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Salento

Salento, un termine dalle origini ancora incerte. Una parola di poche lettere, ma sufficienti per comporre tutti i vocaboli necessari a raccontare una storia, molte storie, che lo hanno visto  protagonista, che lo hanno forgiato, che lo hanno accompagnato per mano nel corso dei millenni. Storie che hanno un inizio ma, spesso, non una fine.  I vari racconti si sono intrecciati con leggende e favole, fusi all’unisono fino a costituire un unico grande melting-polt antropologico culturale. Un calderone nel quale sono stati cucinati per secoli gli ingredienti più disparati; una mensa i cui commensali non parlano la stessa lingua; un rivisitato vaso di Pandora che custodisce gelosamente, all’oscuro di tutti, i più intimi desideri e  peccati di ogni forma dell’uomo che in questa terra  è nato, ha vissuto, per poi cambiare forma nella morte pur rimanendo intimamente legato, indissolubilmente, alla sua terra.

Una culla della vita che qui avrebbe visto nascere i primi individui di Homo-Sapiens, come attesta il ritrovamento di un dente di bambino di 45.000 anni fa all’interno della grotta del cavallo di Nardò. Il reperto più antico di questa “nuova specie”, destinata a calcare le scene dei principali teatri di tutto il mondo, sbaragliando la concorrenza Neanderthaliana: attori rozzi e “primitivi”, dicono.

La voracità di conoscenza, lo spirito di adattamento, la selezione naturale e perché no, anche tanto fattore C, hanno permesso all’uomo, che ancora non sapeva di essere “salentino “ di affrontare e superare indenne varie epoche: il paleolitico, il neolitico, l’età del rame, del bronzo, del ferro, lasciandoci per ognuna segni indelebili del suo passaggio. Non sia mai che un giorno qualcuno avesse dubitato del suo operato anche nell’estremo sud! Non gli importava conoscere l’anno in cui si trovava, il concetto di tempo non era stato ancora formalizzato dopo tutto, ma inconsapevolmente era già parte dell’archetipo filosofico del panta rei, tutto scorre. Tutto ciò che ha un inizio, giunge, inesorabilmente ad una fine, forse. Già, il dubbio è di casa perché, fin dagli albori, l’uomo si è rifiutato di credere ad una fine ineludibile, a quella morte che ti attende sempre dietro l’angolo, quell’entità che non conosci ma che sembra, invece, conoscere tutti quanti alla perfezione.

Basamento di una capanna dell’età del bronzo (Parabita)

L’uomo comincia quindi ad elaborare il concetto di morte, inspirato da quelle divinità che vede nascere tutti i giorni nei processi della natura, delle quali si circonda e le rende partecipi della propria esistenza e, quindi, anche della propria fine. Elabora un concetto di lutto, di sepoltura, di rito funebre, contribuendo inconsapevolmente ad arricchire un dizionario di termini che, probabilmente, non userà, nè conoscerà mai (in fondo non sono nemmeno nella sua lingua!). Le sepolture si arricchiscono di corredi funebri, quello strano attaccamento alla vita e alle sua abitudine che sembra non volerci abbandonare neanche in quest’ultimo (?) viaggio. I rituali e le sepolture con il tempo si evolvono, si arricchiscono di nuovi elementi, fino a sconvolgerne il senso e l’ordine nella costituzione di tumoli con funzione sepolcrale e crematoria, il primo (probabilmente) in tutto Europa a Salve, in località Montani. Quella vita, anche post-mortem, che da tempo si è cercato di preservare ora finiva in cenere. Perché?

Particolare interno della grotta funeraria di Montesardo

La mente dell’uomo (o per lo meno di quasi tutti gli uomini) è inevitabilmente incline al cambiamento. Cambia il suo modo di vedere le cose, di osservare il mondo (pardòn, il Salento), cambia lingua, usi e costumi. A volte cambia anche nome. “Da oggi ci chiameremo Messapi! Disse il capo carismatico di un clan acclamato dalla folla che lo ascoltava in delirio”. Le cose non sono andate sicuramente in modo così spicciolo, fatto stà che i Messapi nel Salento ci arrivano davvero, vuoi parte di un processo evolutivo di popolazioni autoctone, o vuoi perchè provenienti d’oltre mare come afferma Erodoto, divennero in breve tempo, e  per oltre mezzo millennio, i padroni indiscussi della bassa Japigia, la Messapia, un termine la cui latinizzazione (dal greco) e una parziale storpiatura, dovrebbe indurre ad un vocabolo, salogentis, il popolo dei sali, dei mari (per poi divenire Salento?). I Messapi furono un popolo d’arti e d’armi, una cultura e una fierezza in battaglia fortemente ellenizzata, che ha dato il via ad una spinta migratoria continuamente alimentata nel corso dei secoli, tale da portare ad una quasi totale fusione della cultura salentina con quella  greca, di cui oggi sopravvivono non pochi avanzi. Il più grande? La Grecìa Salentina.

Necropoli messapica di Monte d’Elia (Alezio)

Un popolo talmente forte e fiero da resistere a lungo alle mire espansionistiche della spartana Taranto e della ben più minacciosa Roma, capitale di quel futuro impero che presto ingloberà anche la Messapia, preservandone  però culti e tradizioni.  Un impero la cui vita sarà difficile e travagliata, ma con una particolare propensione per il divertimento. Vengono costruiti anfiteatri in lungo e in largo, due nella sola zona del leccese, Lupiae e Rudiae, città, quest’ultima, che diede i natali a colui che viene ritenuto il fondatore della letteratura latina: Quinto Ennio. Un’impero apparentemente fermo e irremovibile sulle proprie decisioni ma che, allo stesso tempo, adora i colpi di scena: uno fra tutti, l’adozione del Cristianesimo come religione di stato. Dopo aver trovato il modo per nascondere l’infinito inventario di divinità che Roma aveva sapientemente compilato nei secoli, ma che i sudditi dell’impero continueranno a venerare sottobanco e di nascosto, convogliando  con il tempo i relativi rituali in eventi mondani dai nomi più rassicuranti per Madre Chiesa, e che spesso includono le parole “sagra” e “fiera”, i Cristiani da secoli perseguitati riemergono dalle cripte nelle quali si rifugiarono. Iniziarono ad adorare il proprio Dio alla luce del sole. Gli eventi che seguirono furono repentini e quasi fuori controllo: tutte le divinità romane, ops, pagane, ancora in circolazione vennero catechizzate e dotate di aureola, prendendo ora il nome dell’uno o dell’altro martire, poi santo, immolatosi in difesa della propria fede quando ancora i tempi erano così avversi;  vennero costruite nuove chiese e avviati i primi pellegrinaggi religiosi, Santa Maria di Leuca una delle mete favorite, lì dove, pare, gli apostoli Pietro e Paolo abbiamo messo per la prima volta piede in territorio italiano. Paolo era di ritorno da una viaggio a Malta, dove un serpente velenoso lo morse senza sortire nessun effetto indesiderato. Un evento che fungerà da ottimo pretesto per la Chiesa per debellare il fenomeno del tarantismo (un vero e proprio male!) sotto l’egida del vero fondatore del Cristianesimo. Eh si, il tarantismo diverrà un pericoloso problema per la Santa Sede, tale da far discutere mezza Europa e arrovellare le menti di medici e scienziati (anche Leonardo da Vinci non resisterà alla tentazione!) a partire dal basso medioevo, per poi esplodere e iniziare il suo declino nel corso del XVIII secolo, quando i progressi della medicina napoletana furono tali da razionalizzare la possessione del ragno, anche se ancora in parte curata con salassi e strani unguenti.

Basilica di Santa Maria di Leuca

I Cristiani, per un curioso gioco di inversione dei ruoli, da perseguitati si trasformarono in persecutori. Una condizione, questa, che sarà l’unica costante in un contesto di variabili ed incognite in continua evoluzione: crolla l’impero romano d’occidente sotto gli attacchi dei goti; i bizantini cercheranno di recuperare le terre occidentali un tempo sotto il controllo del’Urbe, garantendosi come possedimenti “stabili” sono le regioni meridionali, minacciate da longobardi, occupate dai Normanni, ereditate dagli svevi, tormentate dai saraceni, per  passare ad angioini, aragonesi prima di giungere alla parentesi Borbonica, a tratti interrotta dall’impero Napoleonico, l’ultima che precedette l’unità d’Italia. Da qui, parentesi se ne apriranno delle altre: la guerra civile tra briganti e sabaudi, i campi di concentramento per i meridionali al nord, il fascismo, le tabacchine, l’accordo uomo-carbone,…,oggi.

Necropoli Paleocristiana (Vaste)

Tante connessioni, piccole se confrontate sulla lunga linea del tempo della nostra storia e che proprio nell’ultimo millennio sembra abbiano avuto la stessa accelerazione data da questo racconto. Un’accelerazione dalla quale abbiamo attinto e fatto nostre testimonianze importanti, che ci consentono di ammirare, ancora, le icone statiche e sbiadite dei monaci bizantini nelle cavità della terra e nelle innumerevoli cripte cenobitiche; di osservare la meraviglia del creato dalle altissime specchie medioevali, costruite per vigilare e difendere la propria casa; di perdersi tra le possenti mura di castelli e fortificazioni; di fantasticare sulle mistiche funzioni di dolmen, menhir, menanthol, cairn; di sognare i pittogrammi della grotta dei cervi; di terminare a leggere questo racconto, estrapolato dalle lettere della parola Salento, ma che non è ancora terminato…siamo solo alla lettera E.

Affreschi nella Cripta della beata Vergine di Coelimanna (Supersano)

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