La grotta dei graffiti nella Valle dell’Idro
Passano gli anni, i secoli. Usi e costumi si trasformano, mutano nel tempo senza una necessaria continuità. Eppure, lustro dopo lustro, generazione dopo generazione, una mano è sempre lì, pronta ad afferrare un oggetto acuminato e lasciare un segno sulla fredda roccia, nella valle dell’Idro, in una piccola grotta.
Una cavità artificiale costituita da due ambienti che si apre alla base del costone roccioso del monte “le piccioniere”, uno dei tre che delimitano l’invaso della valle scavata dal fiume Idro, bonificata durante il periodo fascista. Due piccole sale simili strutturalmente ma con un’enorme differenza. La superficie di una è completamente glabra di qualsivoglia segno umano, quella dell’altra invece è come un libro aperto le cui pagine sono state scritte a cavallo di quattro secoli. Gli autori sono sconosciuti.
Entra poca luce in questa piccola grotta, probabilmente una delle tante adibita ad uso civile che costellano la vallata. Leggermente isolata dal restante contesto rupestre in cui è situata sembra sia stata successivamente predestinata ad accogliere una funzione differente. Ogni centimetro quadrato della superficie laterale è ricoperto da graffiti di qualsivoglia foggia e dimensione. Date, simboli, figure antropomorfe, croci, arti, iniziali, iscrizioni. Tutto lascerebbe pensare a ex-voto di soggetti ritenuti meritevoli di ricevere una grazia tanto da lasciarne traccia ad imperitura memoria?
Sono numerosi i cuori che si intervallano ad attentante croci potenziate, ricrociate e latine, di cui una sormonta una spiga. Golgota e linee verticali, oblique, che sembra si interrompano bruscamente quasi come a volere indicare un errore nel tracciato tale da indurre a ricominciare da capo. Alle destra dell’ingresso un paio di mani con sotto le iniziali MS, poco più in alto una stella e vicino una figura stilizzata in piedi dalla testa sproporzionata rispetto al corpo. Sulla parete opposta un uomo che sembra stia annegando all’interno di un motivo geometrico che potrebbe simboleggiare le onde di un mare in tempesta. Sulla parete al suo fianco un sole. E ancora nomi scritti in caratteri eleganti (Carmine, quello di più agevole lettura) ed una lunga grande iscrizione, consunta e a tratti interrotta, che si sviluppa sull'”architrave” e sulla sotto-arcata che conduce al secondo ambiente (anch’esso originariamente dotato di un ingresso autonomo, poi murato) in una lingua che sembra apparentemente un misto di latino e dialetto.
Sono alcuni numeri che ci consentono di collocare temporalmente alcune di queste incisioni: 1927, 1997, XCMXXX, un esile 1811, eleganti e maestosi 1698, 1695 e 1700; un timido 1961 vicino alla stella stilizzata; un 1896 e alcune lettere il cui accostamento potrebbe indicare anche altro in un contesto piuttosto complesso e variegato monco di alcuni dettagli portati via dal tempo, ma che a prima vista appaiono come un MCVI (1106?)
Sono le diverse nicchie sparse sulle pareti che ci riportano in un contesto agricolo o di vita rupestre, in una disposizione lontana da quello di un luogo di culto. Le numerosi croci potrebbero assolvere anche ad una funzione apotropaica, un tentativo di scacciare il maligno in un contesto che riprendendo il viaggio di Janet Ross nella Puglia dell’800 non può non indurre a credere all’esistenza di orchi e streghe che vivono indisturbati in una terra magica:
Ah! Non mi meraviglio che il popolo della Magna Grecia creda alle streghe e alla magia! La distesa enorme delle sue campagne; la forma fantastica dei suoi grandi alberi di ulivi e carrube, nei di cui tronchi sformati andavano a nascondersi i briganti; le innumerevoli tombe antiche, grotte, caverne e gli avanzi di antiche mura sparse da per ogni dove, tutto è fatto apposta per impressionare un popolo semplice ed incolto [Janet Ross, La Terra di Manfredi]
Ma esistono anche spiegazioni più semplici, come ad esempio la forte devozione di un individuo e della sua discendenza naturale e non, all’interno di questo piccolo ambiente, che ha indotto le diverse generazioni a marcare la propria fede come un segno tangibile, un continuo promemoria, un qualcosa da poter toccare per dare materialità ad un concetto etereo. Un contesto non molto dissimile da quello che ha indotto un cittadino di Cutrofiano, Rocco Ferraro, a trasformare la sua abitazione privata in un vero e proprio santuario oggi da tutti conosciuta come “la casa dei Santi”.
Un altro tassello di questo piccolo intricato microcosmo che la Valle dell’Idro rappresenta.
Marco Piccinni