Un pezzo di oriente bizantino dove si era posato lo sguardo di due dinastie, quella normanna prima e quella sveva poi, in cerca di nuovi orizzonti di politica estera in odore di espansione oltre l’adriatico. Una terra che affascinava per la sua atipicità rispetto al resto del meridione, “ancora in grado di mantenere una sua regola di vita scritta in greco” [Carducci] e che ha ospitato le controversie tra il potere religioso con quello temporale di cui uno degli esponenti più discussi e ammirati rispondeva al nome di Federico II Hohenstaufen, lo stupor mundi.
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MATINO (Le) – Storie di ordinaria emigrazione, sospese fra il Novecento e il III millennio. Di uomini che un giorno, ancora imberbi, lasciarono tutto, famiglia e affetti, la terra “tumara” e partirono, lavorarono duro, spesso ammalandosi, talvolta morendo sul cantiere, e poi, con un po’ di fortuna, sono tornati al paese natio obbedendo al richiamo delle radici, hanno investito i risparmi, creato aziende che hanno dato lavoro agli altri e oggi raccontano le loro parabole vincenti.
1 commentoPassano gli anni, i secoli. Usi e costumi si trasformano, mutano nel tempo senza una necessaria continuità. Eppure, lustro dopo lustro, generazione dopo generazione, una mano è sempre lì, pronta ad afferrare un oggetto acuminato e lasciare un segno sulla fredda roccia, nella valle dell’Idro, in una piccola grotta.
Lascia un commentoLa falesia è selvaggia. Un dettaglio insignificante per i contadini che per secoli hanno coltivato tra i terrazzamenti di un declivio che si tuffa a tratti dolcemente e in altri con salti vertiginosi su un dislivello che si articola su oltre 90 metri di altezza. Il mare e il cielo gli unici confini, due limiti invalicabili posti dalla natura a porre freno all’egemonia dell’uomo del passato e dei suoi strumenti.
Lascia un commento“Questo tempietto oggi riedificato
il 10 settembre 1832
un terribile ciclone abbatteva
schiacciandovi sotto Filippo Borlizzi
pietà di popolo riconoscente a
Maria Immacolata
che il paese libero da certa rovina
il ricordo ai nepoti consacra”
Questo recita il testo di una lapide a imperitura memoria di un evento catastrofico, forse insolito di primo acchito, ma che si ritrova di frequente nelle cronache di un passato non poi così lontano: gli uragani.
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