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La pietra nella memoria di Mesciu Didoru

MONTESARDO – Metti una sera d’estate sotto le vaghe stelle dell’Orsa, a parlare di pietra, svelata in tutta la sua ricchezza semantica, e di volte leccesi: a botte (case povere), stella, maltrotta, squadro (più signorile), spigolo, ecc. Al “Massarone”, topos mitico (l’attuale costruzione risale al 5-600, forse era una torre del sistema difensivo contro le incursioni dei Turchi) per la gente di Montesardo (sud Salento), dove ha sede il centro di ricerche ambientali “Serafini-Sauli”, che da qualche mese un gruppo di giovani sta rivalutando col programma Sac Porta d’Oriente e il contributo dell’associazione L. i. b. e. r. azione).

Fra le tante letture dell’evento, prevale il passaggio di memoria da Mesciu Didoru (Teodoro Raho da Castrignano del Capo, classe 1937), grande affabulatore, che ha il dono della koinè ricca di pathos e sfumature sociologiche (“Le case se facìvene una nanzi all’otra, cusì te putivi risparmiare nu parìte… Ogni ristiànu sapìa ci vole dire settantìnu”), tecniche e umane, alle nuove generazioni (10 ore registrate, un documento straordinario, in dialetto, che sarà un libro).

Il “Focus architettonico e antropologico sulla volta leccese” intitolato “Pietra su pietra” è stato molto intenso, a tratti emozionante: ha segnato tutti in modo profondo. Dalle tegole d’argilla degli Assiri-Babilonesi al cemento dei nostri giorni, passando per il coccio-pesto ricavato da vecchie capase e teglie, la iusca (dalla paglia), la calce e il “violu” (materiale argilloso sotto la terra): con la storia della pietra si racconta la storia dell’uomo, del suo epos, il lavoro, il Novecento: altri tempi, altri uomini: fra chi decideva di farsi la casa e il muratore non c’erano contratti scritti: tutto avveniva sulla parola, “Una stretta di mano, un bicchiere di vino – ha ricordato Mesciu Didoru – e si cominciava con le fondamenta. Si utilizzava fino al sassolino più piccolo, nulla andava sprecato… L’idea di fondo era una risparmiare: i soldi erano pochi e la casa bisognava farla lo stesso…”.

Il mondo si reggeva sulla parola, che era sacra, anche perché c’era molto analfabetismo: oltre la propria firma non si andava, si interrompevano gli studi alle prime classi elementari e vergare contratti era impossibile: “M’innamorai di questo mestiere guardando i muratori che costruivano il municipio del mio paese…”, ricorda l’artigiano. Nè c’erano ricevute quando il denaro (la casa costava da 120 a 150mila lire) passava di mano: da chi comandava la casa nuova (spesso una sola stanza e un cortile), alla “mannara” (il capo costruttore della squadra di operai), al trainieri che dalla tajata (cava: un carretto ne poteva portare 30-35, col valanzinu, un piccolo asino accanto, una decina di più: due carichi al giorno) portava i tufi alla “fatìa” (cantiere) e da questi alle maestranze della cava (zoccaturi: uno bravo poteva farne 20-25 tufi al giorno; poi, anni ’50, arrivarono le macchine e tutto cambiò).

E dunque un passaggio di linguaggi (curignuli e piezzotti, sedute e acqualuru, parmi e dolaturi, ppise e urna, ecc.), di tecniche di costruzione, di antichi segreti, ma anche di socialità, miti e riti attorno alla pietra che segnava dialetticamente l’economia, la vita, l’anima del Salento. Operazione importante oggi che, come ha detto Alberto Piccinni (Associazione “tregiridite”), “il paesaggio è segnato dai veleni con cui si uccide la terra e i cartelli vendesi sparsi ovunque, su case e terre”.

Massarone - foto di Francoise Serrero

Massarone – foto di Francoise Serrero

Vengo da Parigi – ha detto l’antropologa Francoise Serrero, che col marito e la figlia danzatrice ha casa a Giuliano di Lecce – mi sono ritrovata qui per caso: il nome della Puglia e del Salento sono è risuonati graziosamente nelle mie orecchie nel 2000. Sono stata accolta meravigliosamente. Qui, malgrado l’emigrazione, hanno mantenuto coesione e senso di vivere insieme. Ho acquistato una casa con le famose volte a stella e vivo intimamente lo spirito salentino. Un’emozione molto forte”.

Quale il retroterra culturale delle volte leccesi? Pierluigi Ferraro, ingegnere: “La natura della pietra e le maestranze”. E mentre l’uomo “scopriva” Plutone, a miliardi di anni-luce, abbiamo studiato la pietra sotto i nostri piedi. La notte profumata di salvia e mirto è proseguita con i racconti di Mesciu Didoru, novello Omero per cui la pietra, e la vita, hanno un cuore antico e segreti e la saggezza che ci ha donato e che adesso appartengono a tutti noi, per sempre.

Francesco Greco


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