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Valente d’Egitto, da Specchia al Cairo

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SPECCHIA – Forse fu lo stesso disagio esistenziale ed estetico che portò Paul Gaugain (1848-1903) in Polinesia a condurre Vincenzo Valente dalla Puglia in Egitto. Peraltro, sono contemporanei (Specchia, Lecce, 1846 – Napoli, 1889).

Vincenzo Valente: fonte https://specchia.altervista.org/

Fra le dune del deserto egizio si ambientò, trovò pace e serenità, oltre che ispirazione e creatività: lavorò sodo. Tanto che la sua pittura fu decodificata sotto la voce “orientalista”.

Storia di Vincenzo Valente, nato a Specchia da una famiglia bene. Che l’Egitto ha deciso di commemorare con una personale. Intanto i discendenti hanno donato una sua opera al Museo “Sigismondo Castromediano” di Lecce.

Sin da piccolo, ebbe un’inclinazione per la pittura. La famiglia lo assecondò, lo mandò a studiare nella vicina Diso, dal maestro Giuseppe Buttazzo, che prediligeva i soggetti sacri (calvari e Santi soprattutto).

In possesso dei primi rudimenti tecnici, la famiglia lo mandò all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Nell’ex capitale del Regno delle Due Sicilie, entrò in contatto con la scuola che faceva del realismo i suoi paradigmi estetici e artistici. Che lo influenzò molto.

Le sue prime opere, infatti, risentono fortemente dei codici di un verismo istintivo al limite della crudezza.

Affascinato dai viaggi e ansioso di “contaminazioni” con altri popoli e culture, iniziò con l’Africa. Inevitabile che i soggetti delle sue opere mutassero privilegiando paesaggi, scene di vita, persone.

Dopo aver vagato per un po’, scelse l’Egitto come dimora. Prima Alessandria, poi il Cairo. Qui entrò in sintonia con gli ambienti e le popolazioni. Molto apprezzato, tanto da diventare pittore alla corte di Ismail Pascià, sovrano e mecenate, amante dell’arte.

Vincenzo Valente, olio su tavola. Fonte: https://www.valerioterragno.it

Valente si accorse della luce, violenta e dolce allo stesso tempo, la stessa della sua terra natia, che illuminava volti e paesaggi.    

Aprì la sua “bottega” e fu chiamato ad abbellire il palazzo del Khedivè.

Negli stessi anni, ci fu una svolta nella sua vita sentimentale: incontrò Josephine Garnier, una ragazza francese che militava nella “Société Française de Bienfaisance et de Secours Mutuels du Caire”.

Dal loro amore nacque Giuseppe, che fu portato a Specchia e affidato ai nonni per curarne la formazione.

Ma presto il rapporto entrò in crisi e la ragazza se ne tornò in Francia. L’artista invece rimase in Egitto e si immerse nel lavoro, sia a corte che nell’atelier.

Senza tuttavia scordare la terra d’origine, sentimento testimoniato da un fitto scambio epistolare con Specchia. Dove parlava della sua attività artistica, ma anche della situazione politica del Paese che lo aveva “adottato” e stregato.

E’ il periodo dell’inaugurazione del Canale di Suez (1889), la cui eco divenne il soggetto di alcune sue opere. Il 24 dicembre del 1871, al Cairo, ci fu la prima dell’Aida di Verdi: Valente fu anche un appassionato del bel canto.
Nel 1889 si ammalò e per curarsi dovette abbandonare repentinamente la città, lo studio, la produzione.

Vincenzo Valente, acquerello. Fonte https://www.valerioterragno.it

Durante il tragitto, la sua salute si aggravò, tanto che invece di scendere a Brindisi, prosegui per Napoli.

Sentendo la fine ormai prossima, scrisse a Specchia pregando la famiglia di continuare a prendersi cura di Giuseppe e di recarsi, quanto prima, al Cairo per recuperare tutta la sua produzione.

Entrambi i suoi ultimi desideri furono esauditi. Le opere recuperate e custodite con amore.

Valente morì a Napoli in quello stesso anno. Aveva solo 43 anni. Oggi lo riscopre sia la sua patria d’origine che quella d’adozione. E anche Specchia e il “suo” pubblico.

Francesco Greco

Maggiori informazioni e immagini su:

https://www.valerioterragno.it/artisti-salentini/196-valente-vincenzo

https://specchia.altervista.org/vincenzo-valente-pittura-come-avventura-di-vita/

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