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I Turchi di Cannole

I cannolesi si fregiano di un ulteriore soprannome oltre a quello di Cuzzari legato alla tradizione culinaria. Vegnono conosciuti infatti anche come i Turchi, epitteto originato da una leggenda che vede da protagonista l’intero territorio cannolese.

Dopo il sacco di Otranto del 1480 i saraceni cominciarono pian piano ad invadere i comuni e le zone limitrofe. Cannole è abbastanza vicino ad Otranto tanto da essere scelto come una delle successive mete dei successivi attacchi.

Consci di ciò che era accaduto a Otranto e in preda ad una giustificata paura, i cannolesi implorarono l’intervento della Madonna di Costantinopoli che non tardò ad arrivare.

Piazza San Vincenzo Ferreri (Fonte: Wikipedia - cannole)

Piazza San Vincenzo Ferreri (Fonte: Wikipedia - cannole)

La creatura celeste infuse agli abitanti di questo paesino un immenso coraggio che li aiutò a fronteggiare il nemico e respingerlo anche senza l’utilizzo di armi.

L’esercito turco però non si arrese e ritentò con un nuovo attacco, guidato personalmente dal comandante della missione. Per evitare che il loro arrivo potesse essere percepito dai cannolesi, decisero di recarsi presso il luogo dell’attacco a piedi, in modo da evitare rumori sospetti.

Questa volta però fu una donna ad attenderli. Il suo sguardo fiammeggiante condusse l’esercito nemico in uno stato di panico, tanto da convincerli a fuggire via e abbandonare l’idea di conquistare il paese. Mentre il comandante scappava da quel luogo trovò le sue scarpe che aveva abbandonato in un luogo molto distante da quello in cui si trovava. Capì quindi di essere di fronte ad un prodigio e decise di abbracciare la fede Cristiana e di rimanere a vivere in quel luogo per sempre. Da quel giorno a Cannole, la Madonna di Costantinopoli è conosciuta anche come Madonna del Turco.

Marco Piccinni

BIBLIOGRAFIA:

“Agenda di Babbarabbà 1997. Soprannomi paesani nelle province di Brindisi, Lecce e Taranto tra storia e fantasia” – supplemento del “Quotidiano” dicembre 1996 (Arti grafiche Mondadori) a cura di Antonio Maglio


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