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Liborio e Giuseppe Romano, la nascita dello stato italiano e la difesa del Mezzogiorno

“Ringraziamo… augurandoci di potere, nel prossimo futuro, intervenire con altri documentati lavori, sull’illustre e prestigioso conterraneo”. Così concludeva la sua Introduzione al volume Il personaggio Liborio Romano Francesco Accogli nel 1996, ed oggi, a poco più di vent’anni da quel necessario, oltre che tempestivo, contributo, ecco mantenuta la sua promessa. Egli scriveva – più esattamente – di un “primo volume” limitato alla biografia (con la doverosa messa a punto sull’esatta data di nascita) all’epistolario e ad un cospicuo corredo di documenti, lasciando il lettore in attesa di un seguito che ora giunge, ancora più opportuno dell’altro, in un momento cruciale degli studi sul ministro di Patù. Basta infatti dare un’occhiata alla bibliografia di settore, per accorgersi subito di come dagli scritti pionieristici di inizio ‘900 (praticamente fino al fondamentale Saggio storico di Guido Ghezzi datato 1936) attraverso una graduale “riscoperta” degli ultimi decenni del secolo, si passi direttamente alla nuova stagione di questo terzo millennio, in cui il dibattito è stato riaperto e gli studi, orientati a ben più scientifica e impegnativa dimensione, vanno disponendosi, direi, in ordine logico ed ogni volta con sostanzioso incremento, nello scacchiere risorgimentale della nostra storia. Passato, in quasi totale silenzio, il 150° della morte, siamo ora al momento della “svolta”, annunciato dal fortunato ritrovamento di un singolare profilo inedito firmato da Sigismondo Castromediano e rappresentato da questo secondo ben più ponderoso contributo storiografico.

Francesco Accogli, che ne è l’autore, serio e collaudato, ha condensato nelle circa 500 pagine che seguono, quelli che sono in realtà due libri, alla maniera degli antichi, uno per Liborio Romano, uno per suo fratello Giuseppe, presentandoli insieme per motivi di praticità: frutto di ricerche difficili e laboriose, ricche di documenti e di scritti originali, cui ha dato una successione cronologica ferrea ed indispensabile all’economia dell’opera. Ed ha in più affidato, tesi che mi sento di condividere pienamente ed apprezzare particolarmente, l’interpretazione del personaggio Liborio, e si potrebbe intendere sia da un punto di vista politico, sia da un punto di vista teatrale, al fratello Giuseppe, come è detto immediatamente nel titolo e come è ribadito continuamente nell’esposizione dei fatti.

É stato già detto, ma giova ripeterlo, in una illuminata pagina, da Ruggero Moscati, che non si tratta di giudicare per emettere una sentenza contro o a favore, bensì di comprendere: “Ma uno studioso, più che prendere posizione, deve studiarsi di comprendere e, per giungere alla comprensione, deve sentire presenti, ‘contemporanei’ a sé, gli avvenimenti e le figure cui si accosta per coglierne il segreto. E alla comprensione la nostra generazione ha ormai più facile la via”. Il modo migliore per farlo, questa la proposta di Accogli, è recuperare integralmente e dettagliatamente la figura di Giuseppe, che si pone in palese continuità con l’operato di Liborio: non si può comprendere l’uno insomma senza avere innanzi a sé, tutto intero, l’altro. Parte da molto lontano l’autore, dai patri scrittori della tradizione locale, da Tasselli a Marciano da Arditi a De Giorgi, per fornire notizie sul Salento e sul paese natale, Patù, e i suoi dintorni, indugia sulla storia della famiglia Romano con meticolosità cancelleresca, e punta al nocciolo, alle origini della questione meridionale, alla difesa della identità del Mezzogiorno, che fu per Liborio una prova durissima, per Giuseppe una altrettanto dura missione.

Scrivevo, nella mia Prefazione del ’96 – è infatti la seconda volta che l’amico e collega Accogli mi invita a presentarlo – di “dossier” e di prima parte di una trilogia: devo in qualche modo ripetermi, ma in più vorrei aggiungere che questa raccolta di documenti veramente straordinaria (e l’aggettivo, di cui frequentemente si abusa, riacquista qui il suo reale significato) non solo rappresenta una novità che definirei necessaria – mi riferisco in modo particolare al corpus degli Atti Parlamentari – ma si connota come una specie di “grido di dolore” – mi si passi l’ardito e forse irrispettoso accostamento risorgimentale – sui problemi, sempre molto gravi, del sud. Purtroppo è facile, rileggendo alcune pagine del volume che ripropongono quegli interventi, pensare alle vicende della nostra prima e seconda repubblica, perché se ne possono osservare le lontane scaturigini, e rivedere, come in filigrana, pregi e difetti dei politici “made in Italy”: testi come la lettera a Cavour, divenuti inutilmente famosi, o altre lucide ricostruzioni che danno l’impressione di ascoltare la viva voce dei due salentini del Capo di Leuca, commuovono e risultano di un’attualità davvero sconvolgente. Ma il messaggio, come tutti sappiamo, era destinato a rimanere inascoltato.
Aveva scritto Pier Fausto Palumbo in Studi Salentini del ’63: “Gli scritti politici del Romano andrebbero riediti: e si dovrebbe aprirne la raccolta con una sola delle sue tante allegazioni giuridiche, la ‘memoria’ sulla questione degli zolfi del 1820…proseguirla con la relazione del malgoverno del Cito in Terra d’Otranto; ma il nerbo non potrà che esserne costituito dalle Memorie…e dai documenti (come l’esauriente ed acuta lettera al Cavour sulla realtà delle condizioni del Mezzogiorno, le pagine certo migliori che ebbe mai a scrivere) da lui redatti…E avremo allora quel che resta, a un secolo di distanza, del più discusso uomo politico dell’800 meridionale”.

E Raffaele Colapietra in una partecipata recensione al libro di Accogli datata marzo 1996 aveva aggiunto: “Mi permetterei di consigliare agli amici salentini di condurre in parallelo a questa ricerca sul Romano quella sul fratello Giuseppe, che per tanti anni continuò a recare alla Camera la voce di un liberalismo quarantottesco con tutta probabilità elaborato a fianco del fratello, e circa il quale si amerebbe conoscere molto di più”. Si può dire che questi preziosi suggerimenti abbia fatti propri l’autore affrontando il suo elaborato progetto di ricerca. Prima di tutto superamento dei tanti luoghi comuni accumulati su don Liborio, fra i quali l’epigrafe di Bovio (di cui vi sono due versioni con alcune varianti), i velenosi epigrammi di D’Urso, la definizione cavouriana di “miglior testa del Regno”, l’aneddoto borbonico dell’attento al collo (la cui ombra si spinge fino al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa).

Quindi dettagliata analisi dei dati biografici disponibili e del comportamento (mi rifaccio ancora a Moscati: “Vi sono figure destinate ad accompagnare le grandi svolte della storia…uomini che badano alle cose più che all’apparenza e che, servitori dello Stato, si sacrificano, senza preoccuparsi se il loro gesto – necessario – possa offuscare o meno la loro figura politico-morale”). In aggiunta l’intera attività parlamentare, esigua, come è noto, per Liborio, corposa, in virtù della durata ultraventennale, per Giuseppe: e tutto questo senza trascurare l’esercizio della professione, qualitativamente di livello alto e sorprendente non solo per i collegamenti che ora potranno farsi disponendo dell’elenco delle allegazioni (una curiosità, la causa contro Degas, famiglia cui appartenne il grande pittore Edgar, che soggiornò a Napoli nel 1854) ma per le sollecitazioni allo studio della progressiva affermazione, anche sociale, dei fratelli avvocati, fino al momento dell’unità. Si tratta infatti di una delle radici più vitali fra quelle che ne compongono la personalità, tramandata in famiglia per più generazioni, aderente ad una tradizione di spiccata matrice regnicola e napoletana.

In conclusione, per addentrarsi nello studio della difficile fase di transizione dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, che vide protagonisti Garibaldi Cavour e Vittorio Emanuele, supportati dall’azione efficacissima di Liborio Romano, si dovrà fare ricorso da oggi in avanti anche a questo volume di Francesco Accogli, ponderoso non solo nell’aspetto esteriore; e se si vorrà indagare sulla “nascita dello Stato italiano” prendendo in considerazione la precoce azione dei fratelli Romano in “difesa del Mezzogiorno” (come è puntigliosamente precisato nel titolo scelto dall’autore) non si potranno ignorare le pagine che seguono, scaturite da uno studio paziente ed appassionato durato molti anni.

Molto acutamente fu Francesco Mastriani, il romanziere per eccellenza della Napoli romantica, che piaceva anche a Matilde Serao, a far centro su Liborio Romano, da lui elogiato come “tratto d’unione tra l’antico e il nuovo”: l’antico e il nuovo che ritroviamo in un bellissimo libro di Gino Doria (Mondo vecchio e mondo nuovo con riferimento all’Europa e all’America) lo stesso Antico e il Nuovo di un giornale napoletano del fatidico ’48 (altra tappa fondamentale del processo unitario). Mastriani, che studio da anni, lo chiama “l’uomo dei tempi, l’uomo della provvidenza, eroe di patriottismo e di abnegazione inimitabile” e si spinge fino a definirlo colui che “per tre mesi era stato, per così dire, il vero re di Napoli”. Poche parole che fanno giustizia di un lungo immeritato oblio. E poiché ho fatto ricorso ad un romanziere, in limine, mi sia consentito di richiamarne un altro, di parte borbonica, e per questo non apprezzato dalla critica e bollato di revisionismo, ma a mio modesto parere incisivo al pari di un Tomasi di Lampedusa. Voglio dire di Carlo Alianello, che nel suo Alfiere afferma del Nostro, esplicitamente, “che grande uomo!” ed inserisce in altro luogo del romanzo questo dialogo fra il protagonista ed il padre, barone e “commendatore dell’ordine di S.Giorgio”: “Senti a me, Pino, senti a papà. Anche tu dici Italia e Italiano come quelli di là, quelli dell’altra parte. Si comincia così…perchè Italia è una parola bella, una cosa grande. Ma pericolosa. Domani forse no, ma oggi sì. Perchè oggi vuol dire ribellione, vuol dire indisciplina…Non vorrei che tu ti credessi…che il progresso non c’è e l’uomo sta immobile. Tu adesso rimani qua con questa impressione: papà è un retrogrado. Nossignore: il progresso c’è. Io ci credo. E che cristiano sarei se non ci credessi? Solo che d’una cosa sono sicuro: che il progresso non ci viene da fuori. Da dentro ha da venire…l’uomo è una bestia perfettibile con istinti ferini, ma con una coscienza che se lo lavora e tende a portarlo in alto. La tua coscienza però tu non la trovi sul “Giornale Ufficiale delle Due Sicilie” e nemmeno sulla “Gazzetta Piemontese”…in corpo ce l’hai e con lei ti devi mettere d’accordo se vuoi andare avanti o no…Hai capito? E tu il progresso vuoi? Sissignore: anche io. Sii onesto se l’onestà ti mancava, e questo è certamente un bel progredire. E se già eri un galantuomo, cerca di diventare migliore”. Sarà il caso di cercarlo qui il vero Liborio Romano, nell’intimo conflitto tra due anime, nell’incerto discrimine tra vecchio e nuovo, come aveva puntualizzato Mastriani? E le ragioni della coscienza possono essere invocate, nel generale travaglio della generazione che fu protagonista dell’unità? A cercare la risposta, basandoci su pilastri ben più solidi, un apparato documentario, come già accennato, di impressionante impatto, ci aiuta dunque, oggi, il lavoro di Francesco Accogli.

É finalmente venuto il momento anche di Liborio Romano e la pubblicazione di altri importanti libri su alcuni punti nodali del nostro Risorgimento, mi riferisco per esempio a quello, recentissimo ed assai fortunato, di Scoca sul Brigantaggio nel dibattito parlamentare (1861-1865), non sarà una pura e semplice coincidenza, ma una spia del particolare fervore che caratterizza la “svolta” cui prima accennavo. Siamo insomma di fronte a una preziosa occasione da non perdere, non solo per la storia locale, sarebbe troppo riduttivo, quanto e soprattutto per la totale riabilitazione dell’ “illustre e prestigioso conterraneo”: egli sta a cuore particolarmente ad Accogli, sta a cuore a noi salentini, ma dovrebbe stare a cuore, soprattutto, a tutti gli italiani.

Dalla prefazione di Alessandro Laporta, Società Storica di Terra d’Otranto – Lecce.

Il volume sarà presentato martedì 17 luglio 2018, alle ore 20:30 presso l’atrio di Palazzo Romano a Patù.

 


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