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La Venere degli Alimini

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Un ritorno decisamente vintage dei canoni estetici scheletrici tendenti all’anoressia che per un certo periodo sembrava avessero abbandonato il défilé in favore del body positivity con forme muliebri ben in vista a incanalare l’intensa energia procreatrice della Madre Terra: nell’autunno del 2001 La venere degli Alimini fa il suo ingresso in passerella. 

Ritrovata fortuitamente nell’autunno del 2001 da Francesco Piccinno e Cristiano Donato Villani nei pressi di grotta Sacara, nell’area dei laghi Alimini, la Venere è una statuetta di arte preistorica di piccole dimensioni (5,4 x 1,6 x 0,7 cm rispettivamente per altezza, larghezza e profondità), ricavata da una scheggia ossea di colore giallastro con macchie rossastre, dovute probabilmente al terreno di giacitura.

Ha delle forme marcatamente stilizzate tanto da ipotizzare che si tratti della rappresentazione di un individuo maschile, anziché di uno femminile come potrebbe lasciar intendere il nome. Una testa triangolare con dei solchi orizzontali e paralleli a contrassegnare la linea degli occhi, la bocca e il collo (come le veneri di Parabita), dal quale si staccano nettamente le spalle che continuano con le braccia lungo i fianchi. Un corpo pressoché rettilineo e appiattito terminante a punta (veniva infisso nel terreno?) con un ulteriore solco all’altezza della vita. Sulla superficie posteriore della testa è presente una piccola frattura.

Un oggetto che fa sicuramente discutere, accusato anche di falso, se non fosse per una sincera veridicità ispirata dal contesto del ritrovamento. La zona dei laghi Alimini ha restituito in passato elaborati appartenenti ad un intervallo temporale molto ampio che va dalle ultime battute del Paleolitico fino al Neolitico. un’area la cui fisionomia più antica è fortemente connotata da culture legate a gruppi di cacciatori-raccoglitori in una fase che può aver visto una vera e propria transizione che dall’epigravettiano (20.000-10.000 BP) ci porta fino al mesolitico, in una fase ampiamente documentata dai ritrovamenti di manufatti, prodotti quasi “in serie”, essenziali, in grotta Marisa.

Il mesolitico è un periodo per certi versi ancora oscuro: tre millenni tersi di cambiamenti, nuovi modi di vedere e interpretare il mondo, le società si organizzano in strutture sempre più complesse e nuovi stili di vita alterano in maniera radicale la percezione delle cose.

La manifestazione artistica sembra prendere il sopravvento con realizzazioni di decorazioni geometriche dalle molteplici interpretazioni e significati su supporti mobili di vario tipo che, oltre a grotta Marisa, ha visto l’affermarsi di espressioni ancora più variegate anche in Grotta Romanelli (Castro), Grotta del Cavallo (Nardò) e grotta delle Veneri (Parabita).

L’economia, basata su caccia e raccolta, poteva contare su abbondanti risorse acquatiche e terrestri tali da non rappresentare un collo di bottiglia allo sviluppo demografico di gruppi distinti che condividevano lo stesso piccolo territorio, immerso in una natura non scevra da stimoli cognitivi. Questi hanno impregnato l’uomo di sensibilità e cultualità influenzandone spiritualità e ritualità, accanto a necessità più prettamente attinenti l’organizzazione politica del territorio o la gestione di tradizioni funebri.

La Venere degli Alimini potrebbe essere espressione di questo mondo, legata all’essenzialità formale e stilistica di Grotta Marisa, erede probabile di tradizioni più antiche.

Disegno della venere degli Alimini [Ingravallo 2003]

Marco Piccinni

BIBLIOGRAFIA:

Ingravallo E., 2003 – “Su una statuina di Alimini (Otranto)” – in Origini – XXV – Bonsignori Editore – pp. 182-192;

Scheda del Reperto, Presitoria in Italia: https://www.preistoriainitalia.it/scheda/statuina-di-alimini-le/

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