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Cara Donna Eleonora, e se il Castello lo donassi ai cittadini di Poggiardo?

POGGIARDO (Le) – Cara Donna Eleonora, Lei discende da un nobile Casato le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
Ma non bui, splendidi, che rimontano al 1446 quando la regina Maria d’Enghien diede il Castello di Poggiardo in ricompensa con titolo baronale ad Agostino Guarini.

L’imponente maniero del tardo o basso Medioevo, eretto nel passaggio verso la nuova epoca dell’Umanesimo e del Rinascimento, si impone sullo spiazzo antistante, ora Umberto I, che doveva essere la piazza d’armi, a fianco della Chiesa Madre e sopra la chiesa bizantina di S. Maria degli Angeli dell’XI secolo.

Molte dominazioni si sono susseguite in queste terre: dai Messapi ai Normanni, e poi gli Svevi (1195-1266), gli Angioini (1266-1435), gli Aragonesi (1442-1502), gli Spagnoli (1506-1734) e infine i Borboni (1734-1861).

Leggiamo che i Guarini intrapresero vari lavori di fortificazione e che durante il Regno di Giovanna II d’Angiò, Regina di Napoli, dopo la distruzione di Castro, il Vescovo Luca Antonio Resta trasferì a Poggiardo la sua residenza.

Il duca Francesco Antonio, che vi alloggiò sino alla fine della sua vita, nel 1879, fu l’ultimo abitante del castello.

Ne seguì il progressivo abbandono. Accanto al castello sorge il palazzo vescovile, edificio cinquecentesco, venduto ai Guarini e nei secoli successivi adattato a caserma e tabacchificio.

Sull’architrave di una finestra si legge la frase latina che si riferisce al cane di Ulisse, Argo: ‘Difficile est Argum fallere’ (E’ difficile ingannare Argo). La struttura massiccia si alleggerisce nella forma tondeggiante della torre, innalzata poderosa a sud-est, verso il mare.

Diversi gli ingressi: uno accanto alla Chiesa Madre, laddove sorgeva il palazzo vescovile, poi l’altro sulla via di Mezzo che corre in direzione est-ovest, fra i due mari.

Domina la piazza un ampio loggiato, su cui la famiglia ducale dei Guarini – si immagina – organizzasse feste danzanti e ascoltasse poemi accompagnati dal dolce suono della mandola o liuto.

Un agrumeto alla base della torre cilindrica e lungo il fossato rende ancora più orientalizzante questa struttura massiccia e snella allo stesso tempo, descritta nel 1800 da Cosimo de Giorgi in ‘Bozzetti di viaggio’ nei minimi dettagli, con riferimento ai preziosi arredi e alla pinacoteca.

Il Castello ora è in stato di abbandono e rischia di essere compromesso senza un intervento e un progetto di recupero, che coinvolga la proprietà, il Comune, la Regione Puglia e i cittadini, singoli e associati, per i quali rappresenta il simbolo stesso della città.

Certo, il Comune ha avuto la possibilità di farne un luogo di cultura, quando Lei glielo aveva dato in locazione con atto notarile del 23/10/1974 e l’obbligo di manutenerlo, ma poi ai primi problemi di dissesto statico nel 1976 l’Ente Pubblico si era ritratto e Lei era ricorsa in Tribunale per recedere dalla locazione venticinquennale.

Allora il Comune perse un’occasione d’oro, ma siccome il Castello è significativo per Poggiardo, insieme agli altri beni culturali fra cui la Villa Episcopo, Le chiediamo di riconsiderare quell’atto e trovare il modo di con/cedere con un gesto liberale all’Ente Pubblico o ad una Fondazione a Suo nome, questo monumento che ha ancora molto da dire, solo gli si lasci il tempo, prima che sia troppo tardi. Info: associazione.orizzonte2014@gmail.com, tel. 334 3774168.

Paolo Rausa (presidente associazione culturale “Orizzonte”)


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