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Museo dell’arte olearea Ubaldo Villani, Cannole

E’ un viavai incessante di carretti le cui sponde fanno quasi fatica a contenere l’enorme carico di quel frutto così piccolo e prezioso, una pepita grezza dalla quale verrà a breve estratto quello che le generazioni successive avrebbero chiamato l’oro giallo del Salento. Olive che i millenari di queste contrade non lesinano a chi li cura con tanto affetto e dedizione. Questi sono le uniche costanti di un universo in costante mutamento. Sono lì, ad osservare da secoli il paesaggio che muta. Si muovono lentamente, con estrema pazienza e cautela. «Anche questa sarà un’ottima stagione!», si sente dire da lontano dal signorotto, uno degli ultimi grandi proprietari terrieri, ai propri coloni, al fine di avvertirli indirettamente che si aspetterà di ricevere un gran quantitativo di olio, anche se questo dovesse andare a discapito del loro compenso. Intanto un altro carretto carico di olive sta per lasciare il fondo Tursani in direzione del frantoio della famiglia Piccinno, uno dei più grandi di tutto in circondario di Cannole.

Costruito intorno agli anni 30 dell’800 il frantoio dei Piccinno rappresenta, meglio di un’istantanea, una parte dello spaccato della vita del nachiro e della sua iurma in uno dei pochi frantoi non ipogei superstiti nel Salento. Diviso in due ale, una destra ed una sinistra, vendute singolarmente in due tranche negli anni ‘30 e ‘60 del novecento al Cavalier Ubaldo Villani, i cui eredi l’hanno concesso in comodato d’uso all’associazione Proloco Cerceto di Cannole al fine di realizzarne un museo, uno di quelli autentici, con pochi fronzoli ma intriso di ricordi e sudore, inaugurato il 28 aprile 2012.

Frantoio Piccinno, sede del museo dedicato al Cavalier Ubaldo Villani

Frantoio Piccinno, sede del museo dedicato al Cavalier Ubaldo Villani

Da quando, cessata l’attività, il frantoio non era più necessario, le sue porte si sono chiuse per quasi 60 anni prima che qualcuno proponesse di dare una ripulita a utensili e macchinari al fine di renderli nuovamente fruibili a quanti avessero avuto voglia di fare una piccola passeggiata nel passato semplicemente varcando un pesante portone in legno. Il perfetto stato di conservazione del frantoio, degli arredi e degli infissi che conteneva, ha reso il lavoro di recupero per i volontari un gioco da ragazzi.

Le due ale del museo alternano elementi della tradizione antica a quelli contaminati invece dalla produzione industriale, quella meccanica, nella quale è l’elettrica a muovere gli ingranaggi e non più la forza muscolare. Se da una parte sono conservate la bardatura degli animali destinati a far ruotare la pesante ruota in pietra, dall’altra un apparecchio meccanico è pronto ad azionare un’altra macina in maniera del tutto automatica… e funzionerebbe ancora!

Vasi di raccolta dell'olio alla base dei torchi. Uno ancora provvisto di coperchio

Vasi di raccolta dell’olio alla base dei torchi. Uno ancora provvisto di coperchio

In un vecchio camino, “pentolame” da cucina nostrano, sembra che aspetti solo di essere scoperchiato per prelevarne il gustoso contenuto. Non c’erano orari per mangiare, così come non ce n’erano per dormire. Si lavorava in continuazione senza sosta. Inutile cercare di distinguere se fosse ancora giorno o se nel frattempo fosse sopraggiunta la notte.

Subito accanto una stanza occupata da enormi vasche in pietra, destinate a contenere l’olio, talmente grandi e vicine da rendere difficoltoso il passaggio di una persona tra una e l’altra.

Strumenti meccanici e a trazione elettrica

Strumenti meccanici e a trazione elettrica

Alcune immagini appese alle pareti, vecchie foto, ricostruzioni e pannelli informativi, forniscono quanto basta all’immaginazione per poter animare quelle strutture sotto la forza dell’uomo e dell’animale che qui hanno costituito un proprio microcosmo. Con un po’ di fantasia si possono anche udire le voci dei compagni frantoiani che si danno indicazioni vocali a distanza, poche cose, quella essenziali, per le restanti non è necessario parlare, ci si intuisce ormai con lo sguardo, si carpiscono azioni e movimenti con la coda dell’occhio. La complicità è ormai tale da aver quasi la sensazione di essere un’anima sola condivisa tra più corpi. Si riesce persino a percepire l’odore della sintina e quello dell’olio che trasuda dai fiscoli. Uno dei vasi di raccolta dell’olio, alla base di uno dei torchi alla genovese, custodisce ancora il suo prezioso (e originale) coperchio in legno. Una rarità! Speculare la situazione nell’altra ala sinistra, dove una serie di presse meccaniche fanno bella mostra di sè pronte a impressionare lo stupefatto nachiro che vede così, di punto in bianco, incrementare notevolmente l’efficienza della lavorazione riducendone drasticamente i tempi.

L’acqua di vegetazione e gli altri scarti della lavorazione finivano all’interno di un sistema di canalizzazione che riversava il tutto in un pozzo profondo probabilmente intorno ai 40m, la cui imboccatura è ancora visibile nonostante sia stata notevolmente ridimensionata.

Infine, una piccola area museale che custodisce alcuni dei tasselli della storia di Cannole: ossa fossili di grandi animali che un tempo remoto frequentavano queste terre, resti delle vestigia templari in Terra d’Otranto, cimeli recuperati da chiese che vivono ormai nel ricordo di antiche stampe e delle quali restano soltanto, nei casi più fortunati, solo pochi ruderi.

Area museale con utensili da lavoro

Area museale con utensili da lavoro

Tutto questo e molto altro nel museo dell’arte olearea del Cav. Ubaldo Villani: un luogo dove presente e passato si compenetrano fino a confondere i sensi, alterare le percezioni, spalancare la bocca in lungo e incredulo senso di stupore.

Nota: il museo è aperto ogni giovedì dalle 10:00 alle 12:00.

Marco Piccinni


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