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Leuca e “La Dolce vita”, cose dell’altro secolo

Tesi e lucidi, i pettorali di Yul Brinner nei panni del Faraone nei “Dieci Comandamenti” facevano sospirare le turiste. Come l’aria da macho di Anthony Quinn ne “I cannoni di Navarone”. Quando in “Via col vento” Vivien Leigh/Rossella ‘O Hara cinguetta: “Cosa sarà di me?” e un cinico Clark Gable/Rhett Butler ghigna: “Francamente, me ne infischio!”, le lacrime brillavano nella sera umida di sale col mare luccicante come smeraldi che accanto mormorava dolcemente aprendo le porte al futuro: “Domani è un altro giorno…”.

Ma all’arena “Del Sole” c’erano anche film con Amedeo Nazzari e Totò e i giovanissimi Vittorio Gassman (“Il mattatore”), Alberto Sordi (“I due nemici”, con David Niven), Marlon Brando, Alain Delon, Jean Paul Belmondo, la Loren, la Lollo, la Mangano, etc. “Spesso pure storie di mare…”, ricorda lo scrittore Vittorio Buccarello (1945) che da ragazzo s’arrampicava sul muretto per guardare: “Non sempre c’erano le poche lire del biglietto”.

L’Italia usciva faticosamente dalla guerra, la ricostruzione a Sud stentava più che altrove, la terra era sempre nelle mani degli agrari, le famiglie numerose: emigrare era la sola via possibile e dissanguava le piccole comunità dove restavano vecchi e bambini.

Leuca in b/n nell’altro secolo muoveva i primi passi nel turismo col suo atout aristocratico, fra popolo ed èlite e un giovane imprenditore aveva investito i risparmi “coloniali” aprendo il primo cinema-arena, che aveva chiamato “Del Sole” (il cognome della madre), sul lungomare delle sontuose ville della nobiltà, che facevano status (la sera alle “Terrazze” giocava a chemin-de-fer in attesa di riposizionarsi nel business del nuovo mondo), e che pochi decenni prima avevano l’entrata principale su via Tommaso Fuortes e la parte posteriore, con le stalle e i locali della servitù, finiva direttamente sulle scogliere con le mitiche “bagnalore” scolpite nella scogliera e i casini col mare che entrava da un’apertura bassa, dove prendevano il bagno le nobildonne paludate in casti costumi da epoca vittoriana. Il sentiero che costeggiava la scogliera fu allargato negli anni Venti, quando a Leuca c’era la regata velica.

“Non fu un grande investimento: bastarono quattro muretti, un palchetto per il proiettore e un lenzuolo…”, osserva Buccarello, che poi emigrò in Svizzera e lavorò nell’edilizia.

Antonio Massaro da Alessano (1910-2005) era figlio di un costruttore edile. Bell’uomo, animo avventuroso, temerario, era già un personaggio: era andato in Etiopia nel 1936 chiamato da uno zio al seguito delle truppe italiane. A Addis Abeba aveva fatto l’elettricista, poi, con i risparmi (45mila lire) rilevato un bar. Aveva cominciato a praticare la foto, soggetti: le giovani native dai corpi stupendi. Poi l’avventura coloniale era finita, era tornato e, anni Cinquanta, con i risparmi aveva aperto l’arena “DelSole”, prima dove ora c’è la farmacia (dietro le “Terrazze”), poi sul lungomare. Che dopo qualche anno aveva cambiato mano passando a Quintino D’Alessandris (che a sua volta aveva aperto a Castrignano l’“Aurora”) e nome in “Dea”.

Che aveva continuato con la programmazione, tanto che il prof Antonio Negro (74), Francesco Sergi (70) e Carlo Alberto Melcarne (65), che passava l’estate a Villa “La Meridiana” (la madre Caterina era a servizio dalla baronessa Sauli), ricordano di essere stati spettatori fino agli anni Sessanta. Poi al suo posto Attilio Caroli da Taurisano, mercante di fichi secchi e carrube, innalzò l’hotel “Terminal”.

E’ il periodo in cui Cinecittà è la Hollywood sul Tevere e il cinema conosce il suo boom: ovunque spuntano sale sempre piene: a Patù “l’Orchidea”, a Tricase “l’Aurora” e il “Moderno”, a Morciano l’”Orlando”, a Salve il “San Nicola” e “l’Arca”, a Presicce il “Villani”, ad Alessano l’”Arcobaleno”, a Gagliano il “Diana” che affacciava su piazza san Rocco e avrà vita breve.

Una leggenda metropolitana è fiorita sul suo the end: “Fallì perché la domenica la gente entrava alle 14 e usciva alle 22”, ricorda Augusto Biasco, contadino di San Dana. Oggi lì c’è una pizzeria.

Piglio imprenditoriale, pionieristico, Massaro ad Alessano aveva poi aperto con successo il primo studio fotografico della zona. La nuora, la prof. Barbara Aurelia Bello (ha sposato il figlio Paolo), sta ricostruendo in un libro la sua parabola professionale, artistica, esistenziale. Con materiale inedito preziosissimo.

Parallela alla “Dea”, il cinema-arena detto “dei Monaci”, nell’atrio del convento dei Francescani che affaccia sulla piazzetta Cristo Re e prende il nome dall’omonima parrocchia. Contenuti religiosi, soprattutto. Ma il mondo stava cambiando, c’era la “Dolce vita”, il rock indie, le minigonne inguinali, le 500 dall’apertura a vento. Tanto che dopo la fine del “Dea” l’imprenditore Cosimo Mosca ne mette su due in rapida successione: uno sempre sulla stessa piazza dove oggi c’è una galleria di negozi (è tuttora presente il maxischermo) e un altro all’uscita nw, lato destro risalendo per Castrignano.

Ma torniamo a Massaro. La sua storia coincide con la “Dolce vita” a Leukos. Negli anni Sessanta fotografò la principessa Soraya Esfandiari, moglie dello Scià di Persia Reza Pahlevi, che poi la ripudierà: ci sono foto che la ritraggono mentre passeggia sul lungomare, a quel tempo una striscia stretta. Passò le vacanze a villa Lopez y Rojo, dietro la Torre dell’Omomorto, accanto alla prima villa dei Fuortes, sul lungomare Cristoforo Colombo: data 1879, un pò dorica, un po’ araba, riconoscibile dalle imposte color celeste.

Nobile casata d’origine spagnola, ha un palazzo sulla piazza principale di Giuliano di Lecce (dedicata a San Giovanni Crisostomo), che sfocia su via Tommaso Fuortes (matematico, 1848-1927: la strada principale del paesino di 800 anime, fu anche sindaco). I Fuortes a Leuca hanno altre due ville, una accanto all’altra. La prima data 1880 e l’altra (sorta fra 1882 e 1890), nel 1945 ospitò gli ebrei del Camp 35 (oggi è sede della Pro-Loco) intitolata ieri a Gioacchino Fuortes, oggi ad Antonio Fuortes, entrambe (stile pompeiano) progettate dal fratello Giuseppe, ingegnere.

Un altro Fuortes, Federico, figlio di Tommaso, avvocato (1912-1970) e di Alda De Nitto (1924-2013), è stato ad del quotidiano romano “Paese Sera”.

Coltivarono vigne, uliveti e seminativi, specie nella zona fra Salve e il mare: “Fani-Città di Cassandra”. Nobili di censo e de facto, hanno lasciato bei ricordi nella memoria popolare: non si contano, nei “cunti” dei vecchi, gli episodi di mecenatismo, filantropismo e generosità di cui sono stati e sono protagonisti, ignoti ai più a causa della loro innata riservatezza.

La memoria conserva anche un passaggio, luglio 1959, di Pier Paolo Pasolini, scrittore, poeta, regista, che vi giunse in Fiat Millecento e scrisse: “Il demone del viaggio mi sospinge giù, verso la punta estrema […] Santa Maria di Leuca si stende lungo il mare con una fila di villini liberty, lussuosi, rosei e bianchi, incrociati d’ornamenti, circondati da giardinetti che sembrano appena abbandonati…”.

A Soraya Massaro dedicò un servizio fot0grafico venduto alle riviste di tutto il mondo. Colto, audace, con la nobiltà si sentiva a suo agio. Nel 1966 (l’Inghilterra vinse i mondiali battendo la Germania, Italia cacciata dal dentista nordcoreano Pak Doo-ik) mandò alla Regina Madre a Londra una foto di Leuca con un bigliettino: “Non potendo partecipare ai Suoi ricevimenti…”. Una giovanissima Regina Elisabetta rispose ringraziandolo affettuosamente: materiale che farà parte del libro in progress della prof Bello, che ha scovato persino il vecchio operatore al proiettore.

La “Dolce vita” illanguidisce anche a Leuca. Nel 1971 da Roma giunge la troupe di “Roma bene”, il regista Carlo Lizzani voleva girare le scene finali proprio a “Finibus Terrae”. Cast superbo: Nino Manfredi, Irene Papas, Virna Lisi, Gastone Moschin, Senta Berger, Umberto Orsini, Vittorio Caprioli, Philippe Leroy, Franco Fabrizi, Minnie Minoprio, Michelle Mercier. Ciak su uno yacht al largo di Punta Meliso.

Stardust Leuca, tempi mitici: Re, Regine, nobili e la “Dolce vita” fra le ville ottocentesche (il prof. di latino e greco Antonio Romano ne ha censite 60 in una pubblicazione divulgativa) e le celebri “bagnalore” scolpite nelle scogliere (dovrebbero dichiararle patrimonio dell’umanità), le spiaggette un po’ nascoste dalla sabbia finissima (una intitolata al direttore della banda di Gioia del Colle, Paolo Falcicchio da Alessano) e i club esclusivi, le serate danzanti nelle ville abbracciate fra la Punta Meliso e Punta Ristola. Della serie: “l’emozione non ha voce”. Quando la bellezza tolse il fiato anche alla sirena Leucasia.

Leuca, foto di Orazio Coclite

Francesco Greco


Un commento su “Leuca e “La Dolce vita”, cose dell’altro secolo

  1. vittorio buccarello ha detto:

    Stupenda recensione sulla bellissima Leuca, pari al tuo stile di un grande professionaista dell’informazione. Bravo carissimo Franceso.

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