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Emigrazione: a Racale il Museo delle Serre Salentine

RACALE (Le) – “Mio caro figlio propio ogi mimetto…”. La lettera (foto), destinazione Argentina, partì da Collepasso (Lecce), il 19 1964 (non si capisce il mese). Mittente: una contadina che al genero, che chiama figlio, chiede notizie sulla morte della figlia. L’ha trovata Marina Gabrieli, appassionata ricercatrice delle infinite facce del fenomeno migratorio (in particolare del turismo delle radici, sui cui sta intessendo un interscambio fra Italia e Argentina).


E una delle maxi foto (in b/n) alle pareti del primo piano del bellissimo Palazzo D’Ippolito, nel cuore della città vecchia dell’operosa Racale, fra la chiesa dell’Immacolata (1677) e i vicoletti dove inciampi nella sede del comitato festa San Sebastiano (il protettore). In passato, informa Liberato, che qui è un personaggio, memoria storica, fu scuola, poi sede del Comune. Poi ci sono gli emigranti seduti davanti alle baracche, un giovane barbiere che taglia loro i capelli (foto), un altro che, orgoglioso, si è fatto fotografare nella bottega di calzolaio che ha aperto (l’arte imparata al paese, forse dal padre, e messa da parte per la bisogna). Fra Europa (Svizzera) e le Americhe (Argentina soprattutto). Racale, è il caso di ricordarlo, pagò un tributo tristissimo al rogo di Marcinelle (8 agosto 1956, lo sa tutto il mondo, solo la Regione Puglia lo ignorava, e infatti ha ancorato al 9 la giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo): un suo figlio, Pompeo Bruno, giovassimo emigrante in Belgio, nell’incendio della miniera, si dissolse: al paese andò un scena un funerale surreale, i famigliari inumarono al camposanto una bara vuota.

E infatti, dopo l’inaugurazione è andato in scena un commuovente spettacolo teatrale sul tema, con l’ex Koreja Fabrizio Saccomanno, attore bravissimo. In una nicchia una grande valigia di cartone, rettangolare, e un’altra tonda. Sono scrostate, ancora piene di polvere: evocano viaggi, ricordi, destini. Taglio del nastro del giovane sindaco Donato Metallo, preghiera del prete, messaggi augurali da Sion (CH) di Domenico Mesiano, presidente dell’Associazione Italia-Vallese e del Comitato “Mattmark 1965-2015” che sta commemorando il mezzo secolo dall’altra sciagura dell’emigrazione che costò la vita a 88 lavoratori, di cui 56 italiani, 3 salentini (Gagliano, Tiggiano, Ugento). Toni Ricciardi ha appena pubblicato per Donzelli la ricostruzione dei fatti, “Morire a Mattamark”.

Vecchi e bambini, una folla commossa all’inaugurazione del Museo-Laboratorio dell’Emigrazione delle Serre Salentine: una quieta trasmissione di memoria dai vecchi ai giovani, radici che tornano a galla, identità che si rafforzano Scampoli di racconti, esperienze, avventure: Fernando Falco (Tuglie) ha lavorato al Cern di Ginevra e ha imparato tutte le lingue: dopo 44 anni è in pensione da qualche anno. Ricorda il referendum anti-stranieri di Schwarzenback (1970), i tempi di “geschlossen italien” (“Pane e cioccolata”, di Franco Brusati, con un superbo Nino Manfredi) a quando sul treno si faceva pipì in una bottiglietta di birra: la “ritirata” era piena di valige. “Tutto cambiò nel 1982, quando in Spagna diventammo campioni del mondo…”. E Grazio Leopizzi (Alezio), anche lui pensionato: è tornato ancora giovane e ha fatto l’applicato di segreteria.

A questo Gal (Gruppo Azione Locale) fanno riferimento paesi ricchi di terra, vigne, uliveti, patate: oltre a Tuglie e Alezio, Alliste, Casarano, Collepasso, Galatone, Gallipoli, Matino, Melissano, Neviano, Parabita, Racale, Sannicola e Taviano. Paesi che stanno tornando all’agricoltura di qualità e cercano di sfruttare il turismo, dopo il fallimento delle pmi del “tac” di prima generazione.

Palazzo D'Ippolito (Racale)

Palazzo D’Ippolito (Racale), Fonte: corrieresalentino.it

Giovani mamme col passeggino entrano nell’ampio salone ben arredato e salutano: “Buonasera!”. Vecchie che si fanno portare in sedia a rotelle. La memoria dell’emigrazione qui è sempre viva. Bambini curiosi si fermano assorti davanti alle foto. In questa area territoriale, i flussi migratori hanno una storia secolare: iniziata fra fine Ottocento e inizi Novecento, quando si partì per l’Argentina , gli Stati Uniti, Brasile e successivamente in Europa: Svizzera, Belgio, Francia e Germania.

Altro flusso intenso nel secondo dopoguerra: stessi paesi appena citati, a cui si aggiunse anche l’Australia e successivamente (anni Sessanta), Milano, Torino, Triveneto. Dal 1861 a oggi, si calcola che non meno di 210 milioni di italiani si sono sparsi nel mondo. Oggi i pugliesi all’estero si aggirano intorno ai 400mila.

Un fenomeno che i governi di ogni colore hanno sempre sottovalutato. Ogni italiano all’estero è un testimonial dei prodotti della sua terra, ma i politici che fanno passerella non lo sanno. L’emigrante può rientrare dai paesi di accoglienza solo per la pensione o per fare un investimento: nei concorsi pubblici non ci sono quote a loro riservate. Per dire solo due delle tante incongruenze.

Ma la Puglia è una terra misteriosa: i Gal (questi soldi sono spesi bene, come per altri progetti da altri Gal), la Notte della Taranta, l’Enaip, l’Ascla, i Cvs, ecc. ricevono finanziamenti pubblici (Ue, Stato e Regione che cofinanziano, ecc.), ma la gestione ai più appare privata, nel senso che pochi intimi accedono ai bilanci, sanno come sono spesi denari che sono di tutti. Mistero anche su come sono fatte le assunzioni: quali i criteri usati nei recruiting? Altri enigmi: la formazione professionale e il volontariato. Qual’è stata la ricaduta sui territori dei corsi di formazione in questi ultimi anni, a fronte dei corposi investimenti? Quanti ragazzi si professionalizzano con i corsi Enaip, Ascla, Cvs, ecc. e dove trovano occupazione? Trasparenza, no?

Francesco Greco


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