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Il museo Archeologico di Vaste

E’ il palazzo baronale di Vaste la sede designata per ospitare il museo archeologico dell’antica città messapica che raccoglie, dopo anni di studi e di scavi, solo una piccolissima percentuale, forse appena il 15%, dell’enorme mole di reperti rinvenuti all’interno di quello che era il circuito del fortilizio cittadino.

Trafugati, rubati, in giro per i musei di tutto il mondo o accatastati nei relativi depositi in attesa di catalogazione ed esposizione. Sono numerosi i motivi che hanno portato buona parte del patrimonio archeologico lontano dal luogo di ritrovamento e che oggi vedono almeno in parte il riconoscimento che spetta loro di diritto nelle sale espositive del rinnovato museo di Piazza Dante, sopra le  fondamenta di un tempio il cui culto è assimilabile a quello della dea Demetra.

Palazzo baronale di Vaste

Palazzo baronale di Vaste

Una gigantografia dell’antica cinta muraria, un biberon di oltre duemila anni fa, un elmo in terracotta, vasi prodotti da maestranze locali e maestose trozzelle saranno l’antipasto di un piccolo viaggio tra gli ambienti del palazzo dislocati su due piani. Un ingresso in legno riproduce in maniera stilizzata l’ipogeo delle cariatidi introducendo due uomini importanti, un cavaliere ed un atleta. Diversi nella vita, uguali nella morte che li ha colti in epoche differenti (430°a.C. ca e IV sec. a.C. rispettivamente) gli scheletri di questi due uomini riposano silenti nell’eco della gloria che probabilmente li avrà accompagnati in vita. Il primo porta con sè un vaso di origine etrusca, il secondo il corredo che ha utilizzato decine e decine di volte nelle sue performance.

Segue una raccolta di cippi votivi, realizzati in pietra leccese, contestualizzati al loro ritrovamento in fondo Melliche. Un modo semplice e ancora privo di contaminazioni elleniche che vede in un monolite la presenza del divino, il mezzo tramite il quale congiungere il terreno all’ultraterreno.

E ancora scene di sacrifici propiziatori alla partenza dei guerrieri; diorami che raccontano riti funebri; ricostruzioni multimediali in tre dimensioni che canalizzano lo sguardo nella necropoli paleocristiana di fondo Giuliano e al culto intorno alla chiesa del Martyrion, riedificata a più riprese;  una miscellanea di ritrovamenti attinenti oggetti utilizzati nella quotidianità dell’età del Ferro, del Bronzo, del Rame, sotto la dominazione romana e del periodo medioevale.

Un tesoretto composto da 150 monete d’argento fresche di zecca del III sec. a.C. che parlano il greco, rinvenuto nel 1989 nel fondo S.Antonio, trova la sua giusta collocazione in una teca che ne esalta di ognuna lucentezza e incisioni. Nascosto dal suo legittimo proprietario messo alle strette da una situazione avversa, memore di recuperarlo non appena le circostanze sarebbero state più favorevoli. Di un secolo più tardo invece il gioco delle tessere, il più consistente mai rinvenuto in tutto il mondo romano, con numeri, aggettivi e messaggi di buona sorte o spergiuro caratterizzanti questo antichissimo “gioco da tavola”.

Un allestimento che ripercorre la vita così come è stata scandita nel territorio di Vaste nelle varie età. Un arrangiamento cronologico che abbraccia 3000 anni di storie di uomini e di donne che hanno amato, sofferto, gioito, venerato, ucciso, giocato, cucinato, dormito, mangiato. Azioni comuni ma che assumono connotazioni differenti a seconda di un numero, quello di un anno, di un secolo, di un millennio. Tutto torna a suo ordine, tutto si ricompone come le tessere di un mosaico disfatto che gradualmente riacquisisce il suo disegno. Siamo anche noi parte di quel mosaico.

Marco Piccinni

 


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