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Le “sciuscelle” o “pittule all’acqua”

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Le sciuscelle o pittule all’acqua (o ancora, più raramente ove de lupu) costituiscono un piatto di antica tradizione, oggi quasi del tutto perso. L’ingrediente di base è il pane.

Un tempo, il pane veniva fatto al forno una volta al mese per l’intera famiglia. Spesso però, arrivati a fine mese, il pane si induriva e non era più commestibile. In un’epoca di stenti e povertà, non si buttava nulla. (Una buona pratica che sarebbe consigliabile recuperare). Tutto veniva riutilizzato e reimpiegato. Cosi il pane indurito, veniva grattugiato e utilizzato nelle pietanze povere ma sempre genuine e gustose.

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Ex voto di Ferdinando II: la fiera la prima domenica di giugno “San Franciscu” fece la grazia riportò al trono il Re Borbone

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Al pellegrino che in cerca di serenità scampanella al portone del Convento di San Francesco da Paola dei Padri Trinitari, a Gagliano del Capo, a un passo da Finibus Terrae, apre Frà Donato Aceto e lo accoglie con un sorriso: “Pace e bene, fratello”.

Il religioso è un ragazzo sui 40 che va in giro in scooter e si ferma a chiacchierare e filosofare volentieri con i vecchi seduti al sole. E’ molto stimato dalla comunità, ma anche extra moenia, dopo che per caso, nel 2009, è diventato attore. Il regista Massimo Fersini stava mettendo su il cast per il film d’esordio, “Totem Blue”. Frà Donato è padre spirituale di molti intellettuali borderline e perciò gli è sembrato naturale chiedergli di interpretar se stesso.
Dotato di senso dell’ironia, battuta sempre pronta, il neo-attore sorride: “Chi ha visto il film dice: pare un prete vero…”. E non sa che Frà Donato lo è a tutto tondo, che ogni giorno dice messa nella chiesa del Convento, frequentata anche dalle anziane che poi sono state coinvolte anche loro nel film nel ruolo di prefiche. E’ una miniera inarrestabile di aneddoti, ma parla in veste di storico dell’antichissima Fiera di San Francesco, che quest’anno compie 169 anni, ha luogo sulla piazzetta antistante il “Cumèntu” dove si trova di tutto: animali, utensili per il lavoro nei campi e “cupèta” (croccante di mandorle e zucchero) e a cui è legata una pagina pre-unitaria della storia del Sud-Nazione.

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Suono antico… l’Organo Olgiati-Mauro

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“C’era una volta un galeone, con a bordo un magnifico organo fabbricato a Como dal maestro Olgiati. Era salpato dalla Liguria ed era probabilmente diretto ad Alessandria d’Egitto. La nave doveva aver quindi costeggiato l’Italia dalla Liguria e, attraversato lo stretto di Messina, aveva costeggiato il golfo di Taranto. Ma navigando lungo la costa ionica della penisola salentina, prima di giungere a Santa Maria di Leuca per la traversata del Canale d’Otranto fino in Grecia, la nave fu colta da una tremenda tempesta. La furia del mare trascinò la nave fin sopra le Secche di Ugento [..]Il mare in burrasca rovesciò il bastimento, ed i marinai annegarono.
[..]I pescatori di Torre Pali, la marina di Salve, osservavano impotenti dalla costa la tragedia che si stava consumando davanti ai loro occhi. Appena fu possibile, i pescatori accorsero sul posto nella speranza di trovare qualche superstite. Sul relitto incagliato del galeone non c’era nessuno, ma nella stiva, invasa dall’acqua penetrata da una grossa falla, c’erano ancora alcune casse. Quando le aprirono trovarono le canne di un organo, e poiché la chiesa del loro paese era priva di un organo, decisero di prenderle. Caricate le casse sulle loro barche, le portarono a riva e da qui in paese. Appresa la notizia, gli abitanti si affollarono sulle mura ad attendere il carico. Quando il carro attraversò Porta Terra e giunse nella piazza principale, l’accoglienza fu trionfale… e venne deciso che l’organo fosse immediatamente montato nella chiesa matrice”

C. Stasi, “Il naufragio”

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La festa della gente di Montesardo nelle grotte del villaggio rupestre: Santo Stefano del Curano, melting-pot mediterraneo

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LECCE – E’ la festa della gente di Montesardo (non erroneamente di Alessano, come si legge da qualche parte). E’ così sin dall’antichità. Fino al XVI secolo, la chiesetta sul piazzale aveva un prete, che si prendeva cura delle anime dei contadini e delle loro famiglie sparsi (per coltivare la vigna, l’uliveto, più tardi anche il tabacco) fra le masserie circostanti tra le grotte di Macurano, un antico trappìtu (frantoio) detto “della Baronessa” e la via che porta al favoloso mare di Novaglie: i nomi stessi svelano le contaminazioni con altri mondi, popoli e culture sedimentate nei secoli, e millenni: Sargirò, Padogna, Vicenzoni, dei Blevi, Santa Lucia, la Bianca, ecc.

E da secoli Santo Stefano protomartire, detto “del Curano” perchè la cappella sorge nel cuore dell’insediamento rupestre di Macurano, è festeggiato il lunedì successivo al Lunedì dell’Angelo. E’ una sorta di replica della Pasquetta, collegata all’idea della natura che si risveglia: come dicono i vecchi contadini “ogni terracàta se rinnova”.

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Palazzo Vernazza, un tempio di Iside tra resti Romani e Messapici

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Capita spesso, passeggiando nel centro storico di un paese, di guardare distrattamente i palazzi, le abitazione e le strade di cui è composto, presi dal costante pregiudizio anti-culturale che ci induce a non soffermarci a guardare i particolari, a non porci domande su quale possa essere la storia che nasconde ogni pietra, a ritenere che in fondo non ci sia nulla di interessante che valga la pena di analizzare.

Molti dei palazzi di una città sembrano semplicemente dei palazzi, niente di più e niente di meno che un nucleo abitativo realizzato con vari materiali al fine di rendere piacevole il soggiorno della famiglia che vi abita. Alcuni sono stati realizzati da architetti piuttosto costosi, altri decorati da artisti di medio o grande talento, niente che possa suscitare un impulso irrefrenabile a saperne di più su chi l’abbia fatto costruire e il perchè. Se ci ponessimo sempre e solo queste domande, probabilmente, passando nei pressi del palazzo Castromediano-Vernazza a Lecce, potremmo pentirci di non aver rivolto maggiore attenzione nei confronti di un luogo che abbraccia più di 2000 anni di storia.

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L’Isola dei Conigli di Porto Cesareo

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L’isola dei Conigli o Isola Grande, oggi nota per essere una delle più belle località turistiche del Salento, nel tempo ha avuto i più svariati utilizzi!
Negli anni Cinquanta del Novecento, infatti, l’isolotto fu sede di allevamento di una colonia di conigli allo stato brado. Da qui deriva l’attuale nome familiare dell’isola.

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Il giornalista Pietro Marti

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di Ermanno Inguscio
Articolo tratto da “Terra di Leuca”, febbraio 2011, consultabile on-line a questo indirizzo.

Dopo un primo contributo sul direttore della Biblioteca provinciale “ N. Bernardini”, Pietro Marti (Ruffano, 15.06.1863 – Lecce, 18.04.1933), descritto nella sua preziosa attività di direttore di giornali, in questo secondo intervento si lumeggerà la sua attività di giornalista, sua seconda attività, dopo quella di giovane docente a Ruffano e a Comacchio, lungo il suo peregrinare per la Penisola tra fine Ottocento e il primo trentennio del Novecento.

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Dalla raccolta tradizionale delle olive alla produzione dell’olio

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Il periodo ottimale di raccolta delle olive cade in genere fra novembre e dicembre . Nel caso di grandi estensioni di oliveti, i periodo può addirittura allungarsi fino a gennaio. Le olive sono pronte per la raccolta una volta che hanno raggiunto le massime dimensioni, il massimo di inolizione ( ultima fase di maturazione in cui nel frutto aumenta la percentuale di acido oleico), e la polpa inizia a perdere un poco di consistenza.

Le tecniche adottate nella raccolta delle olive possono essere sia manuali sia meccaniche, (meno diffuse).
Una volta raccolte, le olive vengono immagazzinate in cassette forate, per una maggiore aerazione del frutto, e poi portate in ambienti aerati e freschi per non più di 2 giorni, quindi lavorate al frantoio.

L’olio contenuto nelle olive può essere estratto mediante un procedimento che comprende 3 fasi di lavorazione:

FRANGITURA/GRAMOLATRUA: rottura dei frutti e rimescolamento della pasta;
SPREMITURA: estrazione dell’olio mediante prelievo o pressione;
SEPARAZIONE dell’olio dall’acqua di vegetazione e dalle particelle di polpa contenute nel frutto. L’olio così ottenuto deve essere poi accuratamente conservato per preservarne le caratteristiche chimico-organolettiche.

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Giuseppe Regaldi a Tricase

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di Alessandro Laporta

Articolo tratto da “Terra di Leuca”, febbraio 2011, consultabile on-line a questo indirizzo.

Per avere un’idea della fama di cui godette in vita e del livello del poeta Giuseppe Regaldi (Novara 1809 –  Bolzano1883) basta partire dall’articolo di Antonio Merico pubblicato sul “Tallone d’Italia” del 14 dicembre 1924 [1] che riporta tre attestati di stima nei suoi confronti. Il primo è di Alphonse De Lamartine che gli dedicò questa quartina:

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