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La chiesa rupestre dei Santi Stefani

Prendere in mano in teschio umano potrebbe apparire un’esperienza grottesca, anche un po’ traumatizzante. Qualcosa che forse siamo abituati a vedere ormai solo nei film, quando un atletico e palestrato esploratore, spesso improvvisato e alla sua prima “missione”, si imbatte ovviamente in antiche necropoli, tesori scomparsi, civiltà perdute, svelando così con la tipica fortuna del principiante un segreto che si conserva da secoli, millenni, in barba a tutti gli archeologi e studiosi che da anni si sono cimentati invano nell’impresa.

Cinematografia a parte è vero che chi vive un luogo “misterioso” ha una diversa concezione di ciò che è usuale da ciò che invece non lo è. Gli anziani di Vaste ricordano che era normale, per loro, rinvenire teschi, tibie, femori, coste, semplicemente scavando nel terreno per lavorare la terra, spostando dei massi che si sono poi rivelati delle tombe, o compiendo lavori di scavo per diverse ragioni.

Una concentrazione di sepolture molto densa che a partire dalla necropoli di fondo Giuliano si estendeva fin nella vicina chiesa dei Santi Stefani, chiesa nella quale si spostò il culto religioso dell’area.

La chiesa dei Santi Stefani è un edificio a tre navate scavato nella roccia che ben poco conserva della sua architettura originaria. Risalente all’incirca all’anno mille è stato adibito nel corso dei secoli a diversi usi e culti.  L’ origine è bizantina, di cui possiamo riconoscere ber tre cicli di affreschi stratificati che si inquadrano in un intervallo di tempo piuttosto ampio, dalla fine del X secolo fino al 1376. Propongono un insieme di modelli di santi quali san Andrea e Filippo Apostolo, tre diverse rappresentazioni di Santo Stefano, il primo protomartire della chiesa Cristiana, tre di San Antonio Abate, colui che come Prometeo rubò il fuoco al diavolo per donarlo all’uomo grazie all’aiuto del suo maialino, nonché delle rappresentazioni di Santa Caterina di Alessandria.

Queste raffigurazioni di donne e uomini nimbati fanno da cornice ad una rappresentazione molto suggestiva, nella parete absidale della navata centrale: il sogno di San Giovanni descritto nei libri dell’apocalisse. secondo questa visione onirica:

Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto.

Apocalisse di Gesù Cristo 12,1

Il nome della chiesa, dei Santi Stefani, potrebbe derivare dalla presenza delle molteplici rappresentazioni del  primo martire, oppure a causa della vicina chiesa del Martyrion probabilmente a lui dedicata.

Il sogno di San Giovanni

Dopo un primo utilizzo prettamente cultuale, la chiesa rupestre sarebbe stata utilizzata alternamente come rimessa agricola e luogo sacro. Si racconta che un prete cattolico l’avesse adibita come stalla per il suo asino, che probabilmente non si aspettava di ricevere tanta considerazione dal suo padrone che gli consentiva di dormire, mangiare e chissà cos’altro in compagnia di tanti Santi.

Leggende a parte la cripta venne probabilmente utilizzata dal periodo normanno con il doppio culto, sia greco che latino, fino al XVIII secolo per essere poi abbandonata all’incuria e devastazione dell’uomo che la utilizzò per riporre attrezzi agricoli, essiccare il tabacco o altri usi decisamente più “laici”.

La nuova destinazione ha richiesto degli interventi  edili per meglio usufruire della struttura, come ad esempio l’eliminazione di un pronao, l’abbassamento del suolo calpestio, l’erezione di muri interni, l’eliminazione di alcune nicchie e l’apertura di porte e finestre per fare entrare più aria e luce, la perforazione delle arcate per l’allocazione di pali e travi

Tutto questo, oltre alla forte umidità, ha contribuito notevolmente al degrado del ciclo pittorico ancora in attesa di un restauro che possa riportare agli antichi splendori uno dei tanti capolavori che i bizantini ci hanno lasciato.

Marco Piccinni


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