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Masseria Cippano, una mina vagante

Dal dimenticatoio delle contrade rupestri a ridosso di quel mare ancora bagnato del sangue degli otrantini, alle luci della ribalta del cinema italiano, il bel cinema. Quella della vecchia Masseria Cippano sembra essere una di quelle storie che del cinema ne costituisce ormai il pregiudizio: una situazione apparentemente paradossale che si dispiega con tanta naturalezza da non poter non sembrare autentica.

Realizzata durante il medioevo nell’omonima contrada, in un luogo in cui le giornate si passavano con lo sguardo proteso verso il mare in cerca del nemico; su quella costa, ora puntellata dai ruderi di quelle torri di vedetta che per  anni si sono affannate a garantire la sicurezza di quel Salento ormai martoriato dalle incursioni saracene.

Masseria Cippano

Masseria Cippano divenne parte integrante di quel sistema difensivo voluto dall’allora imperatore del Sacro Romano Impero, Carlo V, in comunicazione diretta con Torre Sant’Emiliano, dalla quale ricevere e inoltrare il messaggio di pericolo nelle zone più interne dell’entroterra.

Munita di torre (alta circa 15 metri) organizzata su due piani, arricchita da una scala con ponte levatoio. Una struttura fortificata dotata di caditoie, recintata da muri paralupi e fornita d’acqua da un sistema di cisterne in grado di raccogliere, filtrare e trasportare il prezioso liquido ai vari ambienti. Un luogo di lavoro e di guerra, di vita e di morte, arricchito con il tempo da ulteriori edifici, magazzini, granai, stalle e da una chiesetta, dedicata a Sant’Isidoro (1784)

Chiesa prospiciente Masseria Cippano

Dopo la vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto l’incubo del nemico turco all’orizzonte sembrava ormai un lontano ricordo. Gli elementi bellici non sarebbero stati più necessari, vennero quindi sostituiti o abbandonati. Lo sviluppo del complesso masserizio poteva ora procedere in “orizzontale”, lasciando gli ambienti alti a disposizione del signorotto o del massaro, che dall’alto avrebbe vigilato sull’operato dei suoi coloni. Ma il turco assunse un’altra forma. Non veniva più dal mare su un veliero minaccioso, ma dalla caotica capitale, Roma, con un seguito di cineprese ed attori. La masseria questa volta viene espugnata! Un attacco che ha portato un po’ di luce. Ripulita e rimessa a nuovo dopo decenni di abbandono, se escludiamo  la compagnia di una barbone con l’hobby della falconeria. Cippano diviene momentaneamente possedimento turco, quello di Ferzan Ozpetek!

Il regista in cerca di nuove scenografie e ambientazioni, dopo una lunga parentesi romana, si stanzia nel Salento, dal quale riceverà la cittadinanza onoraria dalla capitale del barocco (Dovunque tu metta la cinepresa a Lecce è una bella inquadratura, afferma il regista). Qui gira il suo “Mine Vaganti”, un film che affronta le pregiudiziose esistenze di una famiglia del sud, consapevole vittima di numerosi luoghi comuni.  La mina vagante per eccellenza, colei che inaugura la pellicola con un ingresso in abito da sposa nella splendida masseria, è un po’ il perno del racconto. Una donna attraverso la quale la storia prende forma, si evolve, fino a interrompersi con un suicidio molto zuccherato, a suon di dolci.

Ha ottenuto 13 candidature ai David di Donatello 2010, vincendo due statuette per i migliori interpreti non protagonisti (per Ilaria Occhini ed Ennio Fantastichini), e nello stesso anno ottiene il Premio Speciale della Giuria al Tribeca Film Festival. Ha vinto 5 Nastri d’argento e ha ottenuto una candidatura al Premio del Pubblico Europeo degli European Film Awards.

Una location d’eccellenza esclusa dal Parco costa Otranto Santa Maria di Leuca e bosco di Tricase, e che dopo il rischio di crollo, minacciato da una cartello apposto dalla regione Puglia, ufficialmente ancora proprietaria del bene, rischia di divenire un presidio slow food. Una fine forse ancora più triste e indecorosa. Il progetto, redatto dal comune di Otranto che ha chiesto in concessione gratuita il bene dalla regione, sarebbe già stato scritto. Un progetto atto alla valorizzazione e conservazione del patrimonio immateriale enogastronomico salentino, con uno scrupoloso e attento occhio di riguardo nei confronti della salvaguardia del bene anche se un po’ meno della contrada che lo circonda, che rischierebbe così di divenire un enorme parcheggio.


Marco Piccinni


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