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Ciao Federico, buona nuotata a Novaglie

ALESSANO (Le) – Il mare è stata la passione della sua vita. E nel “suo” mare ora ci piace immaginarlo, impegnato in una nuotata senza fine, con l’espressione serena, felice di chi ha dato quello che un uomo deve dare alla sua terra “tumara”, la sua famiglia patriarcale, il suo paese sfatto dall’emigrazione e si gode l’ultimo scorcio di una vita lunga e piena di fatica, di conquiste, di gioie.Ci mancherà un sacco Federico Bello, che a 89 anni ha deciso di andarsene in un giorno afoso di inizio luglio, proprio quando il mare di Novaglie si sta riempiendo di turisti e ha quell’aroma intenso che rapisce. Non lo vedranno più arrampicarsi fra gli scogli per scendere a farsi la nuotata quotidiana. Gli ultimi tempi con la stampella (foto): gli acciacchi dell’età, la salute che si illanguidisce come fuoco spento. Ma nemmeno i pescatori che lo osservavano anche d’inverno addentrarsi fra le fredde onde amiche: con la Fiat 500 rossa, Federico andava al mare tutto l’anno. Era il suo mondo, la sua vita, come se volesse tornare nel grembo della grande madre.

Difficile immaginare un uomo così sincero, dall’animo pulito, generoso: un galantuomo. Era tutt’uno con i suoi ulivi secolari, il carparo delle cave, le erbe selvatiche, i pollini dell’aria, il vento di grecale. Federico era nel suo sorriso infantile, timido, nell’umiltà con cui si poneva con gli altri, nella sapienza contadina e operaia del Novecento, qui dove respiriamo lo iodio del Mediterraneo e l’uomo è come la lucertola del poeta Vittorio Bodini: un dado a molte facce.

Federico Bello

Federico Bello

Parente di don Tonino Bello, è stato un personaggio, un uomo d’altri tempi di cui s’è perduto lo stampo e speriamo non la memoria. Ero stato a trovarlo a primavera: da qualche tempo, dopo due operazioni alla gamba destra (con l’innesto di una protesi) era costretto a letto e ci soffriva molto, lui che aveva l’argento vivo addosso (l’artetica): gli mancava il mare, gli amici in piazza, le lunghe chiacchierate all’ombra delle querce.

La sua voce aveva perso quella modulazione lieve e gaia e si era fatta triste, venata di rimpianto. Era attaccato alla vita come gli ulivi alla terra. Mi aveva raccontato della sua vita, il matrimonio giovanissimo nel dopoguerra, il lavoro da sole a sole, la nascita dei 6 figli, gli anni duri dell’emigrazione, il ritorno, la vita dei mille mestieri che l’uomo mediterraneo si inventa (Federico col camion portava la pietra dalle cave dove io lavoravo con mio padre Cosimo ai cantieri: anni sessanta, boom dell’edilizia coi denari degli emigranti), la terra alle “Matine”, il pozzo, l’acqua per le sue coltivazioni, le verdure, gli ortaggi, poi l’idea del frantoio, ne era orgoglioso (“L’ho scavato con le mie mani”).

Parlava con gli occhi lucidi dall’emozione, come se rivivesse ogni istante. Dopo un attimo di esitazione aggiunse: “Fra tutte le terapie che i medici mi prescrivono, il mare è la sola che allevia ogni malattia…”. La moglie annuiva in silenzio mentre preparava il caffè.

Poi il discorso scivolò sulla scaletta che era apparsa sulle rocce ispide di Novaglie per permettere agli anziani e i disabili di godere del loro mare. Per anni ha lottato per le barriere architettoniche, meno arroccate di quelle mentali, culturali. Disse: “I politici dicono che l’hanno fatta loro, ma come tu sai io lotto da 10 anni…”.

E’ vero. Era conosciuto e ammirato anche per questo, per il suo idealismo, la tempra di lottatore contro le ingiustizie, per i diritti degli “ultimi”. “Fin da giovane si è battuto per gli ideali in cui credeva…”, ha detto don Gigi Ciardo ai funerali. Aveva raccolto centinaia di firme e con la sua petizione popolare bussato a tante porte, interpellato istituzioni (Capitaneria di Porto, Regione, Provincia, Comuni, partiti, parlamentari, ecc.). Avevamo scritto degli articoli (il paese è pieno delle sue fotocopie), parlato alla radio nazionale (Radio1Rai).

E alla fine aveva vinto lui, Federico Bello, uomo con la “u” maiuscola, e come lui ce ne sono sempre di meno, purtroppo. Ci mancherà un sacco, ma siamo certi che un giorno lo incontreremo fra le onde turchesi e faremo due chiacchiere al “Canalèddu”, nel mare infinito del tempo e dello spazio siderale dove non c’è bisogno di scalette né di stampelle per scendere e risalire, perché gli uomini buoni, onesti, ricchi di umanità, e solo quelli, ritrovano il vigore della loro ardente giovinezza. Ciao Federico, buona nuotata a Novaglie, il “tuo” mare della tranquillità.

Francesco Greco


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