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Nicola Caputi contro la medicina ufficiale, pubblica De Tarantulae Anatome Et Morsu

Le tarantole che si aggirano nelle campagne di Puglia appartengono probabilmente alla specie dei falangi e il loro veleno è di istantanea efficacia poiché colpisce subito la mente di coloro che vengono morsi. Si suole in quella regione curarlo con il canto e con la musica, lo attesta anche il Cardano a proposito degli animali che nascono dai corpi in putrefazione. Ma niente è più singolare di quel genere di ragno chiamato Tarantola, che quando morde procura la morte per letargia. L’unico rimedio è la musica perché incita a ballare e ballando il letargo viene scacciato insieme al veleno che è freddissimo. 

[Lettera di Giovanni Battista Teodosio ad Andrea Alciati (1538)]

Il tarantismo, mistico ed emblematico fenomeno che ha fatto parlare i più illustri scienziati e medici d’Europa destando anche l’attenzione e la curiosità del poliedrico Leonardo da Vinci che non riuscì a desistere dal formulare una teoria soddisfacente che potesse spiegare, con razionalità, lo strano fenomeno del morso del ragno senza inciampare in scialbe considerazione di carattere esoterico.

L’espansione dell’Islam verso l’Italia meridionale già dal VII secolo, nonchè la forte influenza greca indurrebbero a pensare che l’origine del tarantismo sia da ricercare in un contesto di riti orgiastici e iniziatici del mondo ellenico o di quello africano, fenomeni legati entro certi limiti a civiltà protomediterranee. Tra le due culture  vi sono molte analogie se rapportate sul piano di due fenomeni: il menadismo per il mondo greco, una forma di frenesia estatica per Dioniso che coinvolgeva solitamente donne, rappresentate con indosso pelli di animali e spesso agitando un tamburello; la possessione  dello zar o  dei bori per il modo africano, nella quale il corpo di un soggetto ospite veniva controllato da un entità demoniaca. L’area di diffusione e di sviluppo di questi culti privilegerebbe i paesi islamici dell’Africa settentrionale, la penisola Arabica, l’Etiopia ed una parte del Sudan, oltre al mondo afroamericano dove simili miti si sono sviluppati parallelamente assumendo via via nomi diversi come macumba, candomblè, santeria e vodu.

Dalle figure nere su sfondo rosso dei vasi ellenici alle fotografie scattate in occasione della campagnia di studio di Ernesto de Martino a Galatina nel ’59, si intuisce come l’uomo dei paesi mediterranei abbia convissuto per secoli con il mistico fenomeno del tarantismo. Diverse sono state le cause scatenanti della rapsodia coreografica e i soggetti rappresentati. La costante invece era una sola: la musica.

La possessione della vittima morsa da un ragno, la cui unica cura sembrava essere l’esorcismo coreutico musicale, rappresentò la definizione ufficiale del fenomeno del tarantismo fino al ‘700, quando i progressi della medicina della scuola napoletana relegarono il fenomeno ad una patologia descritta con paroloni altisonanti, oggi tradotti con “isteria”. Il tarantismo si avviava lungo una strada in discesa che lo avrebbe condotto a scomparire definitivamente.

La pietra sulla quale sedette San Paolo, patrono del Tarantismo, nella chiesa di Galatina

Nel  mondo accademico c’era chi continuava comunque a sostenere, con prove alla mano, la veridicità di quanto i salentini da generazioni andavano raccontando: nel 1741, dopo diverse difficoltà, Nicola Caputi riesce a pubblicare il suo volume, De Tarantulae anatome et morsu, uno studio approfondito sull’anatomia delle diverse specie di falangi responsabili, secondo l’illustre medico di Campi salentina, degli effetti del tarantismo, oltre che riportare fedelmente le  testimonianze di 22 casi di individui che hanno trovato una pronta guarigione ricorrendo proprio a quell’unica terapia prescritta per generazioni dalla saggezza popolare: il ballo.

Nicola Caputi, membro dell’accademia delle scienze del Regno di Napoli, ha scritto questo volume sotto la protezione di Nicola Cirillo, presidente della suddetta accademia, il quale promise al Caputi la massima diffusione dell’opera mediante la Regia Società di Londra di cui era socio. La sua morte improvvisa però ritardarono la pubblicazione dell’opera che non ebbe la diffusione che il Caputi sperava.

Il volume è minuziosamente curato dal punto di vista scientifico e corredato da tavole che illustrano nei dettagli l’anatomia dei falangi, i ragni candidati dal Caputi a rappresentare la leggendaria Taranta, una specie che nel corso dei secoli ha identificato diverse tipologie di animali velenosi come ragni, scorpioni, serpenti, contribuendo ad alimentare la confusione intorno al fenomeno.

Il libro si manifesta inoltre come una critica aperta nei confronti delle decine di studiosi che si sono avventurati nei meandri di questo mondo mistico,  spacciando per vere e accreditate teorie “razionali” senza neppur aver un contatto diretto con i pazienti affetti da tarantismo, con la pretesa di poter spiegare un fenomeno senza nemmeno osservarlo e a decine di centinaia di chilometri di distanza.  I salentini credono nel tarantismo proprio perché lo hanno vissuto tutti i giorni nelle loro case, nei movimenti sfrenati di una parente o di una amica “innescati” dal suono ritmico degli strumenti musicali.

Non bisogna neppure dar troppo credito a quegli autori che senza allontanarsi di un pollice dalla loro residenza osano esprimere pareri su cose lontane e discettare delle caratteristiche di luoghi che non hanno mai visitato tanto da provare a distruggere e presentare come falsi fenomeni che sa sempre sono riconosciuti veri e tipici soltanto di quel posto. Continua il Caputi.

La saliva del ragno mescolata ai dardi del veleno, una volta entrati in circolo in seguito ad un morso, procurano uno squilibro all’interno dei vasi sanguigni del malcapitato, tale da indurre uno stato di letargia. Le vibrazioni indotte dalla musica influiscono sul movimento dei fluidi corporei il cui normale flusso è ostacolato dalla presenza di questi dardi. Il contrasto provoca convulsioni e contrazioni muscolari, il paziente si agita, sembra che danzi, e la sua apparente voglia di ballare si placa soltanto quando tutti i dardi sono stati espulsi e il normale flusso degli umori ristabilito completamente. E’ questa secondo Caputi  la  spiegazione scientifica alla cura musicale del tarantismo.

Come non credere a testimonianze dirette che Caputi ha scrupolosamente riportato  in 22 schede. 22 persone che avevano nomi e cognomi prima di essere bollati con un marchio a fuoco in cui è ben leggibile la scritta Tarantato. Don Nicola Perrone, un sacerdote di Campi di 29 anni al quale Caputi cercò di sommistrare alcune cure per guarirlo dal suo stato di inappetenza, pallore, occlusione degli intestini febbriciattole intermittenti, acidità di stomaco e gonfiore degli ipocondri. Nessuna delle cure sembrava avere effetto fino quando il suono di una musica animarono il corpo stanco e morente del sacerdote che, sottoposto a esorcismo musicale, migliorò il suo stato di salute sotto lo guardo vigile e meravigliato dello stesso medico. E come non citare anche il caso di Francesca Gennaccari, una bimba di soli 7 mesi morsa  al ventre da un falangio sotto gli occhi della madre. La bimba divenne paonazza, cominciò a piangere e a contorcersi dal dolore mentre il viso le si riempiva di macchie nere, fino a quando il suono della chitarra di un musicista, chiamato dal medico Orazio Gentile, non fece il miracolo. La bimba si mise seduta con le sue sole forze, smise di piangere e cominciò a muovere ritmicamente braccia e testa e a canticchiare con dei teneri vagiti la melodia che le aveva reso la lucidità. Dopo poco la bimba esausta cadde in un sonno leggero. Guarì.

Un uomo di chiesa dunque, la stessa chiesa che aveva relegato nel ‘700 il fenomeno del tarantismo in una vecchia  cappella di Galatina sotto l’egida di San Paolo per cercare di debellare un “movimento”, di chiaro stampo pagano, che induceva le donne a comportamenti indecorosi e disdicevoli. Ed un bambina, innocente creatura, improbabile vittima di quella forma di isteria collettiva nella quale si è poi tradotto il tarantismo. Potrebbero essere due validi testimoni del messaggio di Caputi? Il Tarantismo è veritiero, crediamoci.

Marco Piccinni

BIBLIOGRAFIA:

Nicola Caputi, De Tarantulae Anatome et Morsu (Anatomia e morso della tarantola) , 1741. Ripubblicato in edizione anastatica dalla casa Editrice Edizioni dell’Iride nell’Ottobre del 2001.

Ernesto De Martino, La Terra del Rimorso, Edizioni “Il Saggiatore” (2009)


4 commenti su “Nicola Caputi contro la medicina ufficiale, pubblica De Tarantulae Anatome Et Morsu

  1. antonio ha detto:

    distinguo: la pietra riportata in foto è, secondo la tradizione, quella sulla quale sedette s. Pietro, passando da Galatina… e non s. Paolo.

  2. Rosaria ha detto:

    Salve,complimenti per l’articolo e perche uomini illustri del nostro paese e salento non siano dimenticati.

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