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Museo Faggiano, edificio storico archeologico

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Il centro storico di Lecce è una fonte inestimabile di storia e testimoninze pervenuteci dal passato sfidando secoli di abbandono, di rifacimenti, di incursioni piratesche, di dominazioni. Ormai risulta impossissibile eseguire anche semplici lavori di rifacimento del basolato delle strade costeggiate da chiese barocche, senza riportare alla luce antiche terme romane, come nei pressi della chiesa di Santa Chiara, complessi oleari ipogei del I secolo a.C., sotto la piazzetta Sigismondo Castromediano, o veri e propri complessi messapici come quelli presenti nell’Edificio Storico Archeologico Faggiano, sito in via Ascanio Grandi al civico 56.

Quello che ora si può ammirare, tra stanze e cunicoli a vari livelli di profondità, fino ad una decina di anni fa era del tutto sconosciuto, nascosto nella mura di quello che si riteva essere esclusivamente il convento femminile di Santa Maria delle Curti, chiuso intorno al XVI-XVII secolo, di cui rimangono le tracce delle cellette delle suore nei muri del primo piano dell’abitazione.

Cominciati gli scavi quasi per un assurdo scherzo del destino, il museo Faggiano è stato in un certo senso vittima delle burocrazia e delle istituzioni responsabili in materia, prima che gli venisse in qualche modo riconosciuto il valore e lo sforzo profuso per riportare alla luce più di 2000 anni di storia salentina. I lavori di scavo sono stati infatti finanziati dalla stessa famiglia Faggiano sotto la supervisione della Soprintendenza dei beni archeologici di Taranto e sotto la guida degli architetti Franco e Maria Antonietta De Paolis.

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Parabita inaugura il parco archeologico

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Articolo pubblicato su “Il Tacco d’Italia“, il 25 Settembre 2009.

La città di Parabita arricchisce la sua offerta culturale con l’apertura al pubblico del parco archeologico.
Insediamento rupestre già abitato dall’uomo di Neanderthal e “culla” delle famosissime Veneri di Parabita, statuine paleolitiche in osso risalenti ad un periodo compreso tra 12.000 e 14.000 anni fa, il parco di Parabita è un vero e proprio tesoro del territorio salentino, finalmente fruibile da tutti attraverso un percorso lungo circa due chilometri.
Testimonianze della civiltà rupestre, resti fossili della fauna preistorica, specie rare della flora mediterranea, architettura rurale tradizionale, siti di estrazione della pietra, il villaggio dell’età del bronzo, la grotta delle Veneri. Questo ciò che offre questo meraviglioso sito archeologico.

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Santa Maria del Tempio, una chiesa Templare nel cuore di Tricase

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Abbiamo ripreso più volte, nel corso degli articoli pubblicati su Salogentis, il movimento di pellegrinaggio cristiano che si svolgeva nel tardo medioevo nel Salento. La meta da raggiungere era il santuario della Madonna di Leuca per poter espiare, tramite le fatiche del lungo viaggio, i propri peccati e purificare l’anima del Cristiano.

Tracce evidenti di questo passato, sono rimaste numerose nel complesso di Leuca Piccola a Barbarano, ma spesso ci si dimentica che anche molti altri paesi del Salento sono stati interessati da questo fenomeno.

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Ricchie e Maccarruni, la pasta fatta in casa

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I contadini salentini, sapevano fare davvero di tutto, per questo motivo, di tanto in tanto, potevano concederesi a basta costo il lusso che invece nobili o famiglie benestanti pagavano a caro prezzo: la pasta fatta in casa.

La disponibilità di grano era abbastanza buona, considerando il fatto che molti dei terreni dell’entroterra erano coltivati a frumento o ortaggi, lasciando nella maggiorparte dei casi gli uliveti nelle regioni prossime alla costa.

Il grano, una volta raccolto, veniva pulito nelle aie, per poi portarlo al mulino dove veniva macinato per ricavarne la farina.

Questa, insieme ad un pò d’acqua, costituisce la materia prima per la produzione della pasta fatta in casa. Ovviamente non si preparava tutti i giorni, ma solo in occasioni speciali come la domenica o i giorni di festa. Anche le donne dovevano lavorare i campi e non c’era quindi molto tempo per la prepazione.

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“Ciucci” e “Uttari”

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Ciucci e Uttari, due parole dialettali che significano rispettivamente “asino” e “costruttori di botti”. Con questi due termini si è soliti chiamare gli abitanti di Gallipoli, infaticabili lavoratori che nel corso dei secoli passati hanno portato vanto e lustro al regno delle due sicilie prima e al regno d’Italia poi.

Il termine asino non viene solo utilizzato per indicare gente ignorante o testarda ma è anche utilizzato come simbolo di forza e costanza nel lavoro, tanto che la figura di questo fedele compagno dei lavori nei campi è entrato anche a far parte di numerosi modi di dire come ad esempio: “lavorare come un mulo”.

L’asino ha accompagnato il contadino salentino per secoli e secoli nei più svariati lavori e non è quindi un caso che la grande volontà dei gallipolini sia stata identificata con questo animale.

Ma da cosa deriva questa convinzione? Perchè i gallipolini sono identificati come degli stacanovisti?

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Le “fiche secche”, il dolce del salento

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Le fiche secche, o meglio, i fichi secchi, sono un prodotto molto diffuso e consumato nel basso salento, anche se sono sempre di meno le persone che le preparano nonostante la procedura sia davvero molto semplice. Oggi sono principalemnte ritenute un “dolce alternativo” alle normali torte e crostate, ma un tempo rappresentavano una riserva alimentare di inestimabile valore.

Il fico è una pianta molto diffusa e cresce anche con poche cure. Le campagne salentine ne erano piene e in buona parte lo sono tutt’ora. I frutti venivano raccolti con abbondanza e spesso era quasi impossibile consumarli tutti prima che andassero a male. Così un giorno a qualcuno venne la bella idea di essiccarli in modo da poterli consumare anche in inverno come provviste.

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I Fari e i Porti di Terra D’Otranto

Tempo di lettura: 17 minutiAutori: Mauro Ciardo, Ilaria Montillo, Anna Maria Stagira (Aipai, sezione regionale della Puglia).

La ricerca sul tema dei porti e dei fari di Terra d’Otranto è stata condotta per il Progetto InterAdria, nell’ambito del Programma Interreg III, A Transfrontaliero Adriatico (cooperazione fra le Regioni Adriatiche italiane e i Paesi Adriatici Orientali), AT6 Archeologia Industriale marittima dell’Adriatico. Realizzata dagli autori per il C.N.R. /I.B.A.M. (Consiglio Nazionale delle Ricerche / Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali di Lecce) la ricerca comprende il porto di Brindisi, di San Cataldo (LE), Otranto (LE) e Gallipoli (LE); i fari marittimi di Brindisi (Pedagne, Punta Riso, Forte a mare, Punta Penne), il faro di Torre Canne (BR), di Capo San Vito (Taranto), di San Cataldo (LE), di Otranto (LE), di Santa Maria di Leuca (LE) e di Gallipoli (LE).

Da secoli i porti e i fari sono strutture sostanziali al servizio della navigazione. I loro luoghi corrispondono a collocazioni geografiche strategiche, con determinate caratteristiche geologiche e naturali. Affascinante è lo studio del legame profondo tra essi e la storia, la vita, la crescita e l’identità di un luogo. Questa indagine sull’archeologia industriale marittima dell’Adriatico è nata nell’ambito del progetto InterAdria, che coinvolge le regioni adriatiche italiane tra cui la Puglia. È qui che si colloca la Terra d’Otranto, antica denominazione della penisola comprendente le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Questo territorio conserva fari e porti per la maggior parte attivi di cui andremo a descrivere.

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