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Appunti sull’origine e la Storia di Montesardo: Monte aspro o Monte di Artos?

Ogni giorno la realtà ci offre degli input che ci spingono alla rivisitazione della Storia. Essi possono arrivare da una traccia monumentale d’improvviso affiorata, un segno cartaceo emerso da qualche parte, una parola o un’espressione gergale enucleata dall’oralità popolare. Basta niente e occorre rimettere mano e revisionare quel che sino a ieri si credeva intoccabile e definitivo.

Per molto tempo si é creduto che Montesardo non avesse Storia, che fosse cioè molto recente, di origine medievale. Ora l’errore è stato riparato e anche a causa di alcuni ritrovamenti archeologici che risalgono agli anni ‘’90, si è ammessa l’origine più indietro nel tempo: forse messapica se non vogliamo risalire ancor più indietro, per dire di un passato di cui pure ci sono testimonianze archeologiche. C’è chi sostiene che Messapi furono una popolazione indigena, chi che vennero a ondate dal mare, un pò dall’Illiria un po’ da Creta. Probabilmente un ceppo locale si è ibridato con le popolazioni provenienti da Sud-Est e protagoniste di continue trasmigrazioni.

Resti di mura messapiche a Montesardo (Foto di Marco Cavalera)

Il nome di Montesardo in quell’epoca dovrebbe essere Ananduso, e in alcuni passaggi forse anche Vetuso. Un’altra querelle costante fra gli studiosi è la collocazione della mitica città di Hyria. C’è chi la vorrebbe a Oria e chi a Vereto. Ma si affaccia anche un’altra ipotesi: che la “capitale” della Confederazione di 13 città messapiche nel Salento meridionale, da Bastae ad Alixia passando per Ozan, sia proprio Ananduso. Che potrebbe anche essere stato il luogo dove aveva sede la zecca. A tal proposito ci sovviene un modo dire, che forse è un’epigrafe delle poche che i Messapi hanno lasciato, giunta sino a noi: “L’oro di Ananduso  / a Vereto sta chiuso”. Cosa vuol dire? C’è comunque anche un’ipotesi diametralmente opposta: che la zecca fosse ubicata a Vereto.

Ma il relativismo sfiora anche il nome del paese. Sino a ieri si è guardato al toponimo dal lato geografico, traducendolo, nei vari passaggi storici e culturali, appunto guardando la sua posizione. Trachion Oros e Trachina per i Greci e Mons Arduus per i Romani: più o meno significano la stessa cosa, terra in monte aspro, e circa 200 m. slm lo giustificano pienamente. Ma osservando attentamente il toponimo e collegandolo a una vocazione della gente del paese, ecco che appare d’incanto un’altra ipotesi, forse suggestiva, ma che potrebbe essere reale.
E se non fosse Monte arduo, aspro, ma Monte (di) Artos? Questi fu uno dei tanti condottieri, “duce” del popolo fra due mari. Non uno, ma una dinastia,e quindi ce ne furono parecchi con lo stesso nome. “Artos” in greco vuol dire “pane”. E la gente di Montesardo non è forse soprannominata, da tempo immemorabile, “manciafucàzze” (mangiatori di focacce)? Tuttoggi esiste una fortissima tradizione legata appunto alla panificazione. Antica di secoli. Anzi, nel XXI secolo s’è affievolita, pur rimanendo di tutto rispetto. Basti pensare ai numerosi forni ancora esistenti. Che nel tardo Medioevo dovevano essere molti di più. Qui in quel periodo – notizie fornite dai vecchi fornai – fu inventato il famoso “biscotto della salute”, servito ai malati perché assai sostanzioso essendo fatto con molte uova. E’ rettangolare, lungo 10-12 cm. e largo 3-4. La fantasia dei fornai inventò poi la variante di forma circolare ricoperto di zucchero. Ancora più di rinforzo: ci veniva dato dalle mamme quando eravamo piccoli a colazione la mattina, “per lo sviluppo”. Non basta: una delle divinità messapiche fu Demetra Megalartia (dai grandi seni). Grandi e morbidi appunto come forme di pane. Forse venerata anche ad Ananduso. Esiste ancora oggi un piazzale, all’uscita sud del paese (la via per Leuca) dove si presume sia stato un luogo di culto: che qui ci siano stati riti religiosi e iniziatici seguiti da folle, e nella stessa area emerse, anni fa, una cavità ipogea con nicchie scavate nella roccia su più livelli, che fece pensare a un osservatorio astronomico: forse è “soltanto”, appunto, un luogo di culto e in quelle nicchie prendevano posto le piccole icone venerate all’epoca: c’era anche Demetra? Probabilmente pre-messapico di popoli politeisti. La zona si chiama “Trasimùnnu”, nome di per sé evocativo di incontri di civiltà, fusione di etnie, mondi contaminati.

Sono tutte ipotesi, forse suggestive, collegamenti al limite della forzatura filologica, e pertanto bisognosi di verifiche, come si suol dire, “sul campo”.

La parola passa agli studiosi. Come si dice: il dibattito è aperto.

Francesco Greco


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