pugile in gioventù, imprenditore ramo tabacchi, che frequentava Palazzo Nesca. C’era scritto: Don Rocco Nesca, Principe d’Albania. Qualcuno gira ancora…

Don Rocco da Gagliano

Don Rocco da Gagliano

E dunque, per un giorno, i destini del mondo furono nelle mani di un giovane uomo del Sud in un paese di contadini e pescatori: se Don Rocco avesse accettato di sedere sul trono come sarebbe andata avanti la Storia? Ma come erano arrivati in Puglia gli emissari della corona albanese per rintracciare il Principe e fargli quella proposta? Quale la dinamica storica? Giocarono una parte Mussolini, il governo di Roma, i servizi segreti dell’Ovra? C’è abbastanza plot per un romanzo/ film storico sul Novecento, “secolo breve”, degli “ismi”.

Si può procedere solo per ipotesi mentre gli storici indagano in cerca di riscontri oggettivi. Il primo settembre 1928 Re Zogu I si autoproclama Re degli Albanesi instaurando una monarchia costituzionale. Nel 1936 ruppe il fidanzamento con la figlia di Sheqet Verlaci, una borghese, per sposare la contessa Géraldine Apponyi de Nagyappony. Attenzione a questo passaggio: secondo il costume albanese, Verlaci aveva il diritto di ucciderlo (una sorta di fatwa). Il Re, ovvio, lo sa, diviene sospettoso, esce poco dal Palazzo, limita le apparizioni pubbliche, si circonda di guardie del corpo.

Non gli basta: nel 1931, in vista ufficiale a Vienna, sfugge miracolosamente a un attentato. Su questo background si possono innestare due ipotesi: una lotta interna alla monarchia per la successione, dando per scontato che il Re non morirà di morte naturale e quindi la necessità di trovare un altro sovrano. Oppure il ruolo di Roma e la sua politica nei Balcani: Mussolini non si fida del Re e preparando l’invasione (che avverrà nel 1939 e durerà sino al 1943), pensa a un sovrano tutto italiano, più affidabile del capriccioso Zogu I, che in tre anni proverà a “formare” e poi mettere sul trono.

Comunque siano andate davvero le cose, nel 1939, pochi giorni dopo l’occupazione italiana, a Tirana la contessa dà alla monarchia l’erede al trono: Leka Zogu I, che alla morte del padre, il 9 aprile 1961, fu proclamato, dal governo monarchico in esilio, Re d’Albania: infatti vivrà a lungo a Parigi e si spegnerà a Tirana nel 2011.

Ma come ha fatto il dna dei Castriota Scanberbeg a giungere sulle rive opposte dell’Adriatico? Ecco la ricostruzione dello storico: premesso che Vito Maria Nesca (1849-1934), padre del Principe d’Albania, ebbe 10 figli, fra cui Don Rocco, l’albero genealogico si snoda così: Antonio Nesca da Tricase sposa Apollonia Ferilli da Arigliano (frazione di Gagliano) intorno al 1715. Hanno 4 figli, fra cui Michelangelo (nato intorno al 1717). Questi sposa donna Salvatora Castriota e Italia e Albania mescolano il loro sangue. Pietro Castriota Scanderbeg (1661-1739) sposa Raimondina Grati da Lucugnano (Lecce) nel 1714 e poi donna Rosa D’Alfonso (da Giuggianello, Lecce). Francesco (1714-1719) è figlio di primo letto, dalle seconde nozze nascono don Giuseppe Francesco (1717-1783), sacerdote, Agnese Irene (1719- ?, occhio a questo nome), Francesco Saverio (1720-1776), Paolina Salvatora (1723-1793) che nel 1744 sposa don Michelangelo Nesca, figlio di Antonio e la Ferilli. Nascono: Vito Maria (1745 c. – ?), don Vincenzo (1794-1838) e don Antonio (1753-1812), entrambi preti, Francesco Antonio Pasquale (1725-1799), Leonardo Domenico (1728-1788) e Teodora (?). Pasquale e Domenico restano celibi, quindi la sola e unica discendente del ramo è donna Salvatora Castriota che nel 1744 sposa, nella cappella di San Giovanni, a Gagliano, lo speziale di Tricase don Michelangelo Nesca.

Lo stemma del casato mostra un’aquila bicipite coronata dalla mezzaluna (esplicito il richiamo all’Albania) e sulle due teste 6 stelle per parte. La casata possedeva, all’epoca, 9 feudi: oltre a Gagliano, Salignano, San Pietro in Galatina, ecc.

Don Rocco oggi è un mito: ha sempre parlato con imbarazzo dei fatti del 1936. Studiò Giurisprudenza ma interruppe quando mancava qualche esame. Stimato da tutti, prima e dopo la guerra fu segretario comunale in tre Comuni: oltre al suo, Corsano e Tiggiano. Ogni mattina andava al lavoro in carrozza. Lo chiamavano “maestro”. La gente lo ricorda elegantissimo: camicia bianca sempre a maniche lunghe d’estate, panciotto, giacca scura e bombetta d’inverno. Coltissimo, letterato, sapeva a memoria “Promessi Sposi” e “Divina Commedia”.

Don Vito, il figlio (che ha sposato una Sangiovanni da Alessano), ha chiamato Irene la primogenita (come una Principessa d’Albania), un altro figlio Giorgio (come l’eroe nazionale) e la figlia Francesca, anni Ottanta, ha dato il nome di Maddalena (altra nobile d’oltre Adriatico) alla bambina. Don Rocco ci teneva, fu accontentato.

Il figlio più piccolo, Carlo, bancario, è da pochi giorni sindaco di Gagliano. Per un giorno della sua remota giovinezza, don Rocco pensò di diventare Re d’Albania. Chissà se fu contento del rifiuto o se poi si pentì di non aver seguito quegli uomini venuti dall’altra riva del mare…
(ha collaborato lo storico Francesco Fersini)

Francesco Greco

Articolo già pubblicato su Giornale di Puglia


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