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I Fari e i Porti di Terra D’Otranto

Autori: Mauro Ciardo, Ilaria Montillo, Anna Maria Stagira (Aipai, sezione regionale della Puglia).

La ricerca sul tema dei porti e dei fari di Terra d’Otranto è stata condotta per il Progetto InterAdria, nell’ambito del Programma Interreg III, A Transfrontaliero Adriatico (cooperazione fra le Regioni Adriatiche italiane e i Paesi Adriatici Orientali), AT6 Archeologia Industriale marittima dell’Adriatico. Realizzata dagli autori per il C.N.R. /I.B.A.M. (Consiglio Nazionale delle Ricerche / Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali di Lecce) la ricerca comprende il porto di Brindisi, di San Cataldo (LE), Otranto (LE) e Gallipoli (LE); i fari marittimi di Brindisi (Pedagne, Punta Riso, Forte a mare, Punta Penne), il faro di Torre Canne (BR), di Capo San Vito (Taranto), di San Cataldo (LE), di Otranto (LE), di Santa Maria di Leuca (LE) e di Gallipoli (LE).

Da secoli i porti e i fari sono strutture sostanziali al servizio della navigazione. I loro luoghi corrispondono a collocazioni geografiche strategiche, con determinate caratteristiche geologiche e naturali. Affascinante è lo studio del legame profondo tra essi e la storia, la vita, la crescita e l’identità di un luogo. Questa indagine sull’archeologia industriale marittima dell’Adriatico è nata nell’ambito del progetto InterAdria, che coinvolge le regioni adriatiche italiane tra cui la Puglia. È qui che si colloca la Terra d’Otranto, antica denominazione della penisola comprendente le province di Brindisi, Lecce e Taranto. Questo territorio conserva fari e porti per la maggior parte attivi di cui andremo a descrivere.

Oggi il porto di Brindisi si estende per quasi 5 milioni di mq ed è costituito da 3 aree, il porto interno, il porto medio e il porto esterno. Le destinazioni d’uso sono molteplici: turistiche, approdo unità da diporto, militari, industriali (operazioni di allibo, scarico di prodotti per impianti industriali e combustibili), commerciali (sbarco imbarco merci), traffico passeggeri.

Il porto interno, naturale e “costituito da due seni riuniti in testa da un canale d’accesso”, noto sin dall’epoca romana per la sua funzione commerciale e militare, è dotato delle prime opere portuali moderne durante il regno di Ferdinando IV di Borbone. Su progetto dell’ing. Andrea Pigonati (15/8/1775) è realizzato il nuovo canale d’ingresso, che però sarà oggetto di lì a poco di nuovi interventi a causa del suo rapido interramento.

Il primo progetto organico al fine di estirpare le secche, costruire le banchine e i segnali luminosi per l’atterraggio è voluto da re Ferdinando II che, con rescritto del 10/11/1834 nomina una commissione per redigere il progetto, approvato dal Consiglio Ordinario di Stato il 27/7/1842. Risalgono a questi anni la creazione dello scalo franco (decreto 21/5/1845), la costruzione dei fari di Punta Penne, di Pedagne e dell’antico faro sul cavaliere di Forte a mare, oggi non più esistente, attivo dal 1844 e gestito dal Comune.

Il faro delle Pedagne (isolotto Traversa) è messo in funzione nel 1861 dal Genio Civile. L’edificio, costruito negli anni precedenti, è una torre “cilindrica bianca in muratura con lanterna poligonale, posta su basamento di forma circolare e alta circa 18 metri”1. Oggi fanale a lampi rossi, è all’epoca un faro di V ordine “con lenti piane verticali per i lampi”2. È il primo segnale che si incontra entrando nella rada esterna del porto, subito dopo il faro di Punta Penne. Ha luce bianca fissa ariata da lampi di 3′ in 3′, è alimentato a petrolio, ha beccucci di 2,9 cm di diametro e “un lucignolo”. Nel 1915 il faro diviene un fanale a intermittenza rossa.

Il faro di Punta Penne, attivato nel 1861, è invece a pochi chilometri a nord del porto ed è il faro maggiore di Brindisi (III ordine). La torre è in muratura, alta circa 33 m e la portata è di ben 17 miglia marine. La luce è bianca con lampi di 30” in 30”. Spento negli anni sessanta, oggi del faro resta solo il basamento.

Dopo aver soppresso lo scalo franco con decreto 6/7/1862, il governo stanzia £ 6.000.000 per il restauro e la bonifica del porto (legge 24/1/1864 n.1650); negli stessi anni il porto di Brindisi è dichiarato di II categoria, I classe (porto commerciale nazionale e internazionale).

Il progetto di sistemazione finanziato nel 1864 prevede l’escavazione del porto interno (avente ancora fondali poco profondi, soprattutto vicino all’ingresso), la bonifica di Ponte Piccolo e Ponte Grande lungo i due seni, la costruzione delle dighe di Bocche di Puglia, di Forte a mare e di costa Morena per chiudere parzialmente la rada esterna, la costruzione di un bacino di carenaggio all’estremità del seno di Levante e il banchinamento del porto interno. Alla fine degli anni sessanta i lavori ultimati sono le dighe di Bocche di Puglia e di Forte a mare, le banchine Centrale e Montenegro e il muro di sponda nord ovest del canale Pigonati; sono in costruzione le banchine di Levante e Sciabiche. Nei pressi di Ponte Grande (seno di Ponente) è dato in uso uno scalo di alaggio alla industria di oli Lupi. In zona Guacina (nell’avamporto) è la cava di pietra impiegata per i lavori. La realizzazione di queste opere portuali procede lentamente e si arresta nel 1870, per inadempienze da parte dell’impresa appaltatrice. I lavori riprendono solo nel 1873 con una nuova gara d’appalto e si protraggono per anni: la bonifica delle paludi di Fiume Piccolo e Ponte Piccolo sarà terminata negli anni ottanta; la bonifica di Ponte Grande e di Fiume Grande nel 1910; l’escavazione del porto continuerà fino ai primi venti anni del ‘900. Appena 10 anni dopo, le opere progettate nel 1864 divengono in parte inadeguate al traffico navale raggiunto dal porto. Infatti, grazie all’apertura del canale di Suez (1869) e all’arrivo della ferrovia in città (1865), Brindisi è scelta da molte compagnie di navigazione come scalo per sfruttare la sua posizione strategica rispetto alle rotte orientali.

Oltre che il Loyd AustroUngarico, il porto arriva a ospitare i piroscafi della Florio & Rubattino, della Navigazione generale italiana, della Società anonima di Navigazione ellenica ma soprattutto della Peninsular and Oriental, società concessionaria della prestigiosa Valigia delle Indie, servizio postale e trasporto passeggeri da Londra a Bombay (1870). Divengono perciò necessarie anche infrastrutture come i magazzini generali, i depositi di combustibile, la stazione marittima e nuovi segnali luminosi che rendano più agevole l’atterraggio notturno dei piroscafi a vapore. Anche le banchine costruite negli anni precedenti richiedono nuovi lavori di adeguamento per l’approdo dei piroscafi di notevole stazza impiegati dalla Peninsular and Oriental (la profondità del muro di sponda doveva essere proporzionale ad essa).

I primi interventi per la costruzione di infrastrutture hanno carattere di provvisorietà. Sul finire degli anni settanta, in attesa di costruire un deposito per le tonnellate di carbone impiegate dalle compagnie come combustibile, è dato loro in concessione un terreno presso la riva non banchinata detta Posillipo, lungo il versante ovest del canale. Degli stessi anni è il primo progetto per la costruzione dei magazzini generali, mai realizzato, mentre la prima stazione marittima (in realtà una modesta costruzione), viene eretta alle spalle della capitaneria di porto e degli uffici di sanità marittima verso il 1880, dopo l’arrivo della linea ferroviaria lungo la banchina Centrale.

Fig. 1: Far o di punta Riso (BR).

Fig. 1: Faro di punta Riso (BR).

Su insistente richiesta delle compagnie di navigazione, negli stessi anni il porto è dotato di segnalamenti luminosi più adeguati. Oltre ai 2 fanali e ai 2 fuochi d’ingresso lungo il canale Pigonati, negli anni ’90 dell’800 entra in funzione il fanale di VI ordine costruito sulla diga di Forte a mare e viene spento il faro posto sul cavaliere. Dimostrandosi però insufficiente per segnalare l’isola di Sant’Andrea, quasi contemporaneamente è costruito il faro di Punta Riso, oggi non più in uso. Il faro, di VI ordine, è attivato nel 1893 ed è a luce bianca a splendori, con un intervallo tra i lampi di 5′: dal 1931 diviene fanale a luce verde a lampi. La torretta, bianca e in seguito rivestita con tessere maiolicate bianche e nere, è alta circa 10 metri e ha una base rotonda realizzata con massi artificiali. Il faro era collegato all’Isola di Sant’Andrea mediante un ponte (non più esistente).

Fig. 2: A view of the city of Brindisi, in H. Swinburne, Travels in the Two Sicilies, 1783.

Fig. 2: A view of the city of Brindisi, in H. Swinburne, Travels in the Two Sicilies, 1783.

Le compagnie di navigazione lamentano spesso in questi anni come governo e comune non facciano abbastanza per rendere Brindisi adeguata al rango di scalo internazionale e in grado di accogliere migliaia di passeggeri. Le minacce di non fare più scalo nel porto sono continue. Effettivamente Brindisi in quegli anni è tra i maggiori porti italiani per traffico passeggeri. Nel 1895, ad esempio, ha una movimentazione (17.160 unità) superiore a quella di Bari e di poco inferiore a quella di Venezia; ma non riesce ancora ad essere un porto ben attrezzato. La conseguenza maggiore è, tra le polemiche per i mancati adeguamenti, la cessazione nel 1914 dello scalo della Peninsular and Oriental nel porto. Ma già il 14/4/1905, quando è ultimato il piano regolatore voluto dal decreto ministeriale del 26/1/1904 per i principali porti del regno, la commissione preposta scrive nella relazione che “la posizione geografica ha richiamato l’approdo regolare di alcune importanti linee di navigazione […]”; a parte questo “l’importanza dello scalo non è grande”. I finanziamenti statali e gli interventi previsti sono perciò contenuti. Frattanto, a partire dal 1909, il porto diviene base della Regia Marina Militare.

 

Parte del seno di Ponente passa in consegna ad essa dirottando perciò il traffico commerciale e passeggeri nel seno di Levante. I cambiamenti di destinazione sopravvenuti determinano il 6/11/1911 una variante al piano regolatore. In questi anni è la stessa Marina che si occupa dei lavori di sistemazione del porto: nel 1914 costruisce un idroscalo in zona Terra Guacina, nel porto medio, compie lavori di escavazione del porto per permettere l’approdo di navi di stazza maggiore e nel 1917 realizza la diga di Costa Morena (progettata sin dal 1864). Durante la guerra è costruita un’officina per la riparazione delle navi di stazza minore, che diviene negli anni successivi l’Arsenale e altre industrie meccaniche private sorgono come indotto lungo il porto.

Durante gli anni venti il Genio civile riprende la costruzione delle banchine del porto interno: tra il 1925 e il 1928 la banchina della Dogana, a partire dal 1923 il muro di sponda Carbonifera, negli stessi anni le banchine Posillipo e Santa Maria.

Il 12 novembre 1929 la Montecatini ha autorizzazione a costruire uno stabilimento per l’industria dei concimi chimici su un terreno del demanio marittimo a ridosso del seno di Levante.

Fig. 3: Faro di Forte a Mare (BR).

Fig. 3: Faro di Forte a Mare (BR).

Solo nel 1936 è avviata la progettazione e la costruzione lungo la banchina di Levante di una stazione marittima adeguata alle dimensioni del porto di Brindisi. Il progetto è a firma dell’ing. R. Manzo del Genio civile e dell’architetto G. Rapisardi. Terminata nel 1940, entra in funzione come terminal passeggeri solo nel 1953.

Del 1938 è il faro di Forte a mare, costruito sulla terrazza del castello di mare. Il faro, alloggiato su un traliccio in ferro con stanza di alloggiamento piramidale aveva una portata di circa 28 miglia marine. È stato spento nel 1984 a causa dell’inagibilità del Forte.

Un nuovo punto di svolta per il porto è la costituzione nel 1949 (decreto prefettizio n. 1607 del 20/12/1949) del Consorzio del porto di Brindisi, al fine di creare una zona industriale. Brindisi in questi anni è al terzo posto, dopo Genova e Napoli, per il traffico passeggeri (oltre 34.000 unità), mentre continua a non avere un traffico merci rilevante. Il progetto è quindi finalizzato ad attrarre industrie mettendo a disposizione le strutture portuarie. Con l. 4/11/1951 n.1295 il Consorzio ottiene l’istituzione del punto franco nella zona Sant’Apollinare – Ponte Piccolo e negli anni successivi si occuperà della realizzazione di opere portuali nelle aree medie e esterne, a supporto della zona industriale.

Il faro di Torre Canne è sito nella località termale omonima in provincia di Brindisi e segnala l’ingresso al piccolo porto della cittadina. La torre ottagonale in muratura, alta m. 32,00 s’impianta su un prefabbricato ad un solo piano.

Attivato dalla Marina Militare Italiana nel 1929, il faro è di quarto ordine con luce bianca a due lampi e ha una portata geografica di 16,5 miglia. Attualmente la struttura dipende dal Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e del Canale d’Otranto (Marifari, Taranto).

Il faro di Capo San Vito irradia l’ingresso al golfo di Taranto. La struttura è sita sull’omonima punta geografica distante 12 km circa dalla città di Taranto.

L’edificio consiste in una torre ottagonale alta m. 42,80 emergente da un fabbricato a due piani e coperto a terrazza. Il faro è di quarto ordine, è dotato di una lanterna con luce bianca a tre lampi e ha una portata geografica di 18,4 miglia. L’attivazione avvenne a cura del Genio Civile nel 1869. Attualmente la struttura dipende dal Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e del Canale d’Otranto (Marifari, Taranto).

Fig. 4: Faro di S. Cataldo (LE).

Fig. 4: Faro di S. Cataldo (LE).

La struttura portuale di S. Cataldo si affaccia sul mare adriatico, nella località da cui prende il nome, a circa dieci km dalla città di Lecce. Essa è costituita da un molo antico edificato probabilmente intorno al II secolo d.C., al tempo in cui Lecce era colonia romana (“Lupiae“) e dai resti di una diga edificata nel XX secolo. Nel XVI secolo le fonti documentarie registrano la più intensa attività dell’approdo, grazie agli scambi commerciali tra Lecce e la repubblica di Venezia. Gradualmente dal XVII secolo l’attività commerciale diminuì fino a scomparire completamente.

Dal periodo postunitario le amministrazioni comunali leccesi, manifestarono la volontà di riattivare la funzione commerciale dell’antico porto progettandone un ammodernamento.

Tra 1863 e il 1881 furono commissionati ben quattro progetti per la costruzione di un nuovo porto, ma le risorse economiche della città di Lecce (ridotte rispetto agli elevati piani di spesa dei progetti), gli enti preposti e il parere sfavorevole di alcuni degli stessi progettisti ne ostacolarono l’approvazione. L’attenta analisi della natura del luogo e della costa (bassi fondali, presenza di malaria e assenza di un centro abitato) impediva previsioni rosee per l’attività di un porto commerciale. Tutti i progetti commissionati non considerarono affatto il recupero delle vestigia del molo antico, bensì mirarono essenzialmente alla realizzazione di una diga nella stessa insenatura del primo.

In seguito alla realizzazione di una linea tramviaria tra Lecce e S. Cataldo, il Comune di Lecce fece istanza al Ministero dei Lavori Pubblici per la sistemazione del porto. Nel 1898 si ottenne un nuovo progetto compilato dall’ing. Achille Somma, che prevedeva la costruzione di una diga dal diruto molo protesa in mare in due tratti. L’approvazione definitiva si ottenne nel 1900, dopo cinque modifiche apportate richieste dalla Commissione permanente per le opere di porti, spiagge e fari. Un ditta leccese si aggiudicò l’appalto e i lavori ebbero inizio nel maggio 1901.

Fig. 5: Porto di S. Cataldo (LE), 1930 circa.

Fig. 5: Porto di S. Cataldo (LE), 1930 circa.

La costruzione della diga si fermò più volte a causa dell’azione distruttiva del mare e della disorganica gestione dell’esecuzione del progetto da parte della committenza. Inoltre la dura reazione del regio Ispettore dei monumenti di Lecce3 , impedì tempestivamente il reimpiego di alcuni blocchi dell’antico molo. I lavori furono ultimati l’uno ottobre 1906, data in seguito a cui la neo struttura portuale conobbe un impietoso abbandono. Attualmente si assiste agli effetti devastanti dell’attività del mare nel corso del tempo, sulla struttura della diga e del molo antico. Quest’ultimo, singolare caso di conservazione tra i porti antichi, è attualmente oggetto di ricerca da parte dell’Università degli Studi di Lecce che nel 2004 vi ha realizzato uno scavo archeologico. Lo scopo dei ricercatori è risalire alla vera origine della struttura e verificare la contemporaneità tra lo scalo portuale e il riassetto della Lecce romana del II secolo d.C., in vista di una nuova campagna di scavo.

Il faro di S. Cataldo dista poche decine di metri dall’insenatura che ospita la struttura portuale della località balneare di S. Cataldo, in provincia di Lecce. Il faro è di quarto ordine costituito da una torre di forma ottagonale alta m. 23,30 con annesso edificio in muratura, destinato in origine ad alloggio dei fanalisti e a magazzino. La lanterna è dotata di un apparecchio di con luce bianca ad un lampo con un periodo di cinque secondi e una portata ottica di 14,8 miglia.

La costruzione di un faro nella località di S. Cataldo fu proposta al Ministero dei Lavori Pubblici dal Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto nel 1863. Un presupposto importante per la desiderata rinascita da parte degli enti locali, di un porto nella vicina insenatura. Il 25 febbraio 1865 fu presentato e redatto un primo progetto dall’ufficio centrale di Lecce del Corpo Reale del Genio Civile della Provincia di Terra d’Otranto. Intanto in attesa della costruzione del faro fu istallato un fanale provvisorio sopra un fabbricato sito a San Cataldo, di proprietà dell’Amministrazione Comunale di Lecce.

Un secondo progetto per un faro di quarto ordine a luce fissa fu redatto nel 1886 dall’ingegnere Paolo Orabona del Genio Civile con successive modifiche. Nel febbraio 1893 il progetto definitivo per la costruzione del faro venne approvato insieme a quello per la fornitura di una lanterna, entrambi firmati dell’ingegnere Flavio Bastiani del Genio Civile.

Durante la realizzazione dell’edificio, fu redatto un nuovo progetto per la fornitura e l’impianto di un apparecchio lenticolare di quarto ordine a luce fissa bianca variata da lampi di 10” in 10” e presentato il 26 Agosto 1895.

I lavori di costruzione dell’edificio furono ultimati il 31 Dicembre 1895 ad opera di una ditta di Lecce. L’apparecchio lenticolare fu commissionato alla ditta parigina Henry Lepaute e la lanterna ottagonale fu realizzata dalla ditta Giovanni Servettaz di Savona.

L’attivazione del faro avvenne nel 1897 a cura del Corpo del Genio Civile della Provincia di Terra d’Otranto. Le più recenti modifiche riguardano l’elettrificazione e il potenziamento della sorgente luminosa, realizzate nel secolo scorso.

Il faro attualmente in funzione, è sede dell’Ufficio Locale Marittimo gestito dalla Capitaneria di Porto di Brindisi e dipende dal Comando in Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e del Canale d’Otranto (Marifari, Taranto).

 

Fig. 6: Faro di Leuca, 1920.

Fig. 6: Faro di Leuca, 1920.

Il faro di Santa Maria di Leuca fu eretto nel 1863, sul promontorio di Punta Meliso. Si tratta di un faro di I° ordine il cui progetto venne redatto dall’ingegnere ordinario di 3a classe Achille Rossi, e la cui costruzione venne affidata all’impresa di Pinto Francesco, che completò i lavori nel 1865. La prima struttura luminosa montata sul faro era costituita da un apparecchio catadiottrico, con splendore di 30” in 30”, con riflettore sferico di rame argentato, montato su una colonnetta in ferro con piastra incastrata nel pavimento. All’interno dell’apparecchio vi era una lanterna, illuminata da una lucerna alimentata da un serbatoio ad olio, che di volta in volta andava accesa con fiammiferi e tenuta pulita con l’attrezzatura a disposizione dei faristi (pompe, filtri, raschietti, secchi in rame, sgocciolatoi, ampolline, calibri, pinzette, forbici, chiavi inglesi, cacciaviti, livelli a bolle d’aria, spazzole, pennelli, perni, viti, dadi, fumaioli, lucignoli, fiammiferi, rosso e bianco di Spagna, alcol di vino, conduttori e tavole). Il 20 maggio 1889 viene redatto il progetto per il completo funzionamento ad olio vegetale, della nuova lampada, fornita dalla casa Henry Leponte. Nel 1902, all’interno dell’area di pertinenza del faro, vennero costruiti un magazzino e un forno, mentre nel 1904 venne redatto un progetto per l’ampliamento e l’adattamento del locale adibito a forno, per l’allargamento del piazzale.

Il 13 novembre 1905 si volle introdurre nel faro di Leuca l’illuminazione con vapori di petrolio a incandescenza. A tal proposito la Direzione Generale delle bonifiche e dei porti del Ministero dei Lavori Pubblici, il 21 settembre 1906 comunicò all’ingegnere capo del Genio Civile di Lecce che la Commissione per il riordinamento dell’illuminazione aveva voluto provare tale lampada al faro del porto di Genova, e che l’esperimento aveva dato dei risultati “soddisfacentissimi”, ma si rinviava il progetto per il faro leucano all’anno successivo. Nel 1924 il segnalamento fu trasformato dalla Regia Marina a vapori di petrolio e, nell’agosto 1937, questa sorgente fu sostituita da quella elettrica. Nel luglio 1934 il faro si dota di un apparecchio ottico rotante in senso antiorario, della distanza focale di 500 metri, basato su tre gruppi di pannelli diottrici ciascuno (in precedenza erano 16), che danno tre fasci di luce bianca visibili fino a 25,2 miglia (portata geografica) e, in direzione della secca di Ugento, luce rossa. La vecchia lanterna è stata sostituita nel 1954 e alla nuova ottica sono stati applicati pannelli deflettori per la navigazione aerea.

Fig. 7: Disegno della facciata del faro di Gallipoli, 1894.

Fig. 7: Disegno della facciata del faro di Gallipoli, 1894.

Nel 1864 un altro faro venne eretto a Gallipoli, sull’isola di Sant’Andrea. In questo caso si tratta di un impianto di III° ordine, costruito dall’impresa di Francesco Pinto su progetto dell’ingegnere di 3 a classe Filippo Pinto. La prima struttura luminosa montata sul faro era costituita da un apparecchio catadiottrico, con splendore di 2′ in 2′, con riflettore sferico di rame argentato, montato su una colonnetta in ferro con piastra incastrata nel pavimento. Nel 1875 si costruirono nuovi fabbricati per l’alloggio al 3° fanalista), mentre nel 1886 venne realizzato un magazzino per il combustibile. Il 23 giugno 1914 venne redatto il progetto per la costruzione di un magazzino di deposito, ma non venne realizzato, visto che il medesimo progetto venne ripresentato con una diversa firma il 13 maggio 1922.

L’esecuzione dei lavori venne questa volta affidata in cottimo fiduciario all’impresa di Andrea Perulli di Francesco, domiciliato in Lecce. Il faro è rimasto in attività fino al 1973, dotato di un congegno a sei lampeggianti. Da allora rimase in stato di abbandono fino alla fine del 2005, quando su intervento del sottosegretario alla difesa, il senatore Rosario Giorgio Costa, sono stati avviati i lavori di ristrutturazione. Alle 18.15 di domenica 26 marzo 2006, con un suggestiva cerimonia, il faro è
tornato a risplendere, grazie ad una lampada da 1000 Watt alimentata da pannelli solari. La sua portata oggi è di quasi 20 miglia marine e conta due fasci luminosi della durata di 2 secondi, ad intervalli di 2,3 e 7,3 secondi. L’intervento di recupero strutturale, eseguito dall’impresa Jonio Sud, è costato 180mila euro, interamente a carico del Ministero della Difesa.

Il faro di Otranto è collocato sulla Punta Palascia. La costruzione di un faro di 4° ordine venne ordinata dal Corpo Reale del Genio Civile nel 1863. In origine il Ministero dei Lavori Pubblici aveva pensato di impiantare un faro di 2° ordine, ma dopo essersi consultato, nel luglio dello stesso anno, con l’ex Direzione Generale di Napoli, optò per un faro di 4° ordine, ritenuto più conveniente. L’ingegnere capo governativo Ferdinando Primicerio incaricò quindi l’ingegnere ordinario di 3° classe Achille Rossi, di redigere un progetto per il faro, che il tecnico completò nel mese di novembre. La struttura fu edificata dall’impresa di Pinto Francesco, che concluse i lavori nel 1867. La prima struttura luminosa montata sul faro era costituita da un apparecchio catadiottrico a luce fissa, con riflettore sferico di rame argentato, montato su una colonnetta in ferro, con piastra incastrata nel pavimento.

All’interno dell’apparecchio vi era una lanterna a dieci facce, illuminata da una lucerna alimentata da un serbatoio ad olio. Nel 1887 la lampada ad olio venne sostituita con una a petrolio, ordinata presso la ditta ” Barbier & Fenestre” di Parigi. Questa nuova struttura funzionante a petrolio, era costituita da un apparecchio a luce bianca con lampo di 10” in 10”, comprensivo anch’esso di lucignoli, fumaioli, armature, tubi, filtri, sgocciolatoi, secchi, pompe, calibri, punteruoli e tutti i vari accessori per la manutenzione. La nuova lampada costò 11.300 Lire (8.471 più i costi doganali per il trasporto e per l’installazione) ed era formata da parti ottiche composte da 10 placche anulari, abbraccianti ciascuna 36°, un’armatura comprensiva di candelabro, tavole e carro ruotante con cerchi di acciaio, una macchina di rotazione gran modello, per dare all’apparecchio una rivoluzione completa in 100”. Il 5 febbraio 1907 durante la seduta della Commissione per il riordinamento dell’illuminazione delle coste del Regno (istituita con i Decreti Ministeriali n. 5115 del 16 maggio 1905 e n. 3175 del 20 marzo 1906), venne deciso di ridurre la luce ad intermittenza con acetilene al faro di Palascia, a 10” di luce e 5” di oscurità. Oltre alle manutenzioni ordinarie degli immobili, un restauro generale all’alloggio dei faristi (comprese le riparazioni al lastricato della terrazza), diretto dall’ingegnere Blen, venne eseguito nel 1921 dall’impresa di Gaetano Urso fu Salvatore. Nel 1964 l’impianto è stato disattivato, sostituito da un fanale a cellula solare situato all’interno di una zona militare, in prossimità della litoranea Otranto – Santa Maria di Leuca. Dopo la dismissione, dal 1979 la struttura è rimasta in completo stato di abbandono, fino al recupero con il P.O.R. Regione Puglia 2000 – 2006, misura 1.6, finanziato dall’Unione Europea, dallo Stato Italiano, dalla Regione Puglia, cofinanziato dal Comune di Otranto. Il costo complessivo dell’intervento è stato di 516.000 euro ed ha riguardato opere complessive di risanamento conservativo, opere di restauro, opere di adeguamento funzionale, opere di finitura e completamento funzionale, opere relative alla dotazione impiantistica, realizzazione di percorsi museali e di spazi espositivi, completati nel corso del 2005. Il faro di Punta Palascia è stato riacceso la notte del 31 dicembre 2005, durante la manifestazione «Alba dei Popoli».

Riguardo ai porti di Otranto e Gallipoli invece, sappiamo che la loro esistenza si perde nella notte dei tempi, già utilizzati da Messapi, Greci e Romani, poi da Bizantini, Angioini, Aragonesi e Borboni. Una storia contemporanea dei siti si può ricostruire dai momenti immediatamente precedenti all’Unità d’Italia. Il 29 maggio 1859 l’intendente della provincia di Terra d’Otranto, il nobile Sozy Carafa, domandò all’ingegnere direttore delle opere pubbliche provinciali, il cavaliere Ignazio Milone, la spesa occorrente per una linea di scogli dalla parte sud – sud est di Otranto, a difesa di delle antiche muraglie. Nel 1870 l’ingegnere Mati, ampliò la capacità del porto di oltre un terzo rispetto al precedente, distruggendo le cosiddette “casse”, opere portuali costruite al tempo dei Romani. Una data molto importante per la storia del sito è il 9 maggio 1907, quando con il Regio Decreto n. 331 il porto viene iscritto nella I a categoria nei riguardi della difesa dello Stato, ferma restando la sua classificazione in II a categoria, IV a classe, nei rapporti commerciali. Nel 1911 venne costruita la stazione sanitaria (edificio di disinfezione), a cura dell’impresa Domenico De Francesco. La stessa stazione sanitaria venne ampliata nel 1919, dall’impresa di Gaetano Urso fu Salvatore, mentre nel 1925 si progettarono i lavori per la difesa e l’allargamento dello scalo di alaggio. Il 4 aprile 1933 venne consegnata una zona demaniale marittima alla Capitaneria di Porto di Brindisi, per la costruzione di un casotto. Nel 1935 la Regia Marina autorizzò il Genio Civile a demolire i ruderi dei due muri longitudinali dell’ex scivolo per idrovolanti, costruito durante la prima guerra mondiale. Durante l’esercizio 1938 – 1939 vengono avviati i lavori per l’illuminazione elettrica della strada di accesso al porto e delle banchine del molo foraneo.

Per il porto di Gallipoli invece, bisognerà partire dal 1847, quando venne approvato un progetto per un molo, delle banchine e alcune piazze sotto le mura della città, cui ne seguì un altro datato al 20 maggio 1851. Il 15 agosto 1855 si da il via ufficiale ai lavori, che vengono eseguiti dall’impresa di Generoso Cimino. Nel 1856 si ha la necessità di costruire un magazzino per riporre gli attrezzi utili alle opere portuali, inoltre dal 1° al 15 agosto, attraverso gli scarichi in mare di roccia, viene prolungata la scogliera per realizzare il primo molo. Il 21 luglio 1882 si progettò di costruire un binario per collegare la stazione ferroviaria al porto. Tali opere, tra cui la costruzione di una strada parallela alla ferrovia e la nuova sistemazione delle banchine per il binario, vennero eseguite dalla Società Italiana delle Strade Ferrate Meridionali, dal 1886 al 1913. in occasione dell’inizio dei lavori, con un lettera del 16 ottobre 1886, il comune di Gallipoli chiese che venissero chiuse le luci delle arcate del ponte, e sfruttando la strada parallela alla ferrovia, si allarghi la strada di collegamento tra la città e il borgo nuovo, attraverso una colmata di massi. Nel 1901 viene introdotta l’illuminazione a petrolio incandescente ed elettrica sulle banchine. Il 12 febbraio 1912 si progettò un nuovo sistema di illuminazione nel porto, attraverso l’impiego di sette fanali a petrolio incandescente. Nel 1919 venne abbattuto il padiglione cosiddetto “Doker“, a cura della ditta Giuseppe Guacci, per dar modo di completare la stazione sanitaria marittima del porto. Nello stesso anno si diede il via ai lavori per la realizzazione di due scogliere di difesa del Seno del Canneto. Il 28 giugno 1924 si progettò di adattare l’ex convento dei Cappuccini a stazione sanitaria marittima, a levante dell’abitato di Gallipoli. Tra il 1935 e il 1941 l’impresa di Otello Torsello costruì l’edificio per il servizio della Regia Dogana, le cui strutture vennero collaudate nel 1942. lo stesso edificio venne però acquistato dal comune di Gallipoli nel 1940, che lo destinò ad alloggio per il ricevitore doganale. Nel 1962 la banchina del molo Foraneo risulta lunga 286 metri, con una profondità al ciglio di attracco tra 10,80 e 12 metri, mentre la banchina Lido è lunga 310 metri, con una profondità di attracco al ciglio tra 8 e 10 metri. La capacità complessiva dei locali coperti risulta di 5.500 metri quadrati, con vani per uffici e guardianìa. Nel 1980 al Porto mercantile si procedette all’allargamento del molo di tramontana sino a raggiungere i valori del molo foraneo.

NOTE:

1 Archivio storico Marifari, Taranto.
2 Elenco dei fari e fanali, semafori e segnali marittimi , 1891.
3 Cosimo De Giorgi, storico ed insigne personalità leccese.

Articolo concesso da Mauro Ciardo


Un commento su “I Fari e i Porti di Terra D’Otranto

  1. Guglielmo Corallo ha detto:

    Come si può fare ad avere una copia della pubblicazione?
    Grazie

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