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Acquarica: i silenzi di Patrizio, l’ultimo cestaio

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ACQUARICA DEL CAPO (Le) – E’ un lavoro fatto di silenzi e di pazienza. Da filosofi, di meditazione e introspezione. E’ come comporre un puzzle. Per fare un cesto di canne ci vuole più di un giorno di lavoro, e più di tanto non lo puoi vendere.Ma Patrizio Siciliano è fatto così: è felice del suo lavoro, pur nella società liquida di “Quo Vado”, del posto fisso e dei furbetti del cartellino, dei parassiti che fanno lavori virtuali di cui nessuno si accorge.

Patrizio è l’ultimo cestaio rimasto nel Salento. E’ un ragazzo alto e magro, dalle mani callose. Gira le fiere paesane mostrando la sua antica arte ereditata dai genitori e dagli antenati: la gente si ferma incantata a guardare le sue mani veloci che lavorano il giunco, le canne, il mirto, il salice, l’ulivo, ecc., materiali umili, antichi, ma che nelle sue mani veloci richiamano antiche nobiltà e dignità, quando l’uomo era in armonia con la natura e i suoi elementi.

“E’ un’arte che ormai fa parte del mio dna – confida – per me fare questo lavoro è stato un processo naturale visto che era quello dei miei genitori e dei miei nonni”.

Qual è il segreto per un buon cesto di canne, una sporta di giunco? “Non faccio uso di tecnologia – aggiunge Patrizio – ma riprendo le antiche tradizioni, rendendo omaggio ai secoli di storia che abbiamo alle spalle”.

E continua a lavorare dando un’anima ai suoi panari, cannizzi, sporte, ecc. , oggetti d’altri tempi, quando eravamo tutti poveri e felici. Oggi siamo poveri e infelici e noi, pulviscolo vagante nell’iperurano, viviamo vite apparenti, svaporate, spente.

Tipico "stand" dell'artigianato locale
Tipico “stand” dell’artigianato locale

Francesco Greco

3 Commenti

  1. grazie Francesco per avermi fatto conoscere Patrizio. Grazie Patrizio per la tua esemplare purezza.

  2. francesco nuzzo

    caro Francesco, in questi ritratti di persone (e personalità della nostra cultura salentina) sei insuperabile. Un “bravo!” te lo meriti tutto.

  3. SERRERO Francoise

    Merci pour ce joli travail d’ethnologue !
    Les “petits” métiers sont le sel d’une terre et nous sommes heureux de les voir célébrés…
    Françoise

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