Liborio Romano, un meridionalista “Ante Litteram”!
E’ opinione comune che Liborio Romano, nonostante siano trascorsi ben due secoli dalla nascita, sia ancora oggi una delle figure più interessanti e significative del nostro Risorgimento. Non c’è dubbio che questo continuo interesse sia dovuto anche ad una specifica peculiarità del grande politico salentino: una personalità, quella del Romano, certamente di primo piano nella vita politica nazionale del secolo diciannovesimo. Un Uomo famoso che, ricordando la nota ode di Orazio, fu sicuramente “odiato, criticato ed osteggiato”, ma anche fortemente “amato, lodato ed osannato”.
Liborio Romano, l’uomo più discusso del Risorgimento italiano, fu un personaggio-chiave in un periodo storico difficile, tormentato, meraviglioso e glorioso quale fu quello dell’Unità d’Italia e, al tempo stesso, un cittadino abile nella politica, l’ultimo Ministro del Re di Napoli, Francesco II Borbone, al servizio del governo di una dinastia che alcuni anni prima era stata definita “la negazione di Dio eretta in sistema”. Insomma, un “novello Giano”, un “nume polifronte” come si presentava a Guido Ghezzi, uno dei più attenti e documentati studiosi e non c’è da stupirsi se ancora oggi faccia parlare di sé.
E’ noto a tutti come Don Liborio, un Salentino fortemente legato alla sua terra, un meridionalista “ante litteram”, un liberale-progressista, un autentico patriota unitario abbia subito duramente per le sue idee le più atroci sofferenze sopportando la persecuzione, il carcere, il confino e l’esilio e come per un quarantennio, dal 1820 al 1860 circa, sia stato continuamente vigilato, controllato e perseguitato. Come è altrettanto risaputo che, candidato nelle elezioni politiche del gennaio 1861 nel Regno d’Italia, sia stato il più suffragato in senso assoluto con oltre quattrocentomila preferenze ed eletto in ben otto collegi elettorali (“ … fui proclamato deputato con splendido suffragio da otto collegi, che furono quelli di Altamura, Tricase, Bitonto, Atripalda, Sala, Napoli, quartiere della Vicaria, Palata e Campobasso…”) ed in altri ancora andato in ballottaggio contro esponenti di rilievo della politica nazionale (“… In Napoli stessa, nel collegio di Montecalvario ebbi a competitore l’avvocato Filippo de Blasio, stato prefetto di polizia; ed in quel del Pendino Silvio Spaventa, allora consigliere di luogotenenza sopra la polizia, ed al quale io pregai i miei elettori che avessero dato il loro voto, essendo io stato eletto in altri collegi”). Egli, come è risaputo, scelse il collegio di Tricase, per amore al suo luogo natìo.
La sua popolarità era illimitata, a Napoli poi era il politico più amato dal popolo e dalla Guardia Nazionale. Ma era anche l’Uomo pubblico più accusato; come non ricordare le aspre accuse di “tradimento”, di “politica improbità” e soprattutto le diffamazioni e le calunnie per aver introdotto nella polizia napoletana alcuni elementi della camorra nel tragico luglio del 1860? E potremmo continuare ancora! Ma, in tutta onestà, non è questo l’oggetto principale del nostro interesse. Vogliamo solo riferire su alcune tappe fondamentali della sua vita ed accennare alla sue opere più importanti per permettere ai nostri lettori una maggiore conoscenza del personaggio Liborio Romano.
NOTA BIOGRAFICA
Liborio Romano nasce a Patù, un piccolo villaggio a pochissimi chilometri dal Capo di Santa Maria di Leuca (“Finibus Terrae”), in Terra d’Otranto, il 27 ottobre 1793 da Giulia Maglietta e da Alessandro. Liborio è il primogenito di una nobile e numerosa famiglia: Gaetano, Elisabetta, Giovanni, Marta, Giuseppe e Rosa.
Ancora fanciullo è condotto a Lecce e rimane in questa città sino al 1810 per il completamento degli studi letterari e filosofici. Nel capoluogo leccese, terra di civiltà antichissima, ha come maestro lo sfortunato poeta Francesco Bernardino Cicala, letterato di non oscura fama.
Alla fine del 1810, Liborio Romano si trasferisce a Napoli per studiare Giurisprudenza col professore Caterini. Nella scienza delle leggi ebbe la fortuna poi di avere importanti e prestigiosi docenti come il Sarno, il Giunti, il Gerardi e soprattutto due grandi maestri d’eccezione nel barone Felice Parrilli e nel professore Pasquale Borrelli.
Il Romano fu discepolo prima ed assistente poi del famoso Felice Parrilli, allora Rettore dell’Università, anch’egli fautore di idee liberali e costituzionali, nonché protettore ed amico di Liborio Romano che non cessò di aiutarlo durante i momenti più difficili della sua travagliata esistenza.
Infatti, il 9 luglio 1820, la situazione precipitò ed iniziò per il giovane docente, tanto promettente, la sfortuna della carriera universitaria; Liborio Romano venne allontanato dall’insegnamento e confinato a Patù, in Terra d’Otranto.
Relegato a Patù, prima di trasferirsi a Lecce, svolse la professione di avvocato frequentando la Pretura di Tricase e di altri centri della Provincia. Dopo due anni ottenne il permesso di trasferirsi a Lecce per esercitare meglio la professione, ma non appena iniziò, con positivi auspici, fu per disposizione della polizia arrestato e tradotto a Napoli nel carcere politico di Santa Maria Apparente, insieme al fratello Gaetano e al cugino Eugenio Romano e molti altri che erano ritenuti liberali. Erano accusati di appartenere alla società segreta degli “Ellenisti” o “Edennisti” o dei “Tre Colori”.
Finalmente liberato, rimase a Napoli, dove riprese l’esercizio della sua professione; ma su di lui la polizia esercitava sempre un’attiva e continua sorveglianza. Liborio Romano, definito “uomo veramente pericoloso”, pure avendo ottenuto la libertà, non poteva lasciare Napoli. La continua presenza, in questi anni, in Napoli gli fu molto utile ed ebbe gran parte nella preparazione dello spirito pubblico che preparò i moti rivoluzionari dal 1847 al 1848.
Nonostante non prese direttamente parte ai fatti del 15 maggio, scatenatasi con maggiore violenza la reazione, venne nel febbraio 1850 di nuovo imprigionato e ricondotto in Santa Maria Apparente. Vi rimase per altri due anni e, senza alcuna forma di giudizio, fu mandato in esilio, insieme con l’amico Domenico Giannattasio, a Montpellier in Francia. Dopo un anno si trasferì a Parigi e allacciò rapporti culturali e politici con Guizot, Lamennais, Barrot , Thiers ed altri e vi rimase dal 4 febbraio 1852 al 25 giugno 1854.
Dal 1855 al 1859 non si intese parlare di lui; visse ritiratissimo, tenendosi fuori dagli intrighi politici. Si dedicò essenzialmente alle occupazioni professionali e alle preoccupazioni familiari. Intanto il 22 aprile del 1859, morto Ferdinando II, cingeva la Corona del Regno Francesco II, suo figlio, educato a principi reazionari, digiuno di ogni cultura politica ed estraneo a quanto lo spirito dei tempi imponeva ai reggitori di un popolo.
La situazione socio-politica a Napoli precipitò e ci fu una vera e propria sommossa popolare. Venne proclamato, come è risaputo, lo stato d’assedio. Furono giorni tristi e tragici, in particolare il 26 e il 27 di giugno. In questa situazione di preoccupante emergenza, nella notte tra il 27 e il 28 di giugno 1860, Liborio Romano assunse l’ufficio di Prefetto di Polizia. Emanò immediatamente un proclama in cui esortava i cittadini a deporre ogni odio e ogni privato rancore, e a concorrere al mantenimento dell’ordine pubblico e della tranquillità.
Nonostante il lodevole e continuo impegno del Prefetto Romano, la situazione diveniva sempre più pericolosa e non si intravvedeva possibilità alcuna per fronteggiare il pericoloso momento. (“Or, come salvare la città in mezzo a tanti elementi di disordine e d’imminenti pericoli? Fra tutti gli espedienti che si offrivano alla mia mente agitata per la gravezza del caso, uno solo parvemi, se non di certa, almeno di probabile riuscita: e lo tentai”).
Cosa tentò di così importante e straordinario il Prefetto Liborio Romano?
Introdusse, in stato di necessità e senza nascondersi, alcuni esponenti della camorra napoletana nelle forze della polizia (ricordiamo i caporioni camorristi: Michele ò Chiazzere, Schiavetto, Persianaro e Salvatore de Crescenzo, detto Tore ‘e Crescienzo). Essendo stata questa sua decisione molto discussa, criticata ed anche volutamente strumentalizzata, durante la sua vita, successivamente ed a tutt’oggi, ci è sembrato opportuno riportare, in modo sintetico, le motivazioni e le spiegazioni che lo stesso Liborio Romano diede per giustificare una tale iniziativa e per difendersi anche dagli attacchi e dalle calunnie che gli furono rivolte.
“Pensai prevenire le tristi opere dei camorristi, offrendo ai più influenti loro capi un mezzo di riabilitarsi; e così parvemi toglierli al partito del disordine, o almeno paralizzarne le tristi tendenze, in quel momento in cui mancavami ogni forza, non che a reprimerle, a contenerle…
(…) Improvvisai allora, ed armai senza por tempo in mezzo, una specie di guardia di pubblica sicurezza, come meglio mi riuscì raggranellarla fra la gente più fedele e devota ai nuovi principj ed all’ordine; frammischiai fra questi l’elemento camorrista, in proporzione che, anche volendolo, non potea nuocere; disposi che si organizzasse in compagnie; posi a capo di essi coloro che ispiravano maggiore fiducia; ed ordinai che, divisi in pattuglie, scorressero immantinente tutti i quartieri della città. Questo provvedimento istantaneo, ed istantaneamente attuato, sconcertò i disegni dei tristi, colpiti assai più dall’attitudine che dall’imponenza della forza; e così, l’ordine, la città, e le stesse libere istituzioni, furono salvi dal grave pericolo che li minacciava”.
E’ molto indicativo il periodo finale di tutto il ragionamento che, per motivi di completezza, riportiamo fedelmente:
“Si condanni ora il mezzo da me adoperato; mi si accusi di aver introdotto nella forza di polizia pochi uomini rotti ad ogni maniera di vizii e di arbitrj. Io dirò a cotesti puritani, i quali misurano con la stregua dei tempi normali i momenti di supremo pericolo, che il mio compito era quello di salvare l’ordine; e lo salvai col plauso di tutto il paese”.
Il 14 luglio 1860, Liborio Romano veniva poi nominato Ministro dell’Interno e della Polizia, trovandosi ovviamente di fronte a maggiori responsabilità ed impegni. Il primo di tutti, in senso assoluto, era proprio quello di salvare il Paese da una luttuosa catastrofe e dalla guerra civile presente, considerato che diveniva sempre più difficile salvare la corona di Francesco II.
Sul fronte opposto il trionfo di Garibaldi avveniva in modo continuo in diverse zone dell’Italia Meridionale e la rivoluzione avanzava ponendo serie preoccupazioni. Liborio Romano si trovava nella condizione di non poter resistere a Garibaldi e tantomeno di riuscire a salvare la dinastia, senza trascurare che come Ministro dell’Interno aveva comunque il dovere di serbare l’ordine e la più perfetta tranquillità in Napoli.
Intanto, alle cinque pomeridiane del 6 settembre, il Re s’imbarcò e si diresse per Gaeta, accompagnato dagli amici più fidati di corte e dal loro capo Pietro Ulloa. La città di Napoli era smarrita, silenziosa e preoccupata; il momento era davvero particolare e nessuno poteva sottovalutarne la portata.
La notte del 6 settembre 1860 venne inviato a Giuseppe Garibaldi un messaggio telegrafico con il quale lo si informava che nella mattinata del 7 il Sindaco (Principe di Alessandria) e il Comandante della Guardia Nazionale di Napoli (De Sauget) sarebbero andati a trovarlo a Salerno. Garibaldi, appresa la notizia, faceva spedire un telegramma al Ministro dell’Interno e della Polizia, cioè a Liborio Romano, raccomandandogli l’ordine e la tranquillità della città in quel momento solenne.
Giuseppe Garibaldi entrò in Napoli e, uscito dal Vescovado, invitava Don Liborio a sedere sulla destra nella propria carrozza. Il popolo applaudiva in continuazione e spesso faceva anche il nome di Liborio Romano. A queste spontanee e popolari manifestazioni di gioia e di allegria, il generale Garibaldi contento disse al Romano: “Io la felicito della popolarità di cui gode; bisogna valersene, e continuare a servire il paese”.
Liborio Romano, imbarazzato, fece capire subito a Garibaldi che ciò non era possibile; ma, viste le continue insistenze del Generale e di molti patrioti, amici e conoscenti, alla fine accettò il secondo Ministero, che poi sarà fonte di tante noie e fastidi per tutta la vita.
Dal 22 settembre al 7 novembre 1860, non avendo incarichi ministeriali, riprese con più assiduità la sua consueta professione di avvocato.
Dall’8 novembre 1860 al 15 gennaio 1861 è molto critico nei confronti della Luogoteneza di Carlo Luigi Farini che faceva gli interessi del Piemonte.
Dal 16 gennaio al 12 marzo 1861 accetta di far parte della Luogoteneza del Principe di Carignano, quale Ministro dell’Interno; ma, constatato il tentativo di utilizzare solo la sua popolarità e la fiducia dei cittadini napoletani, si dimette non condividendo l’egemonia piemontese nei confronti del Meridione d’Italia.
Dal 13 marzo 1861 al 20 luglio 1865 è alla Camera dei Deputati (“… Io non avea difensori nella sinistra, non godea le simpatie della destra; era inviso alla consorteria, ai ministri, agli ambiziosi dei portafogli…”). Dopo qualche giorno Liborio, giunto a Torino, evitò di vedere il Conte di Cavour e decise di sedere nel centro-sinistra. Ma Cavour fece sapere, tramite amici, che non capiva l’atteggiamento di Don Liborio ed in particolare che desiderava parlargli. Il Romano comunicò che avrebbe volentieri discorso con il Conte e che, per rendere il colloquio più utile, gli avrebbe prima scritto alcuni appunti sulle condizioni delle province napoletane che peggioravano ogni giorno di più.
Il 15 maggio 1861 la lettera era pronta: “Lettera al Sig. Conte di Cavour sulle condizioni delle provincie napoletane”.
La lettera è “divisa in dieci capitoli”, in ognuno dei quali è svolto un argomento, o come egli dice, “una piaga”; ricca di dati e di precisioni, essa è certo il documento più nobile della vita politica del Romano, e che lo mette, per lo meno cronologicamente, primo della lunga serie dei politici e degli studiosi, che nei discorsi parlamentari e negli scritti scientifici apriranno in seguito la questione meridionale. La lettera fu molto apprezzata dal Cavour che rinnovò l’invito al Romano per incontrarsi; ma la morte improvvisa del Conte di Cavour (6 giugno 1861) non gli permise di interessarsi.
Alla Camera Liborio Romanò si occupò di diversi argomenti; propose diversi emendamenti alle proposte di legge; svolse il suo ruolo sempre in difesa delle regioni meridionali.
Si presentò poi alle elezioni del 22 e 29 ottobre 1865 e venne di nuovo eletto deputato nei collegi di Tricase e di Napoli, optando, questa volta, per quest’ultimo.
Liborio Romano terminò di scrivere le “Memorie Politiche” nell’ottobre del 1866 a Napoli. Sul finire di quest’anno decise di ritornare a Patù: “il suo corpo era affranto e il suo spirito immedicabilmente ferito”.
Il 17 luglio 1867 Liborio Romano moriva a Patù, suo paese natìo, alle ore 17.00.
LE OPERE
- Istituzioni di dritto commerciale, con annotazioni esplicanti il testo, nelle quali si esaminano le principali quistioni, che possano elevarsi su le materie commerciali del Sig. Delvincourt antico avvocato, professore, e decano della facoltà di diritto di Parigi , prima versione italiana, Napoli, dalla stamperia della società tipografica, nell’ex monistero di Montoliveto, 1818, tomi 3;
- Ferdinando Cito in Terra d’Otranto, (s.n.t.), ma Napoli, 20 aprile 1848;
- Corso di Dritto Costituzionale Napoletano, Napoli, 1848;
- Civile missione dei quattro poeti classici italiani; (Santa Maria Apparente) Napoli, 1850;
- Des principes de l’èconomie politique poissès dans l’èconomie animale, (opuscolo scritto in Francia nel 1853), pubblicato poi a Montpellier nel 1857 ;
- Lettera al Sig. Conte di Cavour sulle condizioni delle provincie napoletane, Torino, Tipografia Guerrera, 15 maggio 1861;
- Il mio resoconto parlamentare, (s.n.t.) ma Napoli, 12 agosto 1861;
- Alcune parole di addio alla Curia napoletana, (s.l.) ma Portici o Napoli, (s.d.) ma dicembre 1863;
- Ai miei elettori, (s.n.t.) ma Napoli, 20 luglio 1865;
- Memorie Politiche (per cura di Giuseppe Romano, suo fratello), Napoli, Giuseppe Marghieri Editore, 1873;
- Memorie Politiche (a cura di Alessandro Romano, con prefazione di Giovanni Bovio), Napoli, R. Tipografia Francesco Giannini e Figli, 1894;
- Il mio rendiconto politico (a cura di G. e A. Romano), Locorotondo, Arti Grafiche Angelini e Pace, 1960.
Alle presenti opere sono da aggiungere: 40 volumi di allegazioni giuridiche, numerosi documenti presenti nell’Archivio di Napoli, nell’Archivio Provinciale di Bari e di Lecce, gli Atti Parlamentari (VIII° e IX° legislatura) e diversi articoli su tutti i periodici dell’epoca.
Per quanti volessero approfondire l’argomento rimandiamo alla lettura del volume: Francesco
Accogli, Il Personaggio Liborio Romano. Precisazioni bio-anagrafiche e contributo all’epistolario, Parabita, Edizioni “Il Laboratorio”, 1996, pp.216.
LIBORIO ROMANO A 144 ANNI DALLA SUA MORTE
Domenica, 17 Luglio 2011, ricorre il 144° anniversario della morte di Liborio Romano, grande patriota salentino, ministro costituzionale, l’Uomo più amato dal popolo napoletano, un meridionalista ante litteram, sicuramente un personaggio-chiave in un periodo storico difficile, tormentato e meraviglioso, quale fu quello dell’Unità d’Italia. E’ questo, 2011, un momento storicamente importante – considerata anche l’annuale ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità d’Italia – per procedere ad una serena e corretta valutazione di Liborio Romano, ingiustamente criticato e osteggiato per lungo tempo ormai. I tempi sono maturi per riconoscere al salentino Liborio Romano il suo impegno, che durò tutta la vita, di grande protagonista della storia del Risorgimento italiano, senza nascondere gli errori e senza bendarsi gli occhi su situazioni e momenti storici che avrebbero potuto prendere, come è noto a tutti, pieghe e risvolti diversi da quelli conosciuti.
Non è più accettabile e condivisibile la tesi di chi intende, ancora oggi, mantenerlo nell’oblio e nella scarsa considerazione, né tanto meno continuare a farne il prototipo del trasformismo per antonomasia; sarebbe opportuno, invece, uscire finalmente dagli inutili e sterili clichè di posizione ed avere il coraggio e l’onestà intellettuale e morale di reinserire, in modo corretto e come merita, questo grande figlio di Patù, nella storia del Risorgimento meridionale come terzo protagonista dell’unificazione di Napoli e del regno delle due Sicilie all’Italia, dopo il grande contributo di Giuseppe Garibaldi e quello di Camillo Benso, conte di Cavour.
Che dire di un Uomo del quale si ignora persino l’esatta data di nascita; molti studiosi riportano ancora la data del 1795, del 1797 e del 1798, comprese alcune importanti e rinomate enciclopedie.
Liborio Romano nacque a Patù, in Terra d’Otranto, un piccolo villaggio a pochissimi chilometri dal Capo di Santa Maria di Leuca, il 27 Ottobre 1793 da Giulia Maglietta e da Alessandro e morì a Patù il 17 Luglio 1867, alle ore 17,00, colpito da colera. Visse 73 anni, 8 mesi e 20 giorni, cioè 74 anni circa, come scritto nell’Atto di Morte. Liborio fu il primogenito di una nobile e numerosa famiglia: Gaetano, Elisabetta, Giovanni, Marta, Giuseppe e Rosa. Ma non intendo, in questa circostanza, attardarmi sulla biografia del Romano. Vorrei solo ricordare che Don Liborio, un Salentino fortemente legato alla sua terra, un meridionalista ante litteram, un liberale-progressista, un autentico patriota unitario abbia subito duramente per le sue idee le più atroci sofferenze sopportando la persecuzione, il carcere, il confino e l’esilio e come per un quarantennio, dal 1820 al 1860 circa, sia stato continuamente vigilato, controllato e perseguitato. Come è altrettanto risaputo che, candidato nelle elezioni politiche del gennaio 1861 nel Regno d’Italia, sia stato il più suffragato in senso assoluto ed eletto in ben otto collegi elettorali (“ … fui proclamato deputato con splendido suffragio da otto collegi, che furono quelli di Altamura, Tricase, Bitonto, Atripalda, Sala, Napoli, quartiere della Vicaria, Palata e Campobasso…”) ed in altri ancora andato in ballottaggio contro esponenti di rilievo della politica nazionale. Egli, come è risaputo, scelse il collegio di Tricase, per amore al suo luogo natìo.
In merito poi alla piemontesizzazione del Meridione, il Romano, fra le tante precisazioni, ricordava anche: “E’ un fatto singolare, che perfino le balie vennero dal Piemonte per il brefotrofio dell’Annunziata in Napoli, quasi che non fosse più idoneo il latte delle nostre donne a nutrire i figli di questa terra”.
Ma il documento indiscutibilmente più qualificante è la “Lettera al Sig. Conte di Cavour sulle condizioni delle provincie napoletane” che peggioravano ogni giorno di più. La lettera è “divisa in dieci capitoli”, in ognuno dei quali è svolto un argomento, o come egli dice, “una piaga”; ricca di dati e di precisioni, essa è certo il documento più nobile della vita politica del Romano, e che lo mette, per lo meno cronologicamente, primo della lunga serie dei politici e degli studiosi, che nei discorsi parlamentari e negli scritti scientifici apriranno in seguito la questione meridionale. La lettera fu molto apprezzata dal Cavour che rinnovò l’invito al Romano per incontrarsi; ma la morte improvvisa del conte di Cavour (6 giugno 1861) non gli permise di interessarsi.
In questo periodo la sua popolarità era illimitata, a Napoli poi era il politico più amato dal popolo e dalla Guardia Nazionale. Ma era anche l’Uomo pubblico più accusato; come non ricordare le aspre accuse di “tradimento”, di “politica improbità” e soprattutto le diffamazioni e le calunnie per aver introdotto nella polizia napoletana alcuni elementi della camorra nel tragico luglio del 1860? Divenne così l’uomo più discusso del Risorgimento italiano.
E’ opinione comune che Liborio Romano, nonostante siano trascorsi ben due secoli dalla nascita, sia ancora oggi una delle figure più interessanti e significative del nostro Risorgimento. Non c’è dubbio che questo continuo interesse sia dovuto anche ad una specifica peculiarità del grande politico salentino: una personalità, quella del Romano, certamente di primo piano nella vita politica nazionale del secolo diciannovesimo. Un Uomo famoso che, ricordando la nota ode di Orazio, fu sicuramente “odiato, criticato ed osteggiato”, ma anche fortemente “amato, lodato ed osannato”.
Liborio Romano terminò di scrivere le “Memorie Politiche” nell’ottobre del 1866 a Napoli. Le ultime righe di questo importante volume di grande valore storico ed umano sono le seguenti: “Ecco a un dì presso, quello che io feci stando al potere e nella camera elettiva. Libero a ciascuno di giudicarmi come più crederà: io aggiungerò solo; che rientrai nella mia vita privata, non senza il dolore di esserne uscito, ma con la coscienza di aver sempre cercato il bene del mio paese. Se non riuscii a conseguirlo, come io desiderava, fu per la pochezza del mio ingegno, o per cause indipendenti dal mio volere, non mai per difetto di devozione alla patria, ed ai più larghi principii della vera libertà e della giustizia. I governi e i partiti quasi sempre si dimenticano; ma sono quelli i soli rimedi ai pubblici mali, i soli mezzi da prevenire le rovine ed i lutti delle rivoluzioni; e, quel che più ora preme, i pericoli della quistione sociale, che non curata, travolgerà governi, uomini e cose, come a niuno è dato di prevedere, e che a tutti incombe il supremo debito di scongiurare”. Sono queste parole profetiche per la questione sociale in Italia. Questione sociale che ancora oggi ne paghiamo le dirette conseguenze.
Liborio Romano è stato un grande meridionalista, un grande protagonista della storia dell’Unità d’Italia. Pertanto, mi sembra più che giusto esprimere almeno un modesto ricordo nel 144° anniversario della sua scomparsa.
Francesco Accogli
Liborio Romano e’ oggi offeso e vilipeso da quella parte politica che ha da sempre visto la liberta’ dell’uomo come un pericolo –