“De Lecce simu… e ne presciamu”
Un viaggio alla scoperta della cultura leccese fra storia e fantasia, il nuovo libro del salentino Edoardo Micati
“Simu leccesi core presciatu/sòna maestru arcu te Pratu” (Siamo leccesi cuore allegro, gioioso, suona maestro Arco di Prato). Fu l’improvvisa noia che assalì Ferdinando IV di Borbone quando visitò la città di Lecce il 22 aprile 1797 ed espresse davanti alle autorità cittadine la sua indifferenza e disprezzo rispetto al celebre e curioso monumento architettonico che spinse il sindaco a rispondere piccato, quando il regnante si congedò contrariato perché la popolazione era assente, che Lecce ci teneva alla sua arte e che perciò “se ’nde futte te ci rria e de ci parte”. Dal momento che il sovrano aveva espresso la sua opinione artistica pronunciando il detto offensivo “Me ne strafotto” lasciò la città in una piazza vuota di sudditi.
Lo spirito leccese orgoglioso della propria città e dei suoi monumenti mise in nota la canzone cantata dal Gruppo Liscio del Salento e poi entrata nel repertorio di Bruno Petrachi, grande interprete della canzone popolare leccese. Da qui il titolo che viene utilizzato anche in ambito calcistico soprattutto quando la squadra locale incontra gli avversari: “Te Lecce simu simu/addhunca sciamu sciamu/lu core nui bu tamu/lu c..u bu scasciamu” (Di Lecce siamo siamo/e dove andiamo andiamo/il cuore noi vi diamo/il c..o vi rompiamo). La premessa introduce l’aspetto più significativo di questa nuovissima produzione di Edoardo Micati, anno di nascita 1936, rigorosamente leccese. Osservatore attento di fatti e misfatti, dei personaggi che pullulavano questo lembo di terra racchiuso dal mare, da cui si è difeso più che essere usato per i commerci, se si eccettua la parentesi dell’olio lampante di Gallipoli, dal cui porto solcavano numerosi navigli per tutta Europa a diffondere l’oro del Salento, come lo chiamava Rina Durante. Ora purtroppo stroncato da questo batterio micidiale denominato xylella.
E’ come se Edoardo, come Orazio quando attraversava la Via Sacra a Roma, descrivesse nel corso della sua lunga e interessante vita che ci ha regalato diverse altre opere fra cui cito L’isola sulla terra’ del 2013, ‘La profezia di Ibn Al Farrà’ del 2015, ‘Il fuoco dolce’ del 2017 e ‘Bryan Light nell’Isola sulla Terra’ del 2021, le persone con i loro tic, le convinzioni, il loro sarcasmo, il senso dell’ironia, il grande spirito di adattamento, la sapienza popolare, tutte qualità e vizi che hanno reso questa terra particolare, ricca di storia e di cultura, di facezie, di culacchi, come dice l’autore, ditteri, fattarelli, pruerbi (proverbi). Non è solo il famoso papa Galeazzo di Lucugnano ad essere ricordato con le sue trovate e il suo spirito di sopravvivenza e di adattamento, ma tutta una serie di personaggi e di storie che uno starebbe tutta la vita ad ascoltare dal labbro e a leggere dalla penna di Edoardo Micati, che tratta tutti con una sana indulgenza, con una umanità sorpassata, con un pizzico di sarcasmo, quasi che la vita si sia divertita a spennellare cose e persone che hanno fatto unica questa terra che produce cose duci, verdure, frutta fresca di stagione, rienu, rucula, seuche, zzanguni, paparina che si mangia soffritta dopo una bollitina con le olive nere e il peperoncino e aglio. Come i prodotti della terra hanno una loro purezza primordiale così i personaggi che costituiscono il repertorio di Edoardo, l’anziano contadino legato alla campagna, la signora che è rimasta legata alle sue storie giovanili, la principessa che è la sposa del re – ne è convinta! “Lu mare Ninu, Ninù, pisce e carne ieu cucinu. Nu nducere salessia (salicornia), ca te la minu a mienzu alla ia. Nu nducere fogghie reste (cicorie agresti) ca te le minu de le quartare (pentole)”. Una filastrocca che esprime l’irrefrenabile reazione di odio e amore per le cose belle e utili, le si vorrebbero ma poi le si rigettano in un continuo susseguirsi che dura tuttora. G.C.L. edizioni, Pulsano (Ta), 2024, pp. 257, € 19,00.
Paolo Rausa