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De Dominicis (Capitano Black), il dialetto per parlare del popolo

CAVALLINO (Le) – Irridente e blasfemo come Marziale nella Roma carpe diem, lussuriosa; sulfureo come Giuseppe Gioachino Belli nell’Urbe papalina; solidamente ancorato all’identità delle proprie radici come Trilussa (Carlo Alberto Salustri).

Giuseppe de Dominicis (Fonte: Lecceprima.it)

Giuseppe De Dominicis è dentro questa dimensione letteraria, ma anche esistenziale. Origini contadine ma grande intelligenza, studi faticosi, una breve vita, la sua (1869-1905): se ne andò ad appena 35 anni per un attacco di cuore (non sapeva di essere cardiopatico), come il padre Salvatore e la fidanzata Mariuccia, la sarta che non fece in tempo a sposare: mai nozze furono così a lungo rinviate “alla stagion dei fiori”.

Una poesia segnata dal “pessimismo cosmico” (Hervè A. Cavallera in prefazione), in questo lo si accosta a Leopardi “anima inquieta”, ma anche dove baluginano lampi di socialismo in progress.

E infatti i suoi personaggi hanno anche una scansione rivoluzionaria e portano lo scompiglio negli equilibri cristallizzati all’Inferno (dove il suo alter ego Pietru Lau, il Dante della sua “Comedia”, è finito per aver rubato, spinto dal bisogno, un tomolo, circa mezzo quintale, di grano), in Purgatorio e in Paradiso. Lottano contro le ingiustizie sociali, disuguaglianze, angherie dei potenti.

Nei suoi “Canti de l’autra vita”, ne ha anche per il Creatore, che con la luta (fango) prima fece i nobili (i Torlonia, i Tamborrini, etc.); poi la ricca borghesia e infine, con quella che gli restava, i poveracci, i disperati maledetti da Lui stesso: sciancati, ciechi, insomma, da compatire.

Il poeta fu inviso alla Chiesa, che mise all’indice i suoi scritti in dialetto leccese: si era permesso di dire che la creazione avvenne in cinque giorni e che Dio avrebbe dovuto evitare di creare anche l’uomo, errore imperdonabile. Più blasfemo di così, in un contesto cupamente cattolico.

A farlo scendere dal piedistallo della statua che Cavallino, grata, gli ha dedicato nel 2005 in piazza Sigismondo Castromediano (uno dei pochi a prenderne le difese), a svelarlo al territorio addormentato, lo storico Gino Meuli (alla sua settima pubblicazione) in “Vita ed opere di Giuseppe De Dominicis” (Nell’eterna lotta tra vita e scienza, tra amore e morte), Edizioni Panico, Galatina 2022, pp. 168, s.i.p., bella cover del famoso artista Vito Russo.

Una ricognizione dei passaggi più significativi della sua opera (da “Scrasce e Gesurmini” alla “Comedia”), con la pregevole traduzione a fronte dal dialetto leccese. E non era facile, se è vero che il dialetto di Terra d’Otranto è polisemico e ha mille sfumature, fonemi, declinazioni in ogni campanile e che il poeta eleva all’onore di lingua.

Lo studioso di Salve procede a una ridefinizione del letterato che scrisse con lo pseudonimo di Capitano Black (aveva occhi e capelli neri), quasi contemporaneo del Belli. Origini povere, s’è detto, come la sua amata sartina (a cui in morte dedica una poesia struggente) arrabbiandosi con Dio per il “cheu” (chiodo) che gli ha conficcato nel cuore e che lo fece ammalare e morire.

Il saggio ha una chiave divulgativa, è un tentativo di porgere a tutti noi e avvicinare alle nuove generazioni un personaggio così originale, ricco di contaminazioni e diremmo decisivo per la cultura del Salento e che già nella scelta del dialetto aveva delineato la sua poetica: la vita quotidiana del popolo, le sue fatiche, i dolori, le speranze. Pietru Lau non poteva essere che lui.

Francesco Greco


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