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Liborio e Giuseppe ROMANO. La nascita dello Stato italiano e la difesa del Mezzogiorno (Elezioni – Atti Parlamentari – Allegazioni giuridiche)

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Aggiornato il 30 Ottobre 2025

Tempo di lettura: 13 minuti

A vent’anni dalla pubblicazione (1996) del volume: Il Personaggio Liborio Romano. Precisazioni bio-anagrafiche. Contributo all’epistolario, ritorno volentieri e con piacere a scrivere di Liborio Romano, ma anche del fratello Giuseppe, non solo per assolvere ad una promessa fatta ai lettori, ma anche perché in questi anni si è sviluppato un dibattito davvero notevole nei confronti del deputato di Patù che ha visto una serie considerevole di studiosi impegnati a chiarire l’operato politico e professionale di un protagonista del nostro Risorgimento. Vent’anni, per la verità, possono sembrare pochi se rapportati agli oltre 220 che intercorrono dalla nascita (1793) ed ai 150 dalla morte (1867) dell’illustre cittadino di Patù; ma possono, invece, se si valutano attentamente le ricerche e gli studi compiuti, essere un prezioso contributo per fugare dubbi, perplessità, remore e, perché no, anche per meglio conoscere giudizi storici rigorosi ed inclementi e per sfatare attacchi, offese e calunnie, rivolti con acredine e livore a Liborio Romano ed al suo operato politico.

Liborio Romano è stato l’uomo politico più discusso e attaccato del nostro Risorgimento, anche dopo la sua morte, e spesso ciò è stato fatto per pregiudizio politico o per scarsa conoscenza, a parte alcuni studiosi. Fra questi merita di essere ricordato Guido Ghezzi che, così scrive di se stesso nella Introduzione al Saggio storico sull’attività politica di Liborio Romano del 1936: “Un lavoro pertanto condotto con serenità di spirito e con abbondante materiale inedito non riuscirà inopportuno non solo per giudicare di un uomo, che ebbe parte non piccola negli avvenimenti politici del Risorgimento, ma anche perché alla figura e all’azione del Romano si intrecciavano fatti, idee e programmi politici di governo, in uno dei momenti decisivi di quel periodo, quando si attuava cioè l’unificazione dell’Italia meridionale al resto d’Italia”.

Pertanto, a far data dal 1996, che consideriamo come apripista, facendo riferimento alla nostra ricerca che, come ebbe a precisare Alessandro Laporta, ha avuto il merito di aver risolto “Una volta per tutte questo primo e nemmeno poi tanto insignificante, problema anagrafico, si è dedicato con tenacia e puntigliosità Francesco Accogli, che ha potuto finalmente fissare la data di nascita del ministro di Patù al 27 ottobre 1793, mettendo da parte le altre (più spesso il ’94 ma anche il ’95 o il ’98) che pure molti (compresa la Enciclopedia Italiana Treccani) proclamavano e ripetevano passivamente”.

In questi ultimi vent’anni, gli studi e le pubblicazioni sull’illustre salentino di Patù sono stati davvero consistenti. A questo proposito hanno contribuito, fra l’altro, la storica ricorrenza, nel 2011, del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ma soprattutto l’interessamento dell’Amministrazione Comunale di Patù ed in particolare il contributo continuo e lodevole dell’Associazione Culturale “don Liborio Romano” di Patù (presidente l’instancabile Giovanni Spano), che con la presenza del sito web: www.donliborioromano.it, la e-mail: [email protected] e le diverse iniziative promosse per meglio conoscere Liborio Romano, hanno risvegliato un singolare interesse che ha prodotto ulteriori e più approfondite ricerche, con l’utilizzo anche di nuove fonti e documenti e con una libertà d’animo ed una serenità di giudizio scarsamente presenti nel passato.

Ricordiamo, a questo proposito, il volume a cura di Mario Spedicato: “… giudicate sui fatti”. Liborio Romano e l’Unità d’Italia, nel quale è doveroso registrare il contributo degli studiosi Vittorio Zacchino, Mario De Marco, Luigi Montonato, Salvatore Coppola e Fabio D’Astore. Il prof. Spedicato nella Prefazione, fra l’altro, precisa: “(…) Se si vuole comprendere in profondità il comportamento politico del Romano nei mesi cruciali di passaggio di regime, bisogna uscire dagli schemi imposti dalla pubblicistica vecchia e nuova e offrire un contesto di lettura ampio e privo di venature ideologiche sedimentatesi nel tempo. Non si può dipingere il personaggio con giudizi sommari, affibbiandogli epiteti (camorrista, camaleonte, doppiogiochista, trasformista, ecc.) che sembrano costruiti più per chiudere un discorso e non per aprirlo e rileggerlo alla luce di nuovi documenti e di ricerche mirate a riscrivere alcune pagine di storia non dettate dal pregiudizio”.

Ed anche quanto precisato recentemente da Giancarlo Vallone in un saggio su Liborio Romano: “ (…) Quel che sperano di negargli è, appunto, l’accesso alla storia, il diritto alla memoria; e lo fanno con evidente successo, perché Romano per interi e lunghi decenni – interrotti solo di recente – è scomparso dalla storia dell’unione di Napoli all’Italia, o vi ha ottenuto una dimensione per nulla consona al ruolo da lui effettivamente prestato in quella stagione. Questo oblio, così diverso da quello da lui auspicato, gli è stato prontamente comminato dai suoi nemici meridionali e ex esuli o, per ironia, ‘martiri’, come Bonghi e altri, ma in particolare da Massari, con la accusa di “improbità politica” contenuta nella interpellanza svolta appunto dal Massari il 2 aprile 1861 nel Parlamento torinese e in assenza di Romano…”.

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Il volume che abbiamo dato alle stampe ha per titolo: Liborio e Giuseppe Romano. La nascita dello Stato Italiano e la difesa del Mezzogiorno (Elezioni – Atti parlamentari- Allegazioni giuridiche). La ricerca si riferisce sia a Liborio che a Giuseppe Romano, il primogenito e l’ultimo dei maschi della famiglia di Alessandro Romano e di Giulia Vita Maria Maglietta.

Il lavoro è strutturato in cinque parti.

Nella parte prima: – Note storico-geografiche su Patù in Terra d’Otranto ed informazioni storico-bio-bibliografiche sulla famiglia Romano si è voluto dare poche, ma indispensabili notizie sulla piccola patria dei Romano, Patù in Terra d’Otranto, conosciuta in Italia e nel mondo per la famosa Centopietre, pregevole monumento antico e singolare costruzione di forma rettangolare, e per aver dato i natali a Liborio e Giuseppe Romano, deputati e avvocati principi del foro napoletano. Si è colta l’occasione, altresì, per informare sull’intera famiglia Romano: dall’antenato Romanov, di origine russa, al padre Alessandro e al fratello Angelo, celibe, che svolse un ruolo importante nella famiglia dopo la morte di Alessandro (17.04.1846), alla madre Giulia Maria Vita Maglietta, nobildonna nativa di Marittima ed imparentata con i Romano, e ai figli Liborio, Gaetano, Giovanni e Giuseppe e alle figlie Elisabetta, Marta e Rosa. Per la prima volta, credo, si è completato il quadro della famiglia Romano di Patù, fornendo notizie ed informazioni su tutti i componenti e non solo sul più noto e discusso Liborio.

La parte seconda: – Il pacifico trapasso dei poteri e la nascita dello Stato italiano. Elezioni e documenti parlamentari della VIII legislatura (1861-1865) inizia con le elezioni politiche del 1848 nel regno delle Due Sicilie e le candidature di Liborio e Giuseppe Romano che non vennero eletti deputati. Si precisa poi, con la necessaria documentazione, il ruolo svolto da Liborio Romano, sia come prefetto di polizia che da ministro dell’interno, nel salvare Napoli e le province meridionali da una guerra civile che avrebbe sicuramente provocato conseguenze irreparabili. Il prefetto-ministro Romano ebbe il merito di evitare una guerra fratricida e di aver iniziato “l’unione di queste province meridionali con le settentrionali, la quale dell’Italia, un tempo divisa e schiava, debbe formare una nazione compatta, libera e indipendente”, mettendo così le basi per la nascita dello Stato italiano. Si forniscono notizie dettagliate sulle elezioni politiche del 1861: Liborio riuscì eletto in ben otto collegi elettorali e Giuseppe fu eletto nel collegio di Gallipoli. Seguono gli atti parlamentari di Liborio e i documenti a stampa di Giuseppe relativi entrambi all’VIII legislatura, fondamentali per conoscere l’impegno politico e parlamentare dei fratelli Romano.

La parte terza: – La difesa del Mezzogiorno. Elezioni e documenti parlamentari della IX legislatura (1865-1867) mette a fuoco un problema molto dibattuto: il contributo del fratelli Romano alla questione meridionale. Nel capitolo “Meridionalisti ante litteram” si evidenzia, sempre con la necessaria documentazione e con la citazione di diversi ed apprezzati studiosi dell’argomento, come a Liborio Romano, fra le tante preoccupazioni, quello che stava particolarmente a cuore era il problema sociale ed economico del Mezzogiorno, che non aveva dimenticato nemmeno quando urgeva la risoluzione del fondamentale problema politico. Liborio Romano è senza dubbio il primo dei nostri uomini politici, che abbia inteso, al di là delle contingenti vicende politiche, la vera essenza del problema meridionale, che, lasciato alle incurie dei governi, si trasformò nei decenni nella questione meridionale. Spesso egli era solito ripetere ad amici e conoscenti: <<Maledirà la storia a coloro che sono gli autori dei mali che affliggono le provincie meridionali>>.

Le riforme sociali intuite da Liborio, raccolte, meditate, ordinate, divennero il programma di Giuseppe. <<Non eravamo noi popolo preso, cioè conquistato… ci eravamo riuniti alle altre province per fare l’Italia, non per subire l’egemonia e la burocrazia del Piemonte… in un paese che ha versato tanto sangue per abbattere il dispotismo borbonico ed il clericale, e che aveva tanto diritto a sperare un governo riparatore del suo triste passato… hanno spento il prestigio delle libere istituzioni e creato una estrema e generale male contentezza>>.

Nelle elezioni politiche del 1865 Liborio venne eletto nel collegio di Tricase e di Napoli, Giuseppe venne eletto di nuovo nel collegio di Gallipoli. Seguono gli atti parlamentari di Liborio e i documenti a stampa di Giuseppe relativi entrambi alla IX legislatura che riguarda gli anni dal 1865 al 1867.
La parte quarta: – L’impegno politico e parlamentare di Giuseppe Romano. Elezioni e documenti parlamentari delle legislature X (1867-1870), XIII (1876-1880), XIV (1880-1882), XV (1882-1886) e XVI (1886-1890), abbraccia un arco di tempo di ben 23 anni nel quale si evidenziano sia la partecipazione alle elezioni politiche di Giuseppe Romano, prima eletto deputato nel collegio di Tricase nel 1867, nel 1876 e nel 1880 e poi nel 1882 e nel 1886 eletto nel collegio di Gallipoli, sia i diversi e numerosi documenti a stampa che riproducono gli interventi parlamentari del deputato di Tricase e di Gallipoli.

Era bello vedere questo vecchio, dopo aver dato meglio che cinquant’anni alla redenzione civile della patria, consacrare gli ultimi trenta alla redenzione sociale, con una fede non trovabile in tanti giovani o proni innanzi ai ministri o sudanti nella lotta dello scaleo. Tutti i discorsi di Giuseppe, per venti anni nella camera elettiva e nelle pubblicazioni, ebbero un solo intento – il miglioramento delle plebi – memore del monito di Rousseau, che ‘quando il povero non avrà altro da mangiare, mangerà il ricco’.

Né Giuseppe proponeva in astratto le riforme sociali, ma indicando, col senso del giurista e col metodo dell’uomo politico, uno ad uno tutti gl’istituti capaci di trasformarsi a pubblico meglio e segnatamente delle plebi .

(Cfr. G. ROMANO, Memorie Politiche di Liborio Romano e scritti politici di Giuseppe Romano, Napoli, R. Tipografia Francesco Giannini & Figli, Strada Cisterna dell’Olio, 1894, pp.VII- VIII).

La parte quinta: – Allegazioni giuridiche di Liborio e Giuseppe Romano, chiude il volume e si riferisce all’attività professionale dei due fratelli quali avvocati principi del foro napoletano. Segue l’elenco delle allegazioni giuridiche di Liborio relative ai soli anni 1830 e 1863 e quelle di Giuseppe dal 1839 al 1854. A questo proposito, sento il dovere di ringraziare la dott.ssa Alessandra Romano, nipote, discendente della famiglia di Gaetano, per avermi fornito l’elenco delle allegazioni presenti nel volume. Ci scusiamo con i lettori se non siamo riusciti a pubblicare integralmente tale elenco.

Delle allegazioni giuridiche, tutte importanti, per diversi motivi, abbiamo scelto di pubblicare la seguente: Discorso per Alessandro ed Angelo Romano pronunziato (il dì 3 febbraio 1842) alla udienza della IV Camera del Tribunale Civile di Napoli da Giuseppe Romano, perché in essa vi sono interessanti notizie ed utili informazioni su Alessandro Romano e sull’intera famiglia.

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Ne dare alle stampe il lavoro, riteniamo onestamente di averlo svolto con serenità d’animo e senza pregiudizi e preconcetti. Come è nostra consuetudine abbiamo cercato, quanto più possibile, di far parlare i documenti rintracciati, i quali restano sempre e comunque la fonte prima ed indispensabile per qualsiasi utile, corretta e positiva ricerca.

Ringraziamo, infine, tutti coloro che hanno contribuito e permesso, in diverso modo, la pubblicazione del presente lavoro sui fratelli Liborio e Giuseppe Romano, che meritano, al di là delle diverse appartenenze ideologiche, politiche e culturali, tutto il nostro apprezzamento e la nostra gratitudine per l’impegno politico e parlamentare profusi nel corso della loro travagliata e difficile esistenza.

Francesco Accogli


“Ringraziamo… augurandoci di potere, nel prossimo futuro, intervenire con altri documentati lavori, sull’illustre e prestigioso conterraneo”. Così concludeva la sua Introduzione al volume Il personaggio Liborio Romano Francesco Accogli nel 1996, ed oggi, a poco più di vent’anni da quel necessario, oltre che tempestivo, contributo, ecco mantenuta la sua promessa. Egli scriveva – più esattamente – di un “primo volume” limitato alla biografia (con la doverosa messa a punto sull’esatta data di nascita) all’epistolario e ad un cospicuo corredo di documenti, lasciando il lettore in attesa di un seguito che ora giunge, ancora più opportuno dell’altro, in un momento cruciale degli studi sul ministro di Patù. Basta infatti dare un’occhiata alla bibliografia di settore, per accorgersi subito di come dagli scritti pionieristici di inizio ‘900 (praticamente fino al fondamentale Saggio storico di Guido Ghezzi datato 1936) attraverso una graduale “riscoperta” degli ultimi decenni del secolo, si passi direttamente alla nuova stagione di questo terzo millennio, in cui il dibattito è stato riaperto e gli studi, orientati a ben più scientifica e impegnativa dimensione, vanno disponendosi, direi, in ordine logico ed ogni volta con sostanzioso incremento, nello scacchiere risorgimentale della nostra storia. Passato, in quasi totale silenzio, il 150° della morte, siamo ora al momento della “svolta”, annunciato dal fortunato ritrovamento di un singolare profilo inedito firmato da Sigismondo Castromediano e rappresentato da questo secondo ben più ponderoso contributo storiografico.

Francesco Accogli, che ne è l’autore, serio e collaudato, ha condensato nelle circa 500 pagine che seguono, quelli che sono in realtà due libri, alla maniera degli antichi, uno per Liborio Romano, uno per suo fratello Giuseppe, presentandoli insieme per motivi di praticità: frutto di ricerche difficili e laboriose, ricche di documenti e di scritti originali, cui ha dato una successione cronologica ferrea ed indispensabile all’economia dell’opera. Ed ha in più affidato, tesi che mi sento di condividere pienamente ed apprezzare particolarmente, l’interpretazione del personaggio Liborio, e si potrebbe intendere sia da un punto di vista politico, sia da un punto di vista teatrale, al fratello Giuseppe, come è detto immediatamente nel titolo e come è ribadito continuamente nell’esposizione dei fatti.

É stato già detto, ma giova ripeterlo, in una illuminata pagina, da Ruggero Moscati, che non si tratta di giudicare per emettere una sentenza contro o a favore, bensì di comprendere: “Ma uno studioso, più che prendere posizione, deve studiarsi di comprendere e, per giungere alla comprensione, deve sentire presenti, ‘contemporanei’ a sé, gli avvenimenti e le figure cui si accosta per coglierne il segreto. E alla comprensione la nostra generazione ha ormai più facile la via”. Il modo migliore per farlo, questa la proposta di Accogli, è recuperare integralmente e dettagliatamente la figura di Giuseppe, che si pone in palese continuità con l’operato di Liborio: non si può comprendere l’uno insomma senza avere innanzi a sé, tutto intero, l’altro. Parte da molto lontano l’autore, dai patri scrittori della tradizione locale, da Tasselli a Marciano da Arditi a De Giorgi, per fornire notizie sul Salento e sul paese natale, Patù, e i suoi dintorni, indugia sulla storia della famiglia Romano con meticolosità cancelleresca, e punta al nocciolo, alle origini della questione meridionale, alla difesa della identità del Mezzogiorno, che fu per Liborio una prova durissima, per Giuseppe una altrettanto dura missione.

Scrivevo, nella mia Prefazione del ’96 – è infatti la seconda volta che l’amico e collega Accogli mi invita a presentarlo – di “dossier” e di prima parte di una trilogia: devo in qualche modo ripetermi, ma in più vorrei aggiungere che questa raccolta di documenti veramente straordinaria (e l’aggettivo, di cui frequentemente si abusa, riacquista qui il suo reale significato) non solo rappresenta una novità che definirei necessaria – mi riferisco in modo particolare al corpus degli Atti Parlamentari – ma si connota come una specie di “grido di dolore” – mi si passi l’ardito e forse irrispettoso accostamento risorgimentale – sui problemi, sempre molto gravi, del sud. Purtroppo è facile, rileggendo alcune pagine del volume che ripropongono quegli interventi, pensare alle vicende della nostra prima e seconda repubblica, perché se ne possono osservare le lontane scaturigini, e rivedere, come in filigrana, pregi e difetti dei politici “made in Italy”: testi come la lettera a Cavour, divenuti inutilmente famosi, o altre lucide ricostruzioni che danno l’impressione di ascoltare la viva voce dei due salentini del Capo di Leuca, commuovono e risultano di un’attualità davvero sconvolgente. Ma il messaggio, come tutti sappiamo, era destinato a rimanere inascoltato.
Aveva scritto Pier Fausto Palumbo in Studi Salentini del ’63: “Gli scritti politici del Romano andrebbero riediti: e si dovrebbe aprirne la raccolta con una sola delle sue tante allegazioni giuridiche, la ‘memoria’ sulla questione degli zolfi del 1820…proseguirla con la relazione del malgoverno del Cito in Terra d’Otranto; ma il nerbo non potrà che esserne costituito dalle Memorie…e dai documenti (come l’esauriente ed acuta lettera al Cavour sulla realtà delle condizioni del Mezzogiorno, le pagine certo migliori che ebbe mai a scrivere) da lui redatti…E avremo allora quel che resta, a un secolo di distanza, del più discusso uomo politico dell’800 meridionale”.

E Raffaele Colapietra in una partecipata recensione al libro di Accogli datata marzo 1996 aveva aggiunto: “Mi permetterei di consigliare agli amici salentini di condurre in parallelo a questa ricerca sul Romano quella sul fratello Giuseppe, che per tanti anni continuò a recare alla Camera la voce di un liberalismo quarantottesco con tutta probabilità elaborato a fianco del fratello, e circa il quale si amerebbe conoscere molto di più”. Si può dire che questi preziosi suggerimenti abbia fatti propri l’autore affrontando il suo elaborato progetto di ricerca. Prima di tutto superamento dei tanti luoghi comuni accumulati su don Liborio, fra i quali l’epigrafe di Bovio (di cui vi sono due versioni con alcune varianti), i velenosi epigrammi di D’Urso, la definizione cavouriana di “miglior testa del Regno”, l’aneddoto borbonico dell’attento al collo (la cui ombra si spinge fino al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa).

Quindi dettagliata analisi dei dati biografici disponibili e del comportamento (mi rifaccio ancora a Moscati: “Vi sono figure destinate ad accompagnare le grandi svolte della storia…uomini che badano alle cose più che all’apparenza e che, servitori dello Stato, si sacrificano, senza preoccuparsi se il loro gesto – necessario – possa offuscare o meno la loro figura politico-morale”). In aggiunta l’intera attività parlamentare, esigua, come è noto, per Liborio, corposa, in virtù della durata ultraventennale, per Giuseppe: e tutto questo senza trascurare l’esercizio della professione, qualitativamente di livello alto e sorprendente non solo per i collegamenti che ora potranno farsi disponendo dell’elenco delle allegazioni (una curiosità, la causa contro Degas, famiglia cui appartenne il grande pittore Edgar, che soggiornò a Napoli nel 1854) ma per le sollecitazioni allo studio della progressiva affermazione, anche sociale, dei fratelli avvocati, fino al momento dell’unità. Si tratta infatti di una delle radici più vitali fra quelle che ne compongono la personalità, tramandata in famiglia per più generazioni, aderente ad una tradizione di spiccata matrice regnicola e napoletana.

In conclusione, per addentrarsi nello studio della difficile fase di transizione dal Regno delle Due Sicilie al Regno d’Italia, che vide protagonisti Garibaldi Cavour e Vittorio Emanuele, supportati dall’azione efficacissima di Liborio Romano, si dovrà fare ricorso da oggi in avanti anche a questo volume di Francesco Accogli, ponderoso non solo nell’aspetto esteriore; e se si vorrà indagare sulla “nascita dello Stato italiano” prendendo in considerazione la precoce azione dei fratelli Romano in “difesa del Mezzogiorno” (come è puntigliosamente precisato nel titolo scelto dall’autore) non si potranno ignorare le pagine che seguono, scaturite da uno studio paziente ed appassionato durato molti anni.

Molto acutamente fu Francesco Mastriani, il romanziere per eccellenza della Napoli romantica, che piaceva anche a Matilde Serao, a far centro su Liborio Romano, da lui elogiato come “tratto d’unione tra l’antico e il nuovo”: l’antico e il nuovo che ritroviamo in un bellissimo libro di Gino Doria (Mondo vecchio e mondo nuovo con riferimento all’Europa e all’America) lo stesso Antico e il Nuovo di un giornale napoletano del fatidico ’48 (altra tappa fondamentale del processo unitario). Mastriani, che studio da anni, lo chiama “l’uomo dei tempi, l’uomo della provvidenza, eroe di patriottismo e di abnegazione inimitabile” e si spinge fino a definirlo colui che “per tre mesi era stato, per così dire, il vero re di Napoli”. Poche parole che fanno giustizia di un lungo immeritato oblio. E poiché ho fatto ricorso ad un romanziere, in limine, mi sia consentito di richiamarne un altro, di parte borbonica, e per questo non apprezzato dalla critica e bollato di revisionismo, ma a mio modesto parere incisivo al pari di un Tomasi di Lampedusa. Voglio dire di Carlo Alianello, che nel suo Alfiere afferma del Nostro, esplicitamente, “che grande uomo!” ed inserisce in altro luogo del romanzo questo dialogo fra il protagonista ed il padre, barone e “commendatore dell’ordine di S.Giorgio”: “Senti a me, Pino, senti a papà. Anche tu dici Italia e Italiano come quelli di là, quelli dell’altra parte. Si comincia così…perchè Italia è una parola bella, una cosa grande. Ma pericolosa. Domani forse no, ma oggi sì. Perchè oggi vuol dire ribellione, vuol dire indisciplina…Non vorrei che tu ti credessi…che il progresso non c’è e l’uomo sta immobile. Tu adesso rimani qua con questa impressione: papà è un retrogrado. Nossignore: il progresso c’è. Io ci credo. E che cristiano sarei se non ci credessi? Solo che d’una cosa sono sicuro: che il progresso non ci viene da fuori. Da dentro ha da venire…l’uomo è una bestia perfettibile con istinti ferini, ma con una coscienza che se lo lavora e tende a portarlo in alto. La tua coscienza però tu non la trovi sul “Giornale Ufficiale delle Due Sicilie” e nemmeno sulla “Gazzetta Piemontese”…in corpo ce l’hai e con lei ti devi mettere d’accordo se vuoi andare avanti o no…Hai capito? E tu il progresso vuoi? Sissignore: anche io. Sii onesto se l’onestà ti mancava, e questo è certamente un bel progredire. E se già eri un galantuomo, cerca di diventare migliore”. Sarà il caso di cercarlo qui il vero Liborio Romano, nell’intimo conflitto tra due anime, nell’incerto discrimine tra vecchio e nuovo, come aveva puntualizzato Mastriani? E le ragioni della coscienza possono essere invocate, nel generale travaglio della generazione che fu protagonista dell’unità? A cercare la risposta, basandoci su pilastri ben più solidi, un apparato documentario, come già accennato, di impressionante impatto, ci aiuta dunque, oggi, il lavoro di Francesco Accogli.

É finalmente venuto il momento anche di Liborio Romano e la pubblicazione di altri importanti libri su alcuni punti nodali del nostro Risorgimento, mi riferisco per esempio a quello, recentissimo ed assai fortunato, di Scoca sul Brigantaggio nel dibattito parlamentare (1861-1865), non sarà una pura e semplice coincidenza, ma una spia del particolare fervore che caratterizza la “svolta” cui prima accennavo. Siamo insomma di fronte a una preziosa occasione da non perdere, non solo per la storia locale, sarebbe troppo riduttivo, quanto e soprattutto per la totale riabilitazione dell’ “illustre e prestigioso conterraneo”: egli sta a cuore particolarmente ad Accogli, sta a cuore a noi salentini, ma dovrebbe stare a cuore, soprattutto, a tutti gli italiani.

Dalla prefazione di Alessandro Laporta, Società Storica di Terra d’Otranto – Lecce.

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