Polifemo scruta con il suo enorme occhio ormai vuoto e cieco il cielo di Ozan. Ricorda ogni giorno l’affronto subito da quel tizio, “Nessuno” si chiamava. Colui che scatenò l’ira degli dei inimicandosi la “buona sorte” e firmando la peggiore delle sceneggiature per il suo viaggio di ritorno a Itaca, dopo le battute finali della guerra di Troia.
Il ciclope se ne stà li, silente. Non ha più la voglia e l’età di fare lo spaccone. Solo le acque, infinite e incorporee protuberanze degli arti del padre, Nettuno, gli fanno ancora compagnia e gli concedono di tanto in tanto una carezza, un gesto d’affetto al quale nemmeno le divinità e gli esseri superiori possono rinunciare.
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