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POESIA. Al crepuscolo delle nostre utopie

è difficile trovare/ nella vita spesa/ un caglio, un motivo/ un torsolo di mela/ un biglietto, un lasciapassare/ per non essere più così” (La vita arresa).


Dio è morto, e io non mi sento tanto bene…”, diceva Woody Allen. Come dire: siamo giunti nell’infida palude del relativismo ideologico, culturale, spirituale. Un perfido nichilismo ci ha afferrato. Tutto è sublimazione, identità confuse, memoria esile, quasi formattata, radici recise. Le fake news ci avvolgono come un infido peplo. Il Grande Fratello ci monitora h 24 e indovina i nostri desideri ancora prima che siano espressi. Le parole hanno perso di senso. E si è fatto debole anche l’istinto di conservazione.

E’ la globalizzazione, bellezza, direbbero i sapienti. Non è facile vivere al capolinea delle utopie che ci hanno tenuti in vita sino a ieri. E nemmeno fare poesia, perché essa risulta ispida, dislessica, colma di aporie, perché “tutto è disarmonico/ e io distonico”.

Resta solo da cercare nuove armonie ed energie, ritrovare la fiducia nelle parole benché esauste, riverginare i sostantivi, bulinare gli aggettivi. Oi dialogoi direbbero nelle agorà ateniesi, di cui siamo indegni eredi. Per tentare di ritrovare qualche brandello di verità, il bene, la virtù, come i filosofi della Polis.

Ci prova Paolo Vincenti con “L’una e tre” (Discordanze), Argomenti Edizioni, Lecce 2019, pp. 48, s.i.p. E’ un’altra sosta del percorso intellettuale del letterato Vincenti.

Poesie esitanti fra il classicismo e nuovi sperimentalismi, che sfociano in soluzioni lessicali nuove, pregne di senso sfuggente e delle lacerazioni dell’uomo 2.0. Le sue sconfitte e le sue speranze.

Vincenti è una specie di pifferaio di Hamelin, una sorta di capitano Achab in cerca della balena bianca. O, se si preferisce, un Diogene del III millennio che in pieno giorno con la lanterna della poesia cerca uomini, bellezza, ragioni per dare un senso al tempo che ci è toccato in sorte. Mentre incombe una nuova glaciazione, se non materiale, delle coscienze, i suoi versi sono balsamo sulle ferite, un’àncora per sopravvivere, e magari osare “riveder le stelle”.

Francesco Greco


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