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L’acquedotto Carlo Magno

Agosto di un anno imprecisato che si perde nella cronologia confusa di un universo che cammina con fatica in bilico sul ciglio del vero e del leggendario. Un uomo, in sella ad un cavallo che si sostiene a stento, non ha nemmeno più le forze di passare la manica della tunica sulla fronte per porre freno alla corsa di piccoli rivoli di sudore che superano senza fatica rughe e avvallamenti della pelle seguendo un percorso già a lungo esplorato. Ha bisogno di acqua, per sé e per la sua bestia, compagna di mille avventure. Ha bisogno di un posto per ripararsi dal sole, così violento e implacabile, che tra le terre della Messapia porta benessere e maledizioni allo stesso tempo. La ragione comincia a vacillare, ad abbandonare il senno di un uomo che da Oriente a Occidente tutti chiamano Magno. Prende la sua spada e la scaglia con violenza contro una roccia, colpevole solo di non essere bagnata dalle fresche acque di un ruscello.

Ma ecco che il prodigio avviene. La roccia che ha subito la violenza della lama si spacca. Lunghe crepe incidono la solida calcarenite in una sottile nube di polveri. La terra intorno sembra inumidirsi all’improvviso. Comincia a sgorgare dell’acqua. Copiosamente. Carlo può finalmente abbeverarsi.

Sono queste le parole che generazioni di idruntini si tramandano dalla notte dei tempi per giustificare il nome del torrente Carlo Magno, uno degli affluenti del fiume Idro (insieme al torrente di San Giuseppe), piccolo corso d’acqua che ha ispirato leggende popolate da creature leggendarie e non, sullo scenario di una terra mozzafiato. Un corso d’acqua da una portata sufficiente a spingere gli inglesi a creare un piccolo acquedotto in grado di alimentare con continuità una fontana in città (dal 1922) e di sostenere le necessità idriche di diversi accampamenti nel periodo della Grande Guerra.

Tutti lo conoscono ma nessuno lo hai mai studiato veramente fino in fondo. Meta preferita da speleologi, escursionisti, storici e curiosi, l’acquedotto Carlo Magno, uno dei primi interventi di ingegneria idraulica volti alla realizzazione di un acquedotto pubblico nella provincia del barocco, che ben si sposa con il profilo idrogeologico di quella che un tempo era una palude ma che tutti oggi conosciamo come Valle dell’Idro.

Acquedotto Carlo Magno, accesso al corridoio drenante

Acquedotto Carlo Magno, accesso alla galleria drenante

Sorgenti sfruttate sin dall’antichità che si perdono in dedali di gallerie sotterranee non completamente rilevate, all’interno delle quali vivono due colonie di chirotteri sulle quali il parco Costa Otranto-Santa Maria di Leuca e bosco di Tricase ha dimostrato particolari attenzioni nonostante tutto il fondo sia proprietà privata dal 2001.

Acquedotto Carlo Magno, vegetazione intorno la struttura

Acquedotto Carlo Magno, vegetazione intorno la struttura

Nel 1917 il Genio Militare per la Regia Marina realizzò l’acquedotto (per il rifornimento del campo Inglese, dell’Idroscalo dell’Aviazione Italiana e del naviglio che sostava nel porto di Otranto), scavando in parte una galleria drenante con diversi vani porta lucerne, che si insinua per circa 70 metri nel fianco della valle e che intercetta le due fonti del fiume di Carlo Magno, le cui acque scorrono all’interno di una canalina larga tra i 40 e i 50 centimetri e altrettanto profonda. Nell’area antistante invece un cunicolo ipogeo funge da canale di scarico in caso di portata eccessiva delle acque

A circa 25 metri dall’ingresso, un pozzo verticale che manifesta ancora i segni dell’intervento di scavo dell’uomo, risale fino al piano campagna; da esso è possibile accedere ad una galleria che si sviluppa al di sopra della precedente, probabilmente il relitto di una “struttura” più antica, separata dalla prima da una volta a botte in conci squadrati.

Acquedotto Carlo Magno, accesso a sala con vasche

Acquedotto Carlo Magno, accesso a sala con vasche

Fino al 1925 la Regia Marina inglese sostenne l’esercizio dell’acquedotto cedendolo progressivamente ( in maniera definitiva solo nel 1929),  con contratti di concessioni demaniali di tutta l’area, al comune di Otranto che ne sfrutterà i servizi fino al 1940, periodo in cui comincerà ad usufruire del neonato acquedotto Pugliese.

Acquedotto Carlo Magno, vasca di scolo

Acquedotto Carlo Magno, vasca di scarico

Da qui per l’acquedotto Carlo Magno comincerà un periodo di decadenza ed abbandono, sepolto da piante infestanti e protetto dall’ombra di un imponente albero di fico secolare stretto in un intenso braccio da un altrettanta vetusta edera rampicante. Continua a svolgere la sua funzione incurante del tempo che scorre via inesorabile, dell’indifferenza dell’uomo e della supremazie della natura. Si sente il rumore delle acque che si incanalano all’interno della canalina e da qui si perdono all’interno dei cunicoli ipogei. Non ci è dato vedere cosa c’è oltre. La ruggine di due vecchie grate ci ferma lì, all’ingresso, a due passi di un capolavoro di ingegneria e idrogeologia.

Acquedotto Carlo Magno, fico secolare

Acquedotto Carlo Magno, fico secolare

Marco Piccinni

Bibliografia:

“Progetto Geositi” (RICOGNIZIONE E VERIFICA DEI GEOSITI E DELLE EMERGENZE GEOLOGICHE DELLA REGIONE PUGLIA) – L’acquedotto Carlo Magno


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