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Intervista a Sergio Rubini: Giuseppe Arnesano.

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L’UOMO NERO: intervista a Sergio Rubini

Il frastuono del traffico capitolino disorienta e confonde; sono passati un paio di mesi, ma in qualche sala cinematografica di nicchia si proietta ancora L’uomo nero il nuovo film di Sergio Rubini, e l’unico modo per sfuggire al caos cacofonico è salire sul treno della memoria descritto emotivamente dall’eclettico regista pugliese.

Il viaggio di Gabriele Rossetti (Fabrizio Giufini) non è solo un viaggio fisico, che il protagonista compie in direzione di un piccolo paese pugliese per l’estremo saluto al padre morente, Ernesto (Sergio Rubini), ma soprattutto un viaggio nel ricordo, un ritorno all’infanzia, e al tempo di quando era bambino negli anni Sessanta.

Il piccolo Gabriele Rossetti, interpretato dal giovanissimo esordiente Guido Giaquinto, osserva la sua famiglia con una fervida immaginazione, dove la figura paterna di Ernesto, capostazione della ferrovia locale, risulta fragile nei confronti del figlio perché non riesce a raggiungere nell’arte i risultati ambiti, dimenticando le dovute attenzioni.

Le frustrazioni di Ernesto si tramutano in continue tensioni nei confronti della moglie Franca (Valeria Golino), madre e insegnante ma soprattutto donna forte e fragile, aggressiva e condiscendente, con lo sguardo sempre vigile segue ogni minimo gesto movimento del marito, del figlio, del fratello.

Il piccolo Gabriele cerca di colmare l’alienazione del padre, affezionandosi sempre più alla figura dello zio materno, Pinuccio (Riccardo Scamarcio), scanzonato giovane viveur di provincia.

Il film è un’opera corale e poetica che si caratterizza per un forte senso di amarcord, e una spicca narrazione fantasiosa e tratti commovente e riflessiva. Le dinamiche razionali della pellicola, sono affiancate da scene di surreale e scoppiettante comicità, accompagnate dalle brillanti musiche di Nicola Piovani. Nelle ultime battute la “favola retrò” si tinge di giallo, rivelando un finale insolito e dall’effetto introspettivo.

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Vincenzo Ciardo, un salentino famoso in tutto il mondo

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UNA RECENSIONE SULLA 5^ MOSTRA PERSONALE

DEL PITTORE GAGLIANESE VINCENZO CIARDO

AL CIRCOLO ARTISTICO DI BARI

a cura di Francesco Accogli

Ho avuto la fortuna di recuperare questo scritto di Giuseppe Mastropasqua, pubblicato in occasione della quinta mostra personale di arte del pittore Vincenzo Ciardo (Gagliano del Capo, 25.10.1894 – ivi, 26.09.1970), tenutasi nei mesi di ottobre e novembre del 1928 al circolo artistico di Bari. Penso di fare cosa gradita ai lettori nel ripubblicare queste poche righe sul pittore gaglianese, perché le notizie riportate arricchiscono la già nota fama di Vincenzo Ciardo che con le sue opere pittoriche fece conoscere al mondo intero la Puglia e il Salento e, soprattutto, la “Terra di Leuca”. Per quanti volessero avere una conoscenza più approfondita su Vincenzo Ciardo consiglio la lettura del volume di Antonio Cassiano, Vincenzo Ciardo, Cavallino, Lorenzo Capone Editore, 1979 e l’articolo da me pubblicato dal titolo: A vent’anni dalla morte di due grandi artisti salentini: Vito Raeli e Vincenzo Ciardo, in “Siamo La Chiesa”, Bimestrale religioso-sociale-Parrocchia “S.Antonio da Padova”, Tricase, A.XVIII-1990, n.3, maggio-giugno, pp. 55 – 62. Ripubblichiamo volentieri lo scritto, con la nota e l’elenco delle opere esposte.

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Museo d’arte contemporanea rupestre a Specchia

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Il Museo d’arte contemporanea rupestre è un capolavoro della maestria di un singolo individuo, Mario Branca, che ha deciso di utilizzare un piccolo fondo di terreno di sua proprietà, per far rivivere, in chiave contemporanea, l’arte artigianale salentina tramite una rivisitazione in chiave nettamente rupestre.

Si tratta di una fascia di terra, posta sulla collinetta che dal cimitero di specchia si allontana dal paese. Su questo fazzoletto di terreno sarà possibile ammirare alcune opere realizzate in pietra, ferro, e strumenti dell’attività lavorativa nei campi. Le opere comprendono delle raffigurazioni umane, bambini, angeli; rappresentazioni architettoniche, come portali greci sormontati da statue di eroi e paladini o della beata Vergine Maria; raffigurazioni prettamente decorative, come piccole fontanelle, steli con raffigurazioni dipinte su ceramica artigianale; e tanto, tanto altro ancora.

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Il castello di Andrano, un insieme di cellule abitative divenute una masseria fortificata

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Di Andrano e del suo castello si sa purtroppo ancora molto poco. Le poche notizie che si hanno a disposizione provengono dai rogiti della cancelleria angioina. Per poter estrapolare quindi delle informazioni che possano seguire un certo filo logico è stato necessario scavare prima nel passato del suo centro storico e precisamente del suo castello che riflette, tramite vari stili e fregi, il passaggio delle diverse famiglie nobiliari che si sono succedute nel tempo nel possesso del feudo di questa cittadina.

Il castello (conosciuto con il nome di Spinola-Caracciolo) rappresenta un complesso architettonico molto ampio a base quandrangolare con quatto torri agli angoli che ne delimitano il perimetro: due a pianta quadrangolare, una pianta circolare ed una bastionata a base lanceolata. Una quinta torre è nella parte centrale del prospetto nord.

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Il Castello de’ Monti a Corigliano d’Otranto

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Il «più bel monumento di architettura militare e feudale del principio del Cinquecento in Terra d’Otranto», così è definito il Castello de’Monti di Corigliano d’Otranto.

Giovan Battista de’Monti fu colui che adoperò un’intensa fase di ristrutturazione, nella seconda decade del XVI sec, del castello di stampo medioevale per renderlo compatibile con quelli che erano i canoni militari del tempo, sviluppati soprattutto inseguito alle numerose incursioni saracene nel salento in conseguenza delle quali le coste dell’adriatico e dello ionio si arricchirono di torri d’avvistamento. Molte delle torri che sono sopravvissute a crolli o ai conflitti mondiali versano purtroppo in uno stato di totale degrado e abbandono.

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Piciuttàri, gli abitanti di Alezio

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Il termine “Piciuttàri“, con il quale si identificano gli abitanti di Alezio ha due possibili derivazioni: una, dal carattere decisamente più simpatico, attribuirrebbe questa denominazione al famosissimo termine “Picciotti” in uso nel dialetto siciliano. Alezio era infatti in passato luogo di residenza di molti pescatori siculi. Quando questi uomini lasciavano le barche al porto per tornare in paese, salutavano i loro compagni dicendo loro che sarebbero andati dai picciotti, termine con il quale venne di li a poco identificato ironicamente il paese ed i suoi abitanti con la distorzione dialettale locale: piciuttari appunto.

La seconda ragione ha invece radici storiche e si baserebbe su un episodio comune che ha visto protagonisti moltissimi comuni salentini: l’estenuante lotta contro le incursioni saracene.

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Paste, pastareddhe o pastarelle: i biscotti salentini

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Paste, pastareddhe o pasterelle, tanti termini per indicare qualcosa che conosciamo molto bene e che ogni giorno ci allieta con la giusta dose di buonumore, ciò che serve per cominciare una giornata con il piede giusto: biscotti!

Una ricetta semplice, rimasta intatta per generazioni, ognuna delle quale ha avuto modo di godere di uno di quei piccoli piaceri che la vita offre, inserito a pieno titolo nei sette vizi capitali, terribilmente tentatore nonché unico vero sostegno nei momento di sconforto: la gola!

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Antonio Bello (don Tonino)

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Alessano (Lecce), 18 Marzo 1935 – Molfetta (Bari), 20 Aprile 1993

di Francesco Accogli

Antonio Bello (don Tonino) nasce ad Alessano il 18 Marzo 1935 e muore a Molfetta il 20 Aprile 1993.

Fu consacrato sacerdote l’8 Dicembre 1957. Dopo la laurea in Sacra Teologia, conseguita il 3 Luglio 1965 a Roma presso la Pontificia Università Lateranense, fu nominato prima vice e poi rettore del seminario vescovile di Ugento dal 1958 al 1976.

Fece la sua prima esperienza pastorale in una parrocchia, sempre a Ugento. Da lì fu trasferito a Tricase, dove resse la parrocchia della Natività della Beata Vergine Maria dal 1 Gennaio 1979 al 10 Agosto 1982.

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Specchia Silva, unica supersitite nel territorio di Taurisano

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Attraversando delle strette strade di campagna che costeggiano il sito archeologico di  Cardigliano, per poi proseguire per un breve tratto lungo verdi uliveti in parte abbandonati, tra i quali è possibile incontrare di tanto in tanto anche un gruppo di cacciatori, sarà possibile imbattersi nell’unica superstite delle specchie taurisanesi, la Specchia Silva.

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