Tumolo funerario in località Montani, inumazione e cremazione nell’età del bronzo
Sul Corriere del Mezzogiorno del 25 Luglio 2007 una notizia sensazionale scuote il mondo dell’archeologia salentina, e non solo. “Per la prima volta nel Salento portiamo alla luce un monumento megalitico non manomesso, né violato”. Con queste parole Elettra Ingravallo pone l’enfasi su una scoperta costretta a modificare le convinzioni storiche fino ad allora possedute sull’età del Bronzo.
Una grande cassa in località Montani (Salve), composta da lastroni in pietra, all’interno di un’area recintata da un muro del quale rimangono solo due lati: un vero e proprio ossario con i resti di una cinquantina di individui, oltre che di corredi ceramici, ornamenti vari in osso e corallo e strumenti in ossidiana e selce.
Non c’è nessun epitaffio a corredare la sepoltura e commemorare i defunti per i posteri ma, nonostante questo, è stato possibile datare con certezza la struttura, collocandola alla fine del III millennio a.C., quando il mondo protostorico subì quei cambiamenti che avremmo catalogato più tardi come “età del Bronzo”. In questo periodo si diffonde quasi ovunque un nuovo culto dei morti che prevede l’utilizzo di sepolture collettive, ricavate in grotte naturali o artificiali.
La scoperta, coeva alla Grotta dei Cappuccini di Galatone , “demolisce, in pratica, quella che era considerata una certezza dagli archeologi e cioè il fatto che i monumenti megalitici sarebbero comparsi solo nel II millennio”, continua Ingravallo, oltre che a dimostrare l’esistenza a Salve di differenti culti sepolcrali. Una campagna di scavo condotta nel 2008, infatti, ha permesso di individuare al centro della struttura una fossa di 2 metri per 2, che ha sul fondo una cavità circolare, con evidenti tracce di una prolungata esposizione al fuoco: una struttura di combustione.
L’identificazione, tra cenere e resti di carbone, di alcuni frammenti ossei e di un vaso all’interno di una piccola fossetta, farebbe ipotizzare l’esistenza di una forma cultuale legata alla cremazione dei defunti, anche questa ancora inedita nel III millennio, per la quale sembrava non esistesse nessuna differenza tra sesso e età, coinvolgendo ugualmente donne e bambini. Un’ulteriore campagna nel 2009 ha consentito di recuperare altri 3 vasi contenenti ossa umane combuste dalla cassa rettangolare.
Un sito, dunque, dove l’inumazione e la cremazione sembrano coesistere contemporaneamente, anche se difficile dire secondo quali arcaiche regole un trapassato veniva destinato all’una o l’altra sorte. Una combinazione di elementi unica sul territorio nazionale, e che trova riscontri analoghi solo in area balcanica. Una condizione bizzarra quella della cremazione, che vede distruggere l’involucro umano, potenziale tramite del proseguimento della vita in un aldilà che si manifesta attraverso segni interpretabili soggettivamente alla bisogna. La presenza di un corredo funebre che il defunto, ormai cenere, non potrebbe più utilizzare nella sua nuova vita.
Quella del tumulo funerario è una scoperta non isolata nel territorio salvese. Da ricognizioni del 2001, da parte di Nicola Febbraro, Luca Pelagalli e Paolo Cosi e nel 2005, nate per indagare il fenomeno delle piccole specchie in località Macchie Don Cesare, è emersa una piccola costellazione di strutture funerarie nei pressi della Masseria Don Cesare e dell’aparo Valentini, dalle quali sono stati riesumati sia resti ceramici che di ossa umane combuste e, in alcuni casi anche di animali, probabili offerte votive sacrificali.
Marco Piccinni
BIBLIOGRAFIA:
Nicola Febbraro, Archeologia del Salento il territorio di Salve dai primi abitanti alla romanizzazione – Edizioni Libellula (2011)