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“Tagliata da un vetro di sole”. E’ donna la poesia del secolo

Il 2012 sarà antologizzato come l’anno del ritorno della poesia. Ritorno alla grande, specie della poesia delle donne, e specie del Sud. Ma scritta per tutti: l’uomo d’ogni angolo del mondo, l’universo. Feriti dalla volgarità del tempo, insudiciati dalla bruttezza delle sue interfacce, ci disponiamo ad accoglierla nell’ingenua illusione di curar le ferite, godere accidentalmente di un po’ di dolcezza, di bellezza, uno spicchio di cielo, un sorso d’aria pura, prima che sia, direbbe Ungaretti, “subito sera”. In verità avevamo avuto sentore del trend un anno fa. Sera di luglio, un gruppo di donne organizza un reading in una piazza leccese. Temporale improvviso, la gente si ripara come può e poi torna a riempirla. Ognuno va al leggio e declama versi, suoi o dei grandi (Pasolini, Garcìa Lorca, Holderlin, Achmatova, Baudelaire, ecc.). Fino a notte tarda. Assetati di bei versi, emozioni vere, non sublimate: balsamo per le nostre quotidiane inquietudini.

La conferma arriva adesso nelle librerie italiane, dove è sbarcato (ma è anche su e-book per le Errants Edition di Francesca Mazzucato) un libro che è un “caso” letterario. Perché, senza alcuna strategia di marketing ha venduto oltre 2mila copie (e per la poesia sono tante: la Merini, che era un personaggio anche televisivo, arrivò a 4mila). E anche per il fatto che la poetessa da mesi ormai lo promuove su scala nazionale con presentazioni e reading affollatissimi, citazioni della piazza di Lecce un anno fa. Il tempo, lo diceva Garcia-Màrquez, gira in tondo.

“Tagliata da un vetro di sole”, di Rossella Pulimeno, Edizioni Libere, Maglie 2012, pp. 48, € 10, collana “Rinascimento Contemporaneo”, segna anche l’inizio di una nuova èra. I grandi gruppi editoriali stampano e mandano al macero, in provincia invece trionfa l’autoproduzione (le Edizioni Libere le ha inventate lei due anni fa, si fa aiutare dalla sorella, esperta di marketing, e da mamma e papà), l’autopromozione, il fare “rete”. Sembra la versione poetica del grillismo, potrebbe essere registrato come copyright e offerto alle migliaia di aspiranti letterati che ingorgano le case editrici, e che mai avranno una risposta benché ciclostilata.       

Chi è Rossella Pulimeno? E’ una bellissima ragazza dalla pelle di neve e lo sguardo pudico nata a Cividale del Friuli (lei dice l’età, noi la taciamo: è una ragazzina) e che vive a Maglie, in Salento. E’ un’intellettuale completa con una sua visione dell’arte e della vita: che persegue senza compromessi né cedimenti. Collabora a giornali, fa teatro, fotografa e dipinge (il libro, “destinato a restare… strada d’incanto dolente”, scrive nella preforisma la Mazzucato, è impreziosito da foto e disegni realizzati con varie tecniche). Come preziosa è una citazione, che diventa un “manifesto poetico”, della siriana Salwa Al-Nemi: “Non ho altri modelli oltre e me stessa, non devo andare in cerca di autorizzazioni né terrene, né celesti. Non devo andare in cerca di una fatwa che mi dia il permesso di concedermi ai miei uomini nei momenti del desiderio…”.

21 testi, fra poesie propriamente dette e prose (meglio sarebbe chiamarle proesie), fatte di parole nude e abbaglianti, leggere come petali di fiori, odorose come pollini a primavera. A volte vibranti di passione per la vita, le cose, il tutto, a volte crepuscolari in senso leopardiano, perché i nostri sogni a volte sconfinano in paludi da cui poi disincagliarli è impresa di Sisifo ma non impossibile, “in fondo, ribelli al morso, sempre”. La sua visuale, l’orizzonte dello sguardo è femmina, “madre”, “origine”, come dice la Mazzucato, che le definisce “delicate come una bambola di carta velina che vola via e lambisce nuvole e farfalle” e trova in esse “una contemporaneità cesellata fino a divertare <classica>”.  

I concetti su cui poesie e prose si soffermano più intensamente sono il linguaggio e il tempo. Il primo è forse dovuto alla confusione provocata dalla babele di segni e sogni che ci avvolge, tutti tesi a omologarci, a strapparci ex abrupto ogni ansia di soggettività per ridurci a numeri, a audience, a carne da macello per i media. Il tempo invece è l’idea febbricitante che angoscia ogni essere umano, il suo fluire inesorabile, lo scivolare insonne come sabbia fra le dita, e l’urgenza di cogliere qualcosa d’essenziale, di unico, per poter un giorno confidare a se stessi di non aver fallito la mission.

Se “il vuoto è quel sentirsi naufraghi”, quella della poetessa di Maglie è una poesia contro lo smarrimento cosmico che ci sovrasta e ci affatica, la solitudine che ci opprime il cuore, l’angoscia ispida compagna della quotidianità. Versi che ci aiutano a cercare una via, una luce, fosse anche un’umile falena per sortire dalla notte e, chissà, uscire a riveder le stelle.   

 

Francesco Greco


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