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Le mille e una taranta

San Paolo mio delle tarante/che pizzichi le ragazze tutte quante”.

Una, nessuna, centomila: la tarata declinata in chiave pirandelliana. Le sue infinite contaminazioni, carsiche e di superficie, innervate nelle culture mediterranee, fra sacro e profano. Narrazioni polisemiche, di ragni libertini, tempestosi, ai confini dell’Ade, danze e colori, esorcismi e possessioni, guarigioni (spesso temporanee). Insospettate articolazioni di un “dispositivo culturale” (de Martino) ricco di semantica e di stratificazioni, ibridazioni e sincretismi.

Alcuni chiedono di essere sepolti vivi, altri di essere trascinati per i piedi per la città, altri allo stesso modo per mare…”.

Tema complesso, il tarantismo (“morbi misteriosi”), ragno “monstrum” barocco le cui radici e background antropologi e studiosi di varia matrice immergono nelle millenarie civiltà indoeuropee, alcuni lo collegano ai riti dionisiaci, alle baccanti, ai coribanti. Per quanto lo si scansioni resta sfuggente e per certi aspetti inedito: c’è sempre una declinazione da sondare.

In ambedue i casi si tratta di una crisi momentanea della coscienza, preparata da un contesto religioso tradizionale e superata con l’aiuto di una catarsi coreo-musicale…”.

Per chi vorrà farlo in futuro – a 60 anni dal celebre “La terra del rimorso”, dell’antropologo napoletano Ernesto de Martino (il primo a intuirne la ricchezza filologica, seguito poi dalla sua allieva Clara Gallini) – un testo necessario sarà il bel saggio di Vincenzo Santoro, studioso pugliese, dal titolo “Il tarantismo mediterraneo” (Una cartografia culturale), Edizioni Itinerarti, Alessano, Lecce 2021, pp. 256, € 16, cover di Donatello Pisanello, retto da una bibliografia sconfinata, che svela oggettivamente la profondità e serietà del lavoro: in sostanza, una ricognizione geografica, un’anabasi delle tracce sparse fra Spagna, Sardegna (argia), Campania, Calabria, Sicilia, Puglia del nord, centrale (Taranto) e ovvio Salento meridionale (topos dove ha dato i suoi morsi più laceranti), fra basso Medioevo ed età moderna, accademia e terra rossa, èlite e popolo, magia e superstizione, santi e sileni.

Il mood divulgativo di questo bellissimo saggio lo rende accessibile anche a chi non ha mai sentito parlare di “tarentula” e dintorni e vorrebbe avvicinarsi: il “rischio” è di restare impigliati nella “tela infinita”, “pizzicati” da un tema che si può declinare in termini soggettivi, a seconda della sua percezione del magico, la sua essenza più intima.

Come dire: a ognuno la sua taranta, e la sua “trance” citando Georges Lapassade, poichè “alcuni son soliti non aver mai pace se non prendono in mano un vaso pieno d’acqua…”. Siete fra questi?

Francesco Greco


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