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Il Martyrion, la Necropoli Paleocristiana e il refrigerium a Vaste

Per gli appassionati del settore, o i curiosi di turno, l’area archeologica di Vaste rappresenta indubbiamente un importante tassello della cronistoria salentina che abbraccia un intervallo di tempo tanto vasto da contenere all’unisono Messapi, Romani e Bizantini.

Un tempo chiamata Basta, segnalata sull’antica mappa di Soleto insieme a numerosi altri importanti centri messapici, come Ugento e Vereto, collegati l’un l’altro dalla celebre via Sallentina della quale sono state portate alla luce alcune tracce, ha ospitato prima dei famosi guerrieri messapici  alcuni villaggi dell’età del bronzo e del ferro.

La città, ampia ben 77 ettari, venne fortificata intorno al IV-III secolo a.C con oltre 3 km di mura alte 7 metri e larghe 4 e con ben 5 porte di ingresso.

L’arrivo dei Romani all’inizio del III sec. a.C. pose fine al regno dei coraggiosi guerrieri le cui silhouette in bronzo costellano parte del perimetro difensivo dell’antico abitato, oggi un parco a loro dedicato (il Parco dei Guerrieri). Le torri che i conquistatori utilizzarono per espugnare la città sono state ricostruire in memoria della cruenta battaglia che espropriò ai primi veri colonizzatori l’estrema propaggine del promontorio japigio. Di questa battaglia sono rimasti ancora dei segni, alcuni molto evidenti, nel “quartiere messapico” Cunella a Muro Leccese.

Della presenza romana in quest’area, e degli influssi della graduale cristianizzazione del territorio che questi addussero, sono tutt’ora visibili i loculi di un imponente necropoli paleocristiana e i resti di varie strutture di carattere religioso, tra loro sovrapposte, nell’area conosciuta come fondo Giuliano.

Necropoli Paleocristiana

Sono state rinvenute oltre un centinaio di sepolture, alcune delle quali condivise nello stesso loculo, inizialmente ottenute all’interno di una caverna. Lo sfruttamento intensivo di questo ambiente ne ha causato il crollo della volta permettendo così di conservare alcune integre. Le sepolture sembrano suddivise in due gruppi fondamentali: uno che raccoglie gente visibilmente facoltosa data la ricchezza degli arredi funerari, caratterizzate da nicchie coperte da lastroni a doppio spiovente decorati da acroteri ai quattro angoli e disposte lungo il perimetro della grotta e in prossimità della chiesa; un secondo che raccoglie le spoglie di gente comune, costituite da coperture semplici o altri elementi “reciclati” da precedenti costruzioni.

Nell’area circostante ve ne potrebbero essere ancora diverse altre centinaia ancora del tutto inviolate.

All’interno della cavità cimiteriale sono stati rinvenuti alcuni resti, così come all’interno dei loculi, che farebbero presupporre la pratica del refrigerium, un’usanza tipicamente romana, proibita dal primo cristianesimo fin dal IV secolo d.C. in quanto intrisa di aspetti pagani.

Le zone adibite ad uso cimiteriale nell’antichità non erano luoghi tristi e desolati come saremmo portati a pensare. Erano invece dei luoghi di festa dove si ballava, si beveva e si cantava tutti insieme per ricordare i cari estinti. Vi erano prati ricchi di fuori colorati e si preparavano dei dolci a forma di teschi e ossa da consumare in occasione della giornata preposta alla commemorazione dei defunti. Queste tradizioni di stampo celtico si estesero rapidamente a tutto l’occidente fino a giungere in parte fino a noi. Erano proprio i Celti che solevano onorare i loro cari con doni floreali nella giornata predisposta allo scopo, durante il capodanno celtico, oggi conosciuto come Halloween, breve intervallo di tempo in cui il mondo dei vivi e quello dei morte si mescolava in un’unica entità.

Oltre ai Celti anche Estruschi e Romani credevano che i morti potessero condividere alcune esperienze con i loro cari ancora in vita. Per questo venivano organizzati, in occasione dei feralia (che terminavano il 21 febbraio), dei ricevimenti commemorativi oltre che diverse celebrazioni anche in occasione dell’anniversario della nascita e della morte che prevedevano invece lo spargimento di viole e farina di farro, rituali di libagione e infine l’equivalente di quella  che potremmo definire oggi come messa di suffragio. Il banchetto, il refrigerium, aveva lo scopo di portare refrigerio all’anima e al consunto corpo del defunto, affinchè potesse continuare la sua esperienza nell’aldilà senza dover rinunciare ai precedenti legami con la vita terrena.

La necropoli paleocristina è coeva ai resti della chiesa più antica rinvenuta in fondo Giuliano, edificata nel V secolo come martyrion, ossia una struttura religiosa costruita sopra la tomba di un martire o sul luogo della sua morte. La tomba in questione potrebbe essere quella utilizzata per accogliere le spoglie di Santo Stefano, il cui culto si è poi spostato nella vicina chiesa rupestre di origine bizantina conosciuta con l’intitolazione di “Chiesa dei Santi Stefani”, indubbiamente più sicura e robusta,in quanto scavata nella solida roccia, rispetto ai grandi e spesso instabili primi edifici religiosi. Il martyrion ha una pianta a croce greca, sui cui resti verrà eretta poi un secolo più tardi una basilica a tre navate di dimensioni imponenti per l’epoca (33m x 29m). A questa poi se ne sovrapporrà un terza dell’VIII-XI sec. di dimensioni più modeste ed un quarta ad un’unica navata, come la precedente, nel X secolo

Martyrion di Fondo Giuliano

Fondo Giuliano rappresenta egregiamente l’immaginario del viaggio nel tempo pur non dovendo necessariamente attraversare le porte spazio temporali né tantomeno spostarsi di un solo centimetro. Basta solo mettersi li, ad osservare…

Marco Piccinni


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